A proposito  del corteo dell’11 ottobre

 

Da tempo sosteniamo l’irrilevanza delle manifestazioni autunnali della sinistra (ex?) arcobalenica.
Da anni queste manifestazioni non contano più per i loro contenuti politici, generalmente onnicomprensivi e dunque assenti, quanto per il loro significato rituale.
Anche per la manifestazione di sabato scorso, 11 ottobre, le cronache parlano di tante bandiere e striscioni di partito e di pochissimi slogan. Insomma, tanti chilometri ma a bocca chiusa, che è come dire: buona volontà, ma poche idee.

 

E’ chiaro che molti di coloro che sono scesi in piazza lo hanno fatto per dare almeno un segno di vita, nella speranza di riaccendere un’opposizione in questo paese. E questo è positivo. Ma il problema è che una manifestazione di quel tipo non ha nulla a che vedere con la costruzione dell’opposizione.
Anzi, per certi versi, ne è la negazione. Questi riti hanno infatti una duplice funzione: da un lato dare qualche gioia (almeno un giorno all’anno!) ad una base sempre più frustrata, in modo che possa continuare a raccontarsi storie sulle prospettive della sinistra, l’unità, eccetera; dall’altro servono al posizionamento del ceto politico nei rapporti con il Partito Democratico.
Un anno fa – 20 ottobre 2007 – la messinscena fu davvero formidabile. Una consistente manifestazione (circa 60mila manifestanti, non certo il milione dichiarato dagli organizzatori), fu guidata da un ceto politico che nelle settimane seguenti votò i tagli pensionistici e la precarizzazione del lavoro, facendo la guardia al bidone vuoto del governo Prodi fino alla fine.
Seguirono le elezioni di aprile: i marciatori d’autunno raccolsero poco più di un milione di voti ed il ceto politico dovette rinunciare (momentaneamente?) ai privilegi cui si era abituato.

 

Che dire della manifestazione di quest’anno?
Intanto partiamo dai numeri. Secondo Sansonetti (Liberazione del 12 ottobre) i manifestanti erano calcolabili in 300mila, dato che il corteo è sfilato per 2 ore. Quando si dice raccontare delle storie!
Chiunque abbia un minimo di esperienza di un corteo sa perfettamente che in due ore non possono sfilare più di 20-30mila persone, dato che il flusso dei manifestanti al minuto non supera quasi mai le 200 unità (200 x 120 min. = 24mila). Questa cosa è talmente verificabile che è perfino irritante doverla ripetere. Non a caso una volta, in tempi un po’ più seri, le manifestazione da 100mila persone vedevano confluire nella piazza conclusiva due o tre cortei. Oggi, chissà perché, ne basta uno anche per i 300mila….
Naturalmente Sansonetti e gli (ex?) arcobalenici non sono soli: così fan tutti, a destra e a sinistra, trasformando modeste manifestazioni in interminabili fiumane umane cui attribuire significati epocali. E siccome fa comodo a tutti, nessuno contesta questi numeri sparati in libertà. Tanto, questo è il punto, non contano niente.
Trattandosi di eventi politicamente irrilevanti che importanza possono avere i numeri?

Essi sono importanti solo per il ceto politico truffaldino che li manipola.
Ecco allora che Ferrero può dichiarare che “è finita la ritirata”, subito seguita dal “vorrei lanciare qui il coordinamento di tutte le opposizioni di sinistra”. Il tutto dopo il pubblico abbraccio con Bertinotti (quello del “vaffanculo” di Chianciano), il quale vorrebbe tornare in pista (vedi il Manifesto di oggi) con una proposta davvero innovativa, che vorrebbe essere la risposta di sinistra alla crisi finanziaria: la programmazione.
E così, dopo la “rifondazione comunista” e il “movimento dei movimenti” abbiamo il ritorno al primo centrosinistra degli anni ’60. Auguri.

 

In conclusione, il rito autunnale si è consumato e chi lo ha promosso cercherà di viverci almeno per un pò. Quest’anno, per loro fortuna, non hanno da votare misure antipopolari. L’elettorato, che ha una sua intelligenza, glielo ha impedito.
Ma le contraddizioni non saranno minori. Quale opposizione sarà mai possibile senza scontrarsi con il Partito Democratico con il quale continuano a governare allegramente nelle regioni, nelle province, nei comuni? E quale unità sarà possibile all’interno di un ceto politico impegnato in una feroce lotta per la sopravvivenza? E quale potrà mai essere la risposta alla crisi (non solo finanziaria) continuando a ragionare in termini ultra-riformisti?
Domande cruciali dalla risposta già nota: continueranno a raccontare storie, si divideranno su come raccontarle, ma troveranno sempre meno persone disposte a farsi abbindolare. I numeri (quelli veri) della manifestazione di quest’anno ce lo dicono chiaramente.

 

La Redazione