L’istruzione italiana si trova di questi tempi sotto un pesante attacco. Un’ondata di protesta di dimensioni ragguardevoli sta rispondendo. Non è dato sapere se queste proteste dureranno, dando vita ad un vero e proprio movimento, o se sono un fuoco di paglia che si spengerà nel giro di poche settimane. Tuttavia al momento bisogna registrare il fatto che erano almeno quindici anni che in Italia non si vedevano proteste di questa portata in questo settore. Inoltre, fatto ancor più importante, per la prima volta dopo tanto tempo le varie componenti dell’istruzione partecipano alla protesta in ugual misura: docenti universitari, precari della ricerca, Rettori, insegnanti, studenti universitari e medi sono ugualmente attivi e formano al momento un fronte compatto.

Scopo di quest’articolo non è però quello di commentare la protesta (peraltro in divenire), ma di fornire un quadro generale della situazione dell’istruzione italiana a beneficio di coloro i quali non vivono la scuola o l’università dall’interno.

Per fare questo credo sia utile fare chiarezza, in modo sicuramente schematico, su alcune questioni:

1) I tagli previsti dal governo Berlusconi esistono e sono estremamente pesanti. Se attuati, Scuola e Università ne uscirebbero trasformate (in peggio ovviamente). Solo nella scuola i Ministri Tremonti-Gelmini calcolano un “risparmio” (leggi taglio) di ben 131.900 posti di lavoro in meno (87.400 insegnanti e 44.500 tecnici da tagliare nei prossimi tre anni). Questi numeri sono contenuti nella relazione tecnica allegata al decreto legge 112/2008 (convertito con legge 133/2008) e negli allegati al Piano programmatico varato dal Ministro Gelmini.

2) Questi tagli non vanno a colpire un’istituzione sana, funzionante e felice. Il governo Berlusconi è infatti solo l’ultimo di una serie di attacchi che l’istruzione italiana sta ricevendo da molti anni da parte di TUTTI i governi che si sono succeduti. Scuola e Università versano GIA’ ORA (e non da ieri) in condizioni disastrose. Non bisogna quindi lasciarsi ingannare dalla dinamica del “difendiamo la scuola perché Berlusconi la vuole distruggere”. Dal 1997 (tentativo di riforma Berlinguer), ogni passaggio ha peggiorato la situazione dell’istruzione.

Cominciamo dalla scuola: anno dopo anno è calata la spesa che lo Stato dedica all’istruzione. Risultato: scuole sempre più scadenti e classi sempre più numerose. Nonostante tutti i pomposi discorsi berlingueriani secondo cui lo studente doveva essere il soggetto della programmazione e non l’oggetto, i tagli alla spesa hanno messo in difficoltà moltissime scuole che si sono ritrovate vicino alla chiusura. La via di fuga è stata quella di considerare gli studenti non più come persone da istruire, ma come merce utile all’esistenza della scuola stessa. In pratica si è detto “finché ci sono studenti c’è speranza”. Ma come si attirano gli studenti? Promettendo mirabolanti offerte formative e garantendo promozioni facili. Allora ecco proliferare decine e decine di indirizzi specialistici “presenti solo nella nostra scuola” che hanno il solo scopo di attirare le famiglie. In definitiva molti dirigenti scolastici e molti insegnanti hanno sposato il principio televisivo dell’indice di gradimento. Per dare un’idea di come funzionano oggi le cose nella scuola basti dire che è rarissimo che uno studente bocciato ripeta la classe. Nella stragrande maggioranza dei casi la famiglia fa cambiare scuola al proprio figlio alla ricerca di un altro prodotto (che offra, beninteso, maggiori garanzie di successo). Di più; è molto comune la pratica del cambio in corsa: se dopo qualche mese lo studente va male, lo si toglie da scuola e lo si trasferisce in un altro istituto, che da parte sua è ben contento di incrementare il numero di iscritti. Facile capire in questo contesto dove vada a finire la qualità dell’istruzione.

Ancora peggiore è la situazione dell’Università. La poca ricerca che ancora si riesce a fare è portata avanti quasi esclusivamente dai precari; dottorandi, specializzandi, assegnisti, tutti lavoratori con contratti che vanno dai tre mesi ai tre anni con nessuna tutela sindacale e pochissime speranze di stabilizzazione. Facoltà e Dipartimenti che, così come avviene nella scuola, per sopravvivere hanno bisogno disperato di studenti. Ecco quindi moltiplicarsi il numero dei corsi di laurea che offrono fantomatiche specializzazioni che garantiscono inserimenti certi nel mondo del lavoro.

Questa è la situazione attuale dell’istruzione italiana: nessuna “età dell’oro” quindi; ma una situazione di emergenza da risolvere ad ogni costo se si crede all’istruzione come ad un valore. E’ in questo contesto che opera la banda capitanata da Berlusconi. Vediamo come un po’ più nel dettaglio.

3) Si parla di “Riforma Gelmini”. In realtà, allo stato attuale, non esiste ancora una riforma completa; al massimo esiste un piano programmatico. Il Governo Berlusconi, per bocca del Ministro delle Finanze Tremonti, ha semplicemente dichiarato che si spende troppo per l’istruzione e che bisogna tagliare pesantemente la spesa (la legge finanziaria sarà lo strumento utilizzato). La Ministra Gelmini (o chi per lei) sta semplicemente agendo da “curatrice fallimentare”, proponendo smantellamenti di interi settori di Scuola e Università col solo scopo di far quadrare i conti. Il decreto 137, nel frattempo diventato legge, è solo il primo passo di questo smantellamento. Si è partiti colpendo il settore che funzionava meglio in Italia: la scuola primaria. La reintroduzione del maestro unico non ha alcuna valenza pedagogica, ma è solo un modo per risparmiare stipendi. Successivamente si opereranno forti tagli di personale nella scuola media e superiore aumentando il numero di alunni per classe (continuando la politica del precedente Ministro di centrosinistra Fioroni), diminuendo il numero delle ore complessive, chiudendo le scuole con pochi studenti; e pazienza se queste scuole sono le uniche possibilità per ragazzi che abitano fuori dalle città, in fin dei conti non è mica colpa del Ministero dell’Istruzione se la popolazione italiana non è rigorosamente concentrata in pochi centri abitati. Si può obiettare che in Italia non è (ancora) possibile licenziare dipendenti pubblici se l’azienda non va bene, per cui è falso sostenere che gli insegnanti perderanno il lavoro. Vero. Ma la diminuzione dei posti “libererà” molti insegnanti che si troveranno senza cattedra. Questi saranno in qualche modo riassorbiti, magari mettendoli ad insegnare materie diverse dalla propria (“affini” secondo il gergo ministeriale). Le conseguenze di questa manovra saranno due: un calo della qualità dell’insegnamento, in quanto molte persone insegneranno una materia diversa dalla propria, e un blocco delle assunzioni, che porterà ad un ulteriore invecchiamento della classe docente, lasciando per strada tutta la generazione dei trenta/quarantenni. Ancora più buia è la situazione universitaria. Un settore che avrebbe bisogno di massicci finanziamenti per ritrovare una propria dimensione si trova ad essere ulteriormente penalizzato. Il blocco dei concorsi per l’assunzione è realtà già da molto tempo (non è opera di Berlusconi); migliaia di ricercatori (sempre nella fascia d’età dei trenta/quarantenni) si vedrà scadere il contratto entro giugno 2009. Che ne sarà di tutti loro? E con loro, che ne sarà della (rimanente) ricerca scientifica italiana? L’ipotesi ventilata di trasformare gli Atenei in Fondazioni a partecipazioni privata non si sa quanto possa essere realisticamente praticabile, ma da un’idea di quale sia il fastidio che questi governanti provano al cospetto di un’Istituzione che non rende quanto una concessionaria d’auto.

4) L’opposizione al piano Tremonti-Gelmini. Quanto scritto fino ad ora dovrebbe dare un’idea sul fatto che la politica di questo governo è solo l’ultima tappa (anche se particolarmente robusta) di un processo in atto da molti anni. Di fronte a questo scenario è doveroso chiedersi qual è la natura di chi si oppone. Chi scrive ritiene che l’opposizione alla legge Gelmini sia di natura doppia: da una parte studenti, insegnanti, precari della scuola e dell’università preoccupati (giustamente!) per il loro futuro. Dall’altra un’opposizione parlamentare pochissimo credibile. Come si può credere a chi ha avuto negli ultimi quindici anni responsabilità governative almeno pari a coloro i quali ci governano adesso? Ovviamente la domanda per i più è retorica, ma anche chi volesse credere ad un tardivo “pentimento” di questi figuri dovrebbe ascoltare le dichiarazioni dell’opposizione. Che cosa si rimprovera in fondo al Governo? Di “essere arrogante” (?), di non voler “ascoltare”, di “non accettare emendamenti ai propri decreti legge”, di “non cercare il dialogo” (!). Ossia, traducendo dal politichese: di non voler concertare con sindacati e associazioni di categoria. In altre parole, non si contestano i contenuti (tutti d’accordo sulla “razionalizzazione” della spesa), ma il modo di procedere. Questo governo non vuole dare l’illusione di cedere ai sindacati accettando una trattativa. Qui sta lo scandalo per Veltroni e soci. Questa si che è una vera opposizione!

Bisogna semmai rilanciare una diversa idea di Scuola e di Università avendo il coraggio di affermare un principio tanto ovvio quanto poco scontato: l’istruzione prevede dei costi. La ricerca costi ancora maggiori. Se si vuole un buon prodotto finale (studenti preparati e ricerca efficiente) si deve accettare questo fatto e spendere. Altro che tagliare! Ogni trattativa che punti quindi a limitare i danni sposando la logica del “comunque una razionalizzazione è necessaria” è perdente in partenza e va rifiutata senza esitazione. E’ presto per fare previsioni sulla forza e la durata di queste proteste. E’ difficile prevedere come questo potenziale movimento si intreccerà con gli effetti della pesante crisi finanziaria che con ogni probabilità trasformerà il nostro mondo e con gli scenari internazionali che si presenteranno. Ma, pur senza farsi illusioni, i segnali che stanno arrivando sono sicuramente i più incoraggianti da diverso tempo a questa parte.