Di questo vorremmo discutere all’incontro di Chianciano, nella consapevolezza che il terremoto finanziario non inficia ma conferma lo spirito che ci ha mosso in questi mesi, e rafforza la volontà di chi con noi vuole uscire dai vecchi recinti per avviare un percorso anticapitalista radicalmente nuovo quanto seriamente fondato”.

Questa  è la conclusione del breve testo sulla crisi finanziaria, diffuso dai promotori dell’incontro che si terrà a Chianciano il 25 e 26 ottobre, e che pubblichiamo di seguito.

 

Per il programma dell’incontro vedi
http://www.campoantimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=79:fuori-dal-recinto-incontro-nazionale-25-26-ottobre&catid=4:eventi-cat
la redazione

Nulla sarà come prima

Nelle prossime settimane vedremo se gli imponenti piani di salvataggio del sistema bancario adottati dai governi di Stati Uniti ed Unione Europea eviteranno il  collasso dell’economia mondiale, ovvero l’esorcizzata nuova «grande depressione».
Ove le eccezionali misure adottate non sortissero gli effetti sperati, se il fuggi fuggi dalle borse e dalle banche continuasse, se i titoli azionari continuassero a precipitare, gli effetti sarebbero drammatici. Essendosi gli Stati sobbarcati i costi colossali della catena di fallimenti bancari (con conseguente smisurato aumento del debito pubblico), una depressione economica trascinerebbe gli stati stessi, USA in primis, in una bancarotta a catena destinata a far sprofondare il capitalismo sull’orlo di una vera e propria catastrofe sistemica. Ognuno può immaginare con quali conseguenze sociali, politiche e istituzionali: disoccupazione di massa, pauperismo, fine del modello sociale consumistico, violenti conflitti sociali, radicali svolte politiche, escalation delle tensioni internazionali e nuove guerre.

Tuttavia, anche ove l’economia capitalistica riuscisse ad evitare questo collasso, appare chiaro come il tracollo dei mercati finanziari abbia prodotto ferite gravissime e causato uno scombussolamento sistemico di lungo periodo.
Anzitutto si chiude un ciclo storico, quello del cosiddetto «neoliberismo». Il ritorno sulla scena  degli Stati, non più solo come garanti di ultima istanza, bensì come proprietari del sistema bancario e creditizio, simboleggia il clamoroso fallimento di un modello di capitalismo fondato sul dogma per cui la ricerca del massimo profitto da parte dell’impresa privata in un mercato senza regole,  sia  la migliore, anzi l’unica, forza motrice della crescita costante e diffusa del benessere sociale.

La fine di questo dogma mercatista creerà le condizioni per una vera svolta di paradigma.
L’umanità è obbligata ad interrogarsi sul suo futuro, a domandarsi se siano sufficienti cure keynesiane e quindi il modello di «capitalismo sociale di mercato», oppure se non sia necessario un sistema radicalmente alternativo a quello capitalistico. Chiunque non abbia smarrito il lume della ragione e non abbia le mani in pasta con questo traballante sistema capisce che bisogna ripensare radicalmente categorie come «crescita» e «sviluppo economico»; ridefinire l’idea stessa di ricchezza sociale, in cosa essa consista, e quali siano i parametri per misurarla. Che occorre insomma, di contro a partiti politici ridotti a comitati d’affari di questa o quella consorteria capitalistica, rimettere la politica, ovvero il bene comune, al posto di comando.

Questo nei tempi medio-lunghi. Nell’immediato l’adozione di misure nazionalizzatrici tanto ingenti muterà la strutturazione del capitalismo, deciderà quali pezzi di capitalismo saranno fatti fuori e quali invece emergeranno come vincenti. Sancirà infine, su scala planetaria, una diversa gerarchia degli stati e dei popoli, mentre nei singoli paesi degli strati e delle classi sociali.

Il fatto che lo tsunami finanziario abbia travolto anzitutto gli Stati Uniti, quello che tra i capitalismi si dimostra come il più malato di tutti, ci dice che non sarà facile per questo paese conservare il suo predominio imperiale. Molti analisti convergono nel dire che la crisi economica nordamericana è strutturale, che la gran parte dei cittadini statunitensi conoscerà un serio abbassamento dei livelli di vita, che milioni di cittadini precipiteranno nel pauperismo. Questo non produrrà soltanto nuove e inedite tensioni interne, renderà molto difficile agli USA mantenere la sua micidiale ma costosissima macchina bellica. Se poi i capitali non affluissero più negli Stati Uniti come è stato fin’ora, se il dollaro perdesse il suo ruolo di moneta globale, essi si troverebbero a rinunciare ai vantaggi colossali che il resto del mondo gli concede come «signoraggio». La prossima amministrazione americana dovrà quindi decidere: spartire la torta o combattere con ogni mezzo per tenerla tutta? Accettare il proprio ridimensionamento in un nuovo ordine multipolare o ricorrere alla forza per confermare il proprio dominio imperiale?
L’Europa, proprio a causa dei suoi inscindibili legami economici con gli USA,  proprio per i costosissimi piani di salvataggio adottati, è destinata ad entrare in un periodo di turbolenze sociali, politiche e istituzionali. I settori sociali più deboli saranno quelli che dovranno pagare i costi sia della crisi che dei piani d’emergenza adottati. La maggioranza dei cittadini sarà più povera, mentre una minoranza concentrerà melle sue mani ulteriore capitale e ricchezza. Ciò non causerà soltanto aspri e inediti conflitti sociali ma pure crisi e fratturazioni politiche che metteranno a durissima prova non solo i governi, ma pure l’assetto istituzionale bipolare. Gli attuali equilibri istituzionali potrebbero saltare, anche a causa del fatto che i cittadini cercheranno nuove vie di partecipazione e altre forme di rappresentanza.

DI QUESTO VORREMMO DISCUTERE ALL’INCONTRO DI CHIANCIANO, NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE IL TERREMOTO FINANZIARIO NON INFICIA MA CONFERMA LO SPIRITO CHE CI HA MOSSO IN QUESTI MESI, E RAFFORZA LA VOLONTÀ DI CHI CON NOI VUOLE USCIRE DAI VECCHI RECINTI PER AVVIARE UN PERCORSO ANTICAPITALISTA RADICALMENTE NUOVO  QUANTO SERIAMENTE FONDATO.

I promotori