Purtoppo siamo costretti a registrare altri 30 feriti nella regione Sud occidentale del Cauca, in Colombia, dopo gli ennesimi scontri tra polizia e manifestanti indigeni. Questi ultimi continuano a reclamare la restituzione delle terre in mano ai gruppi paramilitari. Da giorni i manifestanti hanno bloccato l’autostrada Panamericana, dopo la morte di un loro leader, in segno di protesta. Il presidente della Colombia, Alvaro Uribe, ha subito avvertito i manifestanti: “Il governo non tollererà altri blocchi stradali”, richiedendo l’intervento immediato della polizia per procedere alla rimozione dei blocchi. Lo stesso Preseidente ha accusando la guerriglia organizzata di essersi infiltrata tra i manifestanti.

Al di là del fatto specifico, è importante non sottovalutare ciò che sostiene l’Organizzazione nazionale indigena della Colombia (ONIC): gli indigeni “sono vittime di un genocidio”. Dando un’occhiata ai dati forniti dall’ONIC, risulta che dal 2002 sono state 1.253 le persone uccise da parte dei paramilitari o delle Forze dell’Ordine, un numero davvero preoccupante! Vanno registrate anche ben 54 mila espulsioni coatte dai propri territori, che vanno ad aggiungersi ai 4 milioni di sfollati all’interno del Paese.

La situazione colombiana non sembra migliorare. Non accenna a placarsi la violenta repressione delle proteste indigene che divampano in 16 regioni del Paese. Gli stessi indigeni reclamano il loro diritto alla terra, chiedendo al Governo di mantenere gli impegni assunti nel 2005 davanti alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, che prevedevano la restituzione delle terre ed il diritto alla vita, visto che delle 101 etnie presenti in Colombia, ben 18 sono a rischio di estinzione – usiamo un termine volutamente forte per sottolineare la gravità della questione -.

L’epicentro delle proteste è la regione di Cauca, dove continuano le incursioni operate dall’esercito – l’ultima è di stamani – nel territorio indigeno di La Maria, in totale violazione della proprietà collettiva e dell’autonomia che la legge colombiana riconosce a tali territori.Queste violazioni sonos state condannate dalla Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), che riunisce 155 organizzazioni di difesa dei diritti umani in oltre 100 Paesi del mondo. La FIDH ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché faccia sentire la propria voce ed invii al più presto una commissione di inchiesta nel Cauca. Al presidente Uribe è stato chiesto di porre fine alle operazioni militari e ad accettare l’offerta di dialogo avanzata dai popoli indigeni già il 12 ottobre scorso.

Anche la Defensorìa del pueblo, l’istituzione dello Stato colombiano deputata alla promozione e alla difesa dei diritti umani, ha denunciato “la sproporzione e l’eccesso nell’uso di armi da fuoco da parte della forza pubblica”, ma il presidente Uribe non ha dato alcun ascolto alle richieste, definendo i manifestanti dei “terroristi” e sostenendo, senza fornire alcuna prova a riguardo, che nelle proteste vi sarebbero infiltrazioni delle Farc. I leader indigeni hanno smentito categoricamente le accuse, fornendo invece elementi di segno del tutto opposto.

Durante una manifestazione nel Cauca, un infiltrato delle Forze Armate è stato sorpreso mentre si apprestava a disseminare prove false – indumenti e radiotrasmettitori -, che avebbero poi permesso di vincolare le proteste alla guerriglia. Gli indigeni lo hanno trattenuto per alcune ore, rilasciandolo in seguito ai rappresentanti delle Nazioni Unite in condizioni di perfetta integrità fisica, ribadendo con fermezza l’intenzione di continuare le proteste fino a quando non otterranno un tavolo di trattativa con il Governo.

Una posizione in linea con quella degli 11.000 cañeros, i lavoratori della canna da zucchero, che dal 15 settembre sono in sciopero ad oltranza. Protestano per le condizioni di semi-schiavitù nelle quali sono cosretti a lavorare: 14 ore al giorno a tagliare canna da zucchero destinata alla produzione di etanolo per la misera paga di mezzo dollaro. La loro lotta, che si è affiancata a quella degli indigeni, ha subìto dal governo la stessa risposta, basata sul binomio repressione-stigmatizzazione che può contare sul sostegno di un apparato militare e mediatico ben lontani dagli standard democratici.

Anche loro, come tutti coloro che hanno ancora praticano coraggiosamente il dissenso in questo Paese, sarebbero manovrati dalle Farc, secondo il Presidente della Colomnbia, lo stesso che si era presentato trionfante davanti alla comunità internazionale per la liberazione di Igrid Betancourt ed al quale andrebbe posta una domanda: come è possibile che quella stessa guerriglia messa in ginocchio dalla “politica di sicurezza democratica” diriga tutte le mobilitazioni sociali con cui oggi si trova a dover fare i conti?

Le FARC giocano un ruolo importantissimo nelle lotte contro l’oppressione e la miseria dei colombiani e godono di un buon radicamento soprattutto fra la popolazione contadina e proprio per questo i governi colombiani hanno preteso ed ottenuto il loro inserimento nelle Liste Nere delle organizzazioni terroriste. Pertanto fa comodo ricondurre tutte le proteste alla loro direzione e, di conseguenza, affibbiare il marchio di “terrorista” alla stragrande maggioranza della popolazione.

La Redazione