Il primo ministro iracheno Al Maliki ha chiesto il ritiro delle truppe britanniche dal sud del paese (El Paìs 13.10.2008): ritiene che non sono più necessarie per il mantenimento della sicurezza nella regione e che pertanto occorre voltare pagina.

Ma lo stesso Al Maliki sottolinea la necessità di un ritiro parziale, perché c’è bisogno di una  presenza militare della potenza straniera che supporti le forze irachene soprattutto per gli aspetti tecnologici. Ma al primo posto stanno le relazioni commerciali e gli scambi anche culturali con la Gran Bretagna. Il primo ministro sfoggia dunque una certa sicumera: il sud del paese sarebbe stabilizzato, occorrono sì i militari di una potenza occupante, ma non troppi e adeguatamente qualificati. Insomma Al Maliki, consapevole che nonostante la “strategia Petreus” (dal nome del generale responsabile delle operazioni in Iraq, recentemente promosso a capo del CentCom, Centro di comando USA per tutto il Medio Oriente) il nord e il centro del paese non sono affatto normalizzati, tenta di mostrare che almeno al sud le cose non vanno poi così male.
Ci preme ricordare come la gran cassa mediatica abbia sempre presentato il nord dell’Iraq, dove si concentra la maggioranza della popolazione curda, come un’isola felice grazie appunto all’ampia autonomia dal governo centrale di cui gode la regione, di fatto fin dal 1991. E’ però davvero strana un’isola felice che contemporaneamente è anche l’unica regione del paese dove le elezioni amministrative previste per il prossimo gennaio sono state sospese sine die, proprio per un sostanziale disaccordo su contenuti ed ampiezza dell’autonomia.
Quanto al centro del paese, la “strategia Petreus”, costituita dall’aumento della presenza militare USA sul terreno (soprattutto a Baghdad  e dall’alleanza fra alcuni settori della Resistenza baathista – sunnita per contrastare i qaedisti, si sta rivelando un espediente tattico: gli attacchi degli ultimi due mesi dimostrano che la situazione non si sta per nulla normalizzando in senso favorevole alla potenza occupante.
Ciò perché la Resistenza in Iraq è rappresentata da forze diversamente connotate in senso sia politico che religioso e fra loro, purtroppo, molto divise se non addirittura ostili. Certo, diversità e divisioni hanno favorito gli USA e i loro alleati, che fanno un ampio ricorso alla tattica del “divide et impera” impedendo un processo unitario fra le forze della Resistenza, ma non fino al punto di garantire loro la vittoria di cui pure si favoleggiava al momento dell’aggressione del marzo 2003.
La situazione in Iraq fa pensare ad una sorta di impaludamento, o meglio di insabbiamento data le geografia del territorio, che consente di prendere tempo alle forze di occupazione ma anche alla Resistenza. E Al Maliki sembra saperlo bene, visti tutti i distinguo che seguono alla richiesta di ritiro.

La Redazione