1. E’ vero ciò che ha affermato Putin, per cui il crollo dell’URSS è stata la più grande tragedia geopolitica del ‘900? In un certo senso è vero. Quel crollo ha fatto degli USA l’unica superpotenza, li ha sospinti ad immaginare un mondo ad una sola dimensione, a perseguire una linea unilateralista che pretendeva di fare a pezzi ogni ostacolo sulla via della loro supremazia mondiale.

2. Gli USA seppero utilizzare a proprio vantaggio lo shock dell’11 settembre. Inglobarono nella Santa alleanza anti-terrorista pressoché tutta la «comunità internazionale. Nemici da colpire: il «fondamentalismo islamico» e la «Lista nera» dei movimenti combattenti antimperialisti. Unione Europea, Russia, Cina, e tutta una sterminata processione di stati vassalli, si arruolarono a capo chino nella crociata antiterrorista a guida USA, crociata che condusse all’occupazione militare dell’Afghanistan e dell’Iraq —e per consentire la quale Bush non esitò a chiedere aiuto addirittura allo «stato canaglia» iraniano. Nel frattempo Israele continuò la sua poiitica di sterminio dei militanti palestinesi e poté tentare l’ennesima occupazione del Libano mentre, dall’altra parte del globo, per un pelo Chavez non veniva rovesciato dai golpisti.

3. Espugnati facilmente i santuari di Kabul e Bagdad l’Impero pensò di essersi finalmente messo il mondo ai suoi piedi. Invece…. Invece i suoi eserciti dovettero sbattere il muso contro una Resistenza temeraria e indomita, una Resistenza che arrestò l’avanzata imperiale. Nelle impervie gole afgane, nelle sabbie tra il Tigri e l’Eufrate, nelle martoriate valli sud-libanesi, nell’inferno di Gaza, dei guerriglieri impensabili intrappolavano gli invasori impedendo agli USA di celebrare la vittoria. Grazie a loro il super-imperialismo americano, quello che Guevara bollò come il nemico più pericoloso del genere umano, non solo si scoperse più debole e zoppicante; esso subì una cocente sconfitta simbolica e morale. Il prodotto finale di questo smacco, per quanto momentaneo, è sotto gli occhi di tutti: la Santa alleanza anti-terroristica è andata in pezzi. In termini di geo-politica mondiale ciò significa che è stato affossata per sempre l’ambizione americana di un ordine monopolare in cui tutte le altre potenze sarebbero state gerarchicamente sussunte come vassalle e il resto degli stati come satrapie.

4. Sotto questa luce il conflitto caucasico chiude la fase apertasi con l’11 settembre e segna dunque un tornante della situazione mondiale. Il deciso contrattacco che ha sbrindellato l’esercito georgiano dice che la Russia putiniana non vuole più saperne di soggiacere alla spinta espansionistica nordamericana. Dopo il 2001 Putin ha avallato opportunisticamente quella spinta sperando che questa si sarebbe fermata ai confini della Russia. Questa speranza si è rivelata un’illusione. Gli Stati Uniti si sono infilati in quello che la Russia considera il suo spazio geo-politico vitale. Così, mentre Mosca chiudeva entrambi gli occhi davanti alle invasioni dell’Afganistan e dell’Iraq, la NATO faceva la più grande scorpacciata dopo gli anni ‘40, incorporando la maggior parte dei paesi est-europei. Per niente sazi ora gli USA installano basi strategiche antimissilistiche (cioè missilistiche) in Polonia e Repubblia Ceca e vogliono prendersi addirittura la Georgia e l’Ucraina. Sbaglia Mosca a vedere questo allargamento NATO come una minaccia alla sua sovranità e addirittura alla sua integrità territoriale? Non sbaglia per niente.

5. Il disegno americano è infatti lo stesso di sempre: impossessarsi delle immense risorse umane e naturali della Russia. Possibilmente col consenso del Cremlino oppure, ove questo non fosse possibile, portando fino alle estreme conseguenze la disintegrazione dell’URSS iniziata nel 1991, ovvero fino allo smembramento della Federazione Russa. L’allargamento della NATO non corrisponde ad altro se non a questo ambizioso disegno strategico. Il problema per gli americani è che Putin, che non è un pagliaccio come Eltzin, non può non opporsi al ruolo di vassallaggio che gli americani hanno previsto per la Russia. Si dice: «Ma Putin rappresenta un oligarcato capitalista famelico e ambizioso, mica vuole il socialismo!». Vero, ma è proprio perché il capitalismo-di-stato russo punta a fare gli affari propri, appunto perché esso ha bisogno di ricostruire la potenza russa, che esso è entrato suo malgrado, in rotta di collisione con quello americano. L’oligarcato russo non vuole soccombere, ma per non soccombere non può limitarsi a giocare di rimessa. La Russia, se vuole ri-diventare una grande potenza mondiale, è obbligata ad una riscossa internazionale a tutto tondo. La controffensiva in Georgia è solo un tassello di questa marcia. Lo si vede già con la sua politica di difesa dell’Iran, della Siria, del Venezuela, di Cuba. Giungerà Putin a chiudere i corridoi che ha messo a disposizione nel 2001 a USA e NATO per occupare l’Afganistan?

6. Putin sa fare la differenza tra desideri e realtà. Egli sa che il giovane capitalismo russo (la Russia contribuisce per poco più del 2% nella formazione del PIL mondiale mentre, tanto per dire, il contributo di USA ed Europa è di circa il 50%, e quello cinese del 15%) deve fare ancora molta strada per diventare imperialista. Affinché la Russia raggiunga questo traguardo il capitalismo russo ha bisogno di compiere un balzo colossale, quasi pari a quello che l’URSS staliniana compì negli anni ‘30. Se questo è l’obbiettivo di Mosca, far naufragare questo disegno è quanto specularmente il super-imperialismo americano desidera. Washington infatti la vede così: che la coperta del mercato mondiale e delle sue risorse è ormai troppo corta perché ci sia spazio per nuovi imperialismi. Già alle prese con l’avanzata del drago cinese, gli USA non potranno tollerare l’intrusione dell’orso russo. Ecco dunque che l’idea del tornante mondiale si materializza nella rinascita della tensione strategica tra USA e Russia, nella trasformazione di un conflitto latente in conflitto dispiegato.

7. Significa questo che il regime putiniano (sostenuto da un vastissimo blocco nazionalista includente oligarchi, capitalisti patriottici, la nomenklatura burocratica, vaste forze popolari compresi i comunisti alla Zyuganov), per quanto abbia rinnegato la sua discendenza da quello eltziniano, sarà capace di osare e di andare fino in fondo? Noi ne dubitiamo. Ma nemmeno dubitiamo che il processo messosi in moto nella Russia non si arresterà, non si arresterà perché è strutturale, muove cioè dal profondo di un popolo che non si è mai pensato come appendice dell’Occidente, che si immagina come una autonoma civiltà. Se Putin si tirasse indietro, sarà travolto e, come l’apprendista stregone, verrà divorato dagli stessi spiriti da esso evocati.

8. Politicamente parlando la questione, per tutte le forze antimperialiste, si pone in questa maniera: fa gioco o no, questo risposizionamento strategico antiamericano e anti-NATO della Russia? Ma è evidente che fa gioco! Rompendo il monopolarismo, questo riposizionamento è ossigeno per le Resistenze antimperialiste, per tutti quei paesi che a vario titolo sono fuori dal campo americano, è ossigeno anche per le forze antagoniste che boccheggiano nel ventre della bestia. Per quanto boccheggino, tuttavia, alcune di queste sono in preda alla sindrome-della-puzza-sotto-il-naso. Le truppe russe non avevano inziato il loro ripiegamento in Georgia che la gran parte della sinistra ha prontamente denunciato le «smanie egemoniche russe». In singolare sintonia pacifisti, democratici, sinistri radicali, estremisti di sinistra d’antan, riecheggiando la campagna russofoba imperante, ripetono il mantra: «Putin è un nuovo Zar, la Russia è imperialista, nessun sostegno al nazionalismo russo». Il nocciolo duro di questo blocco strampalato è lo stesso di quelli che gridavano Né con la NATO né con Milosevic, né con Bush né con Saddam, né con Israele né con HAMAS. Non ci stupisce affatto questo revival. Questa gente non cambia posizione, non può cambiare posizione, e non può cambiare posizione perché cambiarla vorrebbe dire ammettere di aver sbagliato tutto, tutto dal 1989 in qua. Noi non cambieremo la nostra!. Non solo perché crediamo che l’imperialismo americano (con la sua protesi europea) sia il nemico principale (principale non solo perché più grande e armato, ma perché più invasivo e persaviso). Non cambieremo musica perché consideriamo la lotta contro questo nemico un obbligo morale categorico. Ultimo ma non meno importante: perché i fatti ci hanno dato ragione. Non cambieremo ben sapendo che saremo accusati di essere non solo filo-russi ma pure filo-putiniani, come ieri venimmo bollati di essere «nipotini di Milosevic», «amici di Saddam», infine «terroristi filoislamici». Non ci facciamo illusioni, sappiamo di essere una esigua minoranza, ma una minoranza che ha un respiro strategico, che è destinata ad aprirsi un varco.

9. Dopo la grande partita della difesa della Resistenza irachena pensiamo sia l’ora di iniziarne un’altra. La battaglia antimperialista va adesso rideclinata, nel senso di unire tutte le forze, anzitutto qui in Europa, contro l’unipolarismo nordamericano, l’allargamento verso Est della NATO e dunque la difesa dei paesi e dei popoli minacciati di accerchiamento. Questi tre elementi portanti della politica imperialistica sono infatti i fattori che tengono il mondo in uno stato di guerra guerreggiata ininterrotto e che lo trascinano sull’orlo di una conflagrazione catastrofica. Una vasta e unitaria mobilitazione per lo scioglimento della NATO, contro l’installazione delle nuove basi strategiche in Polonia e Cecoslovacchia, per lo smantellamento immediato delle sue basi nel mondo, a partire da quella di Vicenza, e contro ogni suo allargamento, è una priorità categorica di chiunque abbia a cuorela pace, quindi il diritto dei popoli a resistere e ad autodeterminarsi.

Dal Notiziario del Campo Antimperialista del 26 settembre 2008