IRLANDA
Brevi note sull’esito del referendum
Può un paese di poco più di 4 milioni di abitanti incidere seriamente sulle sorti di una Unione Europea che ne conta quasi 500?
Posta così la risposta sembra ovvia: non può. Non può per ragioni di peso dicono i realisti, non può per ragioni “democratiche” dicono i politicamente corretti. In ogni caso non può.
Le reazioni al 53% di no al Trattato di Lisbona provenienti dall’isola verde vanno tutte del resto in questo senso. Sarkozy e Merkel in testa, tutti a sostenere che “si deve andare avanti”. Lo impone l’economia e non solo.
In Italia, diviso il governo a causa della posizione della Lega, è toccato al solerte Napolitano suonare le trombe dell’andare avanti escludendo chi non ci sta.
Leggo dalla Reuters:
“E’ l’ora di una scelta coraggiosa da parte di quanti vogliono dare coerente sviluppo alla costruzione europea – ha detto Napolitano in una nota – lasciandone fuori chi, nonostante impegni solennemente sottoscritti, minaccia di bloccarla”. Avanti dunque con “chi ci sta”. Già: ma chi ci sta?Nel 2005 i referendum in Francia e Olanda bocciarono la costituzione europea, dopo di che il democraticissimo europeismo delle oligarchie disse no ad altri referendum, onde evitare la piena e poter predisporre il nuovo imbroglio di Lisbona. Questa volta su 27 democraticissimi paesi europei solo uno (e tra i più piccoli) ha optato per il voto popolare, ed è arrivato un altro no. Come già in Francia ed in Olanda, anche in Irlanda il blocco dominante (maggiori forze politiche, potere economico, media) era schierato all’unisono per il sì. Eppure, come nel 2005, hanno perso. Un risultato per niente inficiato dall’astensionismo. In primo luogo perché in Irlanda l’astensionismo è di norma assai alto, in secondo luogo – e principalmente – perché il Trattato di Lisbona è complicatissimo, che se il suo contenuto fosse stato più chiaro molte persone che si sono astenute avrebbero votato no.La dimostrazione di ciò sta nella rimonta del no nel corso della campagna elettorale, dopo che all’inizio la vittoria del sì veniva data per sicura. Insomma, mano a mano che i termini della questione si delineavano un po’ meglio il sì perdeva terreno, fino alla sconfitta di giovedì. Cosa accadrà ora? Certamente le oligarchie europee vorranno andare comunque avanti. Nonostante gli enormi mezzi di cui dispongono non hanno mai dimostrato di avere il consenso elettorale in nessun paese, ma come al solito se ne fregheranno. D’altronde non esiste un fronte del no continentale in grado di rilanciare la battaglia. Non esiste neppure in Francia e questo la dice lunga. Se questo fronte esistesse, la parola d’ordine dovrebbe essere quella del referendum dappertutto: in Gran Bretagna, dove questa opzione viene lasciata in mano ai conservatori (e tutti sanno che vincerebbe il no), in Italia dove l’antieuropeismo pare coltivato solo dalla Lega. Ma un fronte del no non esiste e gli eurocrati avranno di nuovo buon gioco a rilanciare. Lo faranno, però, sempre più deboli, sempre meno convincenti. Ma lo faranno. A quando una bella campagna contro l’Unione Europea? In Irlanda si è visto il peso della questione sociale (il no ha vinto nei distretti operai e nelle campagne) e di quello della politica militare, sulla quale il Trattato di Lisbona impone impegno e compattezza anche ai paesi neutrali. Non può essere questo un concreto terreno di azione per la costruzione dell’opposizione anche in Italia? Pensiamoci.
14 giugno 2008