Gli Stati Uniti hanno violato lo spazio aereo siriano con quattro elicotteri, provenienti dall’Iraq, che hanno bombardato edifici ad uso sicuramente civile. Dagli elicotteri poi sono sbarcati alcuni soldati che hanno assassinato 8 persone, di cui 4 bambini, e ferito altre 14. Tutte le vittime sono civili.
L’attacco è avvenuto ieri, 26 ottobre, in una località presso la frontiera con l’Iraq.

L’amministrazione USA, la CIA e il comando militare americano in Iraq per un giorno e mezzo non hanno commentato, mentre le autorità siriane convocavano l’Incaricato degli affari degli Stati Uniti e l’ambasciatore iracheno in Siria per avere i chiarimenti del caso e soprattutto perché attacchi del genere non si ripetano più.
Oggi pomeriggio una fonte governativa anonima ha rivendicato la paternità statunitense dell’attacco, qualificandolo come un successo nella lotta contro Al Qaeda; il ministro degli esteri siriano, da Londra, ha invece affermato che si è trattato di una vera e propria azione terrorista. Ed ha pienamente ragione.
I principali media hanno accreditano a livello internazionale la versione per cui l’attacco sarebbe avvenuto per indurre la Siria a impedire il passaggio di uomini e armi in Iraq e non creare quindi ulteriori problemi alle forze di occupazione, già alle prese con la Resistenza autoctona e impantanati politicamente, visto che la bozza di accordo per la permanenza delle truppe anche dopo la scadenza del mandato ONU è ostacolata da tutte le forze politiche della maggioranza che sostiene il governo Al Maliki, ad eccezione di quelle curde.
Gli Stati Uniti, rivendicando l’atto terrorista, sembrano avvalorare questa tesi.
Però negli ultimi mesi le relazioni fra Stati Uniti e Siria erano in via di distensione e i rispettivi ministri degli esteri avevano avviato un dialogo, relativo a possibili negoziati per la pace in Medio Oriente; inoltre nemmeno un mese fa il presidente iracheno Talabani aveva rassicurato direttamente Gorge Bush sul fatto che Siria e Iran non costituivano più un problema per la sicurezza dell’Iraq.
Ma gli Stati Uniti e Israele sanno bene che se non riusciranno ad addomesticare l’Iran il loro progetto di una stabile egemonia su tutto il Medio Oriente è destinato a saltare. Inoltre la Siria, proprio un anno fa, subì una provocazione ad opera di Israele, che addusse la fumosa motivazione di aver distrutto un impianto finalizzato alla produzione di materiale nucleare. Inoltre dobbiamo ricordare che Iran e Siria hanno stretto un patto di mutua difesa, per il quale ogni partner è tenuto ad intervenire in difesa dell’altro in caso di attacco militare.
E’ quindi probabile che l’attacco sia finalizzato a suscitare una reazione iraniana nella prospettiva di avviare gradualmente, attraverso una serie di atti provocatori, una escalation che apra agli Stati Uniti una via d’uscita dall’impantanamento in cui si dibattono sia in Iraq che in Afghanistan, nonché  a mettere la futura amministrazione di fronte ad un fatto compiuto, in modo da costringerla a mantenere almeno in parte la tattica seguita da Bush per realizzare il progetto strategico, e comune anche ad una eventuale presidenza democratica, del Grande Medio Oriente.
La Redazione