Riceviamo, e pubblichiamo,  dal Comitato Promotore dell’appello astensionista “Questa volta No” il documento proposto come base per la discussione dell’incontro, organizzato dal Comitato, che si terrà a Chianciano il 25 e il 26 ottobre per dar seguito politico all’appello stesso.
La Redazione

Premessa

Questo è un testo che intende proporre un lavoro comune a chi si riconosce nella sua impostazione. Coloro che lo hanno elaborato sono diversi, ma uniti nella volontà di continuare una battaglia, politica e culturale, che è iniziata con il manifesto astensionista “Questa volta no!”.

Noi pensiamo che ci siano oggi le condizioni per un concreto passo in avanti. Per questo rivolgiamo a chi condivide l’impostazione di questo manifesto l’invito pressante a rompere le incrostazioni identitarie e ad imboccare con noi la via della sfida all’esistente e del superamento di quel nulla che è oggi la politica.

1. I conti tornano

Le elezioni politiche dell’aprile 2008 segnano un momento importante nella storia del nostro paese. Si tratta della fine della sinistra in Italia. Nel Parlamento italiano uscito da quelle elezioni non è presente nessun partito che si definisca, o possa essere definito, come “sinistra”. Non si tratta di un fatto congiunturale. Naturalmente continueranno ad esistere realtà politiche, sociali, culturali che si definiranno “sinistra”, e può anche darsi che tornino ad essere presenti in Parlamento. Ma si tratterà di realtà sempre più secondarie e residuali. La fine della sinistra ha infatti una radice profonda, strettamente legata ai caratteri della fase attuale e alla natura essenziale della sinistra stessa. La sinistra è stata caratterizzata, nei due secoli della sua esistenza, dal binomio “sviluppo ed emancipazione”: è stata cioè la parte politica, sociale e culturale che ha lottato per l’emancipazione dei ceti subalterni promuovendo lo sviluppo economico e tecnologico. Questa congiunzione è stata possibile perché, fino a tempi recenti, sviluppo ed emancipazione erano compatibili. Ma la situazione è completamente cambiata negli ultimi decenni. La fase storica che, utilizzando termini imprecisi ma ormai di uso comune, viene chiamata “globalizzazione” o “neoliberismo” rappresenta, fra le altre cose, il momento in cui sviluppo ed emancipazione si separano e si contrappongono. Mentre fino a pochi decenni or sono lo sviluppo economico e tecnologico poteva davvero portare al miglioramento delle condizioni di vita dei ceti subalterni, oggi sviluppo significa attacco ai redditi e ai diritti conquistati dai ceti subalterni nella fase precedente, significa attacco ai territori per le grandi opere necessarie allo sviluppo stesso, significa degrado ambientale e sociale. In questa situazione la posizione che definisce la sinistra, quella cioè di volere l’emancipazione dei ceti subalterni attraverso lo sviluppo, non è più possibile e appare come una contraddizione in termini. O si sceglie lo sviluppo, e allora, anche se ci si illude di essere progressisti o magari addirittura anticapitalisti, nella realtà si sceglie la de-emancipazione dei ceti subalterni e il degrado ambientale e sociale, oppure si sceglie l’emancipazione dei ceti subalterni, e in tal caso occorre combattere lo sviluppo fine a se stesso.

Questo carattere contraddittorio della nozione stessa di sinistra, nella fase attuale, ha potuto essere rimosso per qualche tempo. Lo strumento della rimozione è stato, per lunghi anni, l’antiberlusconismo ossessivo. Incapaci di dare un senso all’esistenza delle proprie organizzazioni, che non fosse l’attaccamento personale al potere e ai suoi vantaggi, i ceti dirigenti della sinistra italiana hanno posto il rifiuto di Berlusconi come unico contenuto e collante della propria parte politica. Ma nel momento in cui il Partito Democratico di Veltroni ha scelto di presentarsi da solo alle elezioni, l’antiberlusconismo ha funzionato contro la sinistra (cioè la sinistra arcobaleno). Se per anni si ripete che la cosa fondamentale, alla quale tutto il resto va subordinato, è impedire l’accesso al potere di Berlusconi, se in nome di questo si sacrifica ogni contenuto reale della propria politica, è chiaro che i partiti di sinistra finiscono per perdere il proprio elettorato: nella situazione in cui  ci si è trovati alle politiche del 2008, chi era legato ai contenuti reali di una politica di sinistra si è astenuto (o ha espresso un ininfluente voto per piccole formazioni di estrema sinistra)  perché ha capito che tali contenuti verranno sempre e comunque sacrificati alla necessità delle alleanze antiberlusconiane, mentre chi ha davvero introiettato la necessità di combattere Berlusconi come fine principale della politica ha votato PD.

Questa scomparsa della sinistra non ci addolora. Essa sgombra il campo dagli equivoci, fa chiarezza, e la chiarezza è sempre benvenuta. La realtà ha fatto tornare i conti, cancellando dalla storia una impostazione storica e politica ormai priva di fondamenti. Non si tratta ora di ricostruire una nuova sinistra (o una caricatura di partito comunista), che sarà finalmente quella buona, quella giusta, quella vera. Si tratta invece di capire come sia possibile far vivere gli ideali di emancipazione, giustizia, solidarietà (o, se si preferisce, i classici ideali di libertà, uguaglianza, fraternità), in una situazione in cui non è più possibile la lotta politica come l’abbiamo conosciuta finora.