Mozione conclusiva approvata dal Comitato Politico Internazionale
Vienna, 4 febbraio 2008

1. Il Medio oriente è il baricentro del sistema geopolitico mondiale.

Approfittando del crollo dell’URSS gli Stati Uniti d´America hanno intensificato la loro politica aggressiva, ben sapendo che la loro supremazia mondiale dipende dalla capacità di esercitare uno stabile predominio in questa turbolenta regione. Sin dal 1991 Washington persegue il progetto strategico americano, meglio noto come «Grande Medio Oriente». Questo disegno non tollera alcun regime ostile (vedi il caso iracheno) e implica il debellamento di ogni Resistenza antimperialista.
Nella sua variante più estrema esso implica modificare profondamente l´attuale configurazione geopolitica, ridisegnando i confini lasciati in eredità dal vecchio colonialismo europeo trasformando i già aleatori stati-nazione in deboli satrapie imperiali. Questo progetto richiede dunque tre condizioni: una capillare rete di basi militari statunitensi, il rafforzamento di Israele come prima potenza militare regionale, l’annientamento delle Resistenze.
Ammesso che un domani la regione possa stabilizzarsi nella forma di una cimiteriale pax americana, il disegno del «Grande Medio Oriente» implicherà nel medio periodo che essa conoscerà uno stato di guerra permanente.
L´Unione Europea, i  cui  specifici interessi a volte non collimano con quelli statunitensi, agisce tuttavia come il principale alleato strategico degli americani. Diverso è il discorso per russi e cinesi, la cui comuni ambizioni strategiche, sono destinate a configgere, sul lungo periodo, con quelle di Washington.
Il Campo Antimperialista respinge il disegno americano, si impegnerà a contrastarlo, sostenendo anzitutto i movimenti di Resistenza, cosi come il diritto all´autodifesa di tutti i paesi minacciati ed eventualmente aggrediti dagli Stati uniti e/o dalle coalizioni da esso capeggiate, anche nel caso esse siano camuffate con le insegne delle Nazioni Unite.

2. La Repubblica Islamica dell´Iran, pur nell´avvicendarsi di governi diversi, rappresenta un ostacolo insormontabile alla realizzazione del «Grande Medio Oriente». Tehran, perseguendo il legittimo obbiettivo di sfuggire alla punitiva divisione internazionale neocolonialista del lavoro, non potrà  trovare la via del proprio sviluppo economico e sociale senza difendere e consolidare la propria sovranità e questo, in un contesto segnato dalla supremazia dell´imperialismo, implica spezzare l´accerchiamento, costruire una cintura difensiva e quindi contrastare Israele, che resta la punta di lancia e la principale roccaforte della supremazia nordamericana.
La Repubblica islamica dell´Iran è dunque costretta a svolgere un ruolo antiamericano e antisionista ovvero, in questa fase, un ruolo antimperialista. Ciò è attestato dall’appoggio deciso di Teharan non solo ad Hezbollah in Libano ma pure ad Hamas in Palestina.
Gli Stati Uniti tenteranno in ogni maniera di ottenere quello che chiamano il regime change. Ove non vi riuscissero con le pressioni politiche, le cospirazioni interne in stile rivoluzione arancione, i ricatti, le minacce e le sanzioni, non v’è dubbio che essi sono pronti a scatenare una guerra d´aggressione.
Noi sosteniamo il diritto all`autodifesa dell’Iran, non solo in caso di attacco missilistico o di guerra dispiegata, ma anche contro eventuali sanzioni ed embarghi che sarebbero solo un modo di tenerlo sotto assedio al fine di fiaccarlo in vita del definitivo confronto militare.
Dobbiamo quindi animare una campagna internazionale allo scopo di costruire un movimento unitario e inclusivo contro la minaccia d´aggressione. Non ci nascondiamo le grandi difficoltà di questa impresa. Abbiamo già a che fare con una martellante e insidiosa propaganda antiraniana tendente ad isolare non solo l´Iran ma ogni movimento contro la guerra. La difesa del´Iran sarà linciata, diffamata e condannata in modo virulento. Dovremo sapere ribadire che mentre appoggiamo in linea di principio l´indipendenza e l´integrità territoriale del paese e il suo diritto a difendersi da eventuali attacchi dell`imperialismo, condanniamo la politica interna del regime quando essa reprime con la forza i movimenti sociali di protesta, anzitutto quelli degli strati più oppressi, quando reprime i diritti delle minoranze nazionali, quando nega elementari diritti democratici e civili.

3. Le conseguenze della spinta americana a spostare e concentrare le proprie forze in vista del rovesciamento della Repubblica islamica iraniana si fanno sentire pesantemente in Iraq.
Washington non avrebbe potuto rovesciare il regime baathista e installare a Baghdad un regime fantoccio senza il lasciapassare e l’ausilio dell’allora governo dell’Aiatollah Mohammad Khatami. L’avallo che quel governo fornì ritenendo l’occupazione USA come preferibile rispetto alla sopravvivenza del regime baathista, non solo resta una macchia indelebile nella politica iraniana; esso si è risolto nel fornire un grande vantaggio alla stessa strategia anti-persiana di Bush.
La poderosa ascesa della Resistenza sunnita e il fallimento americano di debellarla con l’assalto frontale incrinarono la già traballante gestione condominiale degli affari iracheni. L’avvento al potere di Ahamdi Nejad (agosto 2005), e l’attacco criminale alla moschea shiita di Samara (gennaio 2006), segnano simbolicamente l’avvio di una seconda tragica fase per l’Iraq occupato. I due settori principali della Resistenza sunnita, quello qaedista da una parte e quello baathista dall’altra —il primo a causa del proprio takfirismo che condanna gli shiiti come apostati e infedeli, il secondo a causa del cieco nazionalismo antipersiano che considera gli shiiti come safavidi—, hanno preso a colpire la comunità shiita come nemico principale. Lungi dall’indebolire l’occupazione questa strategia si è rivelata un vero e proprio suicidio.
Gli americani hanno prima fomentato lotta fratricida tra le due principali comunità religiose poi, ponendosi come arbitri, hanno chiamato ad una nuova alleanza per stroncare le formazioni guerrigliere qaediste da una parte, e le milizie shiite dall’altra. La mossa americana ha sortito i suoi effetti. La Resistenza sunnita, già incapace a unirsi in un fronte unito, si è divisa in maniera irreparabile. Dopo i primi scontri armati (primavera 2007) alcuni settori della Resistenza, allo scopo di contrastare le frazioni qaediste da una parte, e di combattere la «pulizia etnica» portata avanti da numerose milizie shiite dall’altra, decidono di collaborare con gli occupanti. In questo contesto gli americani non solo mettono sul loro libro paga migliaia di ex-guerriglieri ma obbligano il governo fantoccio a riabilitare gli ex-funzionari baathisti.
L’Iraq sta ora entrando in una nuova terza fase. Il governo di Tehran non può dunque accettare né che vengano annientate le milizie shiite (anzitutto quelle del Mahdi riconducibili alla zigzagante guida di Moqtada al-Sadr) né che i suoi aalleati a Baghdad vengano cacciati dal governo; deve contrastare ogni stabilizzazione dell’occupazione (necessaria agli americani in vista dell’eventuale attacco all’Iran), D’altra parte il processo di ricomposizione della Resistenza sunnita, dopo la fase di disgregazione iniziata nel 2006, sotto l’incalzare degli eventi, produrrà i suoi frutti. E’ la determinazione americana a consolidare l’occupazione e a spazzare via la Repubblica islamica iraniana a fornire alla Resistenza radici profonde.
Il Campo Antimperialista continuerà a indirizzare tutti i suoi sforzi nel sostegno alla Resistenza irachena, augurandosi che essa sappia trovare forme e vie nuove, lasciandosi alla spalle il triste periodo del fanatismo religioso e del cieco nazionalismo. Il popolo iracheno, che ha il grande merito storico di aver mostrato al mondo che si può combattere la potenza imperiale più forte di tutti i tempi, non potrà infatti liberarsi contando solo sulle proprie forze. C’è bisogno di battere gli Stati Uniti, di cacciarli dal Medio Oriente, e ciò richiede una lotta di lunga durata e l’unione più ampia dei popoli della regione.

4. La strategia di un «Nuovo Medio Oriente» implica l’approfondimento dell’attacco al popolo palestinese. Nessuna stabilizzazione imperialsta è possibile senza schiacciare per sempre la Resistenza di questo popolo che lotta ormai da più di sessanta anni all’occupazione sionista.
La reazione imperiale all’egemonia di HAMAS ha comportato il completo stravolgimento dell’assetto politico risultante dalle elezioni, con l’imposizione in Cisgiordania del governo fantoccio a guida Fatah. Nella Striscia di Gaza ciò non è stato possibile, perché le forze popolari, nel giugno 2007, sono riuscite a difendere il loro diritto–dovere di governare. La legittima difesa armata ha provocato una risposta durissima da parte di Israele e dei suoi alleati, tra cui il medesimo presidenete Abu Mazen.
La Striscia di Gaza, che prima del giugno 2007 era stata una prigione a cielo aperto, è ormai diventata un campo di concentramento perché l’isolamento va ben oltre le forme di embargo tradizionali; in Cisgiordania le manifestazioni a sostegno della popolazione di Gaza vengono duramente represse dal governo fantoccio; i governi dei paesi arabi non muovono un dito, se non per tenere sotto controllo le rispettive popolazioni schierate con la Resistenza dei loro fratelli palestinesi. La Conferenza di Annapolis e la successiva Riunione di Parigi, sotto le insegne della pace e dello slogan “due popoli, due stati”, hanno in realtà sancito l’assedio di Gaza, avallando il tentativo sionista di definitivo strangolamento.
Ribadiamo la nostra solidarietà alla Resistenza palestinese con l’impegno a proseguire il lavoro già avviato a sostegno della popolazione della Striscia di Gaza e del legittimo governo palestinese, pur sapendo che incontreremo numerosi ostacoli anche da parte di soggetti che si dichiarano amici dei palestinesi. In particolare dovremo lavorare affinché in tutti i Paesi in cui il Campo è presente sorgano Comitati di solidarietà con Gaza, sul tipo di quelli già attivi in Italia, Inghilterra e Grecia, capaci di coinvolgere singoli, realtà organizzate e se possibile figure istituzionali e non dovremo desistere dal proposito di portare la nostra solidarietà, attraverso delegazioni rappresentative dei Comitati e Associazioni di volontariato antimperialista, in Palestina e dentro l’inferno della Striscia di Gaza.

5. Il contesto di crescente acutizzazione del conflitto mediorientale incontra in Libano uno dei centri geometrici dove convergono le diverse e opposte spinte. La sconfitta subita da Israele ad opera della Resistenza capeggiata da Hezbollah, spinge Israele a cercare un definitiva rivincita. Né i sionisti né la Santa alleanza imperalista possono tollerare l´egemonia della Resistenza nel paese dei cedri. Un contrattaco israeliano è nell´ordine delle cose. Questa minaccia spiega l´invio di truppe cosiddette di pace (UNIFIL 2), inviate non solo per coprire le spalle ad Israele ma pensate come forza di deterrenza anti-Hezbollah nell’eventualità di uno scontro interno frontale. La presenza di queste truppe spiega la tracotanza del blocco di Hariri, spiega la tracotanza con qui esso  respinge ogni compromesso con la Resistenza nazionale e contribuisce alla crisi istituzionale, crisi che potrebbe precipitare in una nuova guerra civile.
La Resistenza libanese va sostenuta nei suoi sforzi di evitare un sanguinoso conflitto interlibanese, ma andrà appoggiata anche nel caso questo conflitto diventi ineluttabile. Un conflitto che potrebbe fungere da prova generale della battaglia che deciderà delle sorti della globale strategia americana e, sullo sfondo di quelle di Israele.

6. L`Afghanistan è un altro luogo decisivo in cui gli Stati Uniti si giocano la possibilità di  consolidare la propria strategia imperiale. Fallito il tentativo di schiacciare la Resistenza popolare, perso il controllo del territorio anzitutto nelle  regioni a maggioranza Pashtun, Washington, col pieno appoggio europeo, tenterà, come ha fatto In Iraq, di rimodulare la propria politica, integrando nel regime fantoccio questo o quel notabile o capoclan locali fino a ieri ostili, allo scopo di dividere e indebolire la lotta di liberazione e isolare i settori intransigenti, non solo talebani.
Anche qui, come in Iraq, gli Stati Uniti si illudono se pensano che sia possibile ritirare la propria soldataglia senza pregiudicare la loro strategia. Nessun regime filoimperialista farebbe infatti molta strada contando solo sulle proprie gambe.
La difesa della Resistenza afghana e la battaglia per il ritiro delle truppe d’occupazione, restano due  punto fermi della nostra iniziativa intenazionale, anzitutto in Europa, visto che l’occupazione vede direttamente coinvolta la NATO, occupazione che trova un dissenso crescente nei paesi direttamente coinvolti nel conflitto e che non cesserà di costituire un motivo di dissidio  tra le stesse forze politiche del blocco politico imperialistico

7. Oltre alla prima linea mediorientale non possiamo trascurare che c’è una seconda linea della lotta antimperialista, anzitutto quella in America Latina, di quella meridionale in particolare. Qui è fallita la proposta strategica imperiale nordamericana di controllo totale del continente con l’area di Libero Commercio delle Americhe. L’impero è stato costretto ad una ritirata tattica cercando accordi bilaterali. Gli Stati Uniti si sono tuttavia trovato davanti  ad un polo alternativo che vede nel Venezuela di Chavez il suo pilastro.
Il Venezuela, con la proposta di ALBA e grazie alla coraggiosa politica interna bolivariana antioligarchica, è diventato infatti il motore di una potenziale coalizione antimperialista dei paesi e dei popoli latinoamericani.
Se confrontiamo i passi avanti compiuti da Chavez alla politica di sudditanza agli americani seguita da Lula in Brasile, possiamo comprendere l’ìimportanza della spinta che viene dal Venezuela.

L’impero americano non è ancora passato ad una politica di scontro frontale in America Latina solo perché in questa fase da priorità alla sua battaglia in Medio Oriente. Abbassare la guardia della solidarietà sarebbe tuttavia un errore fatale. Il Campo Antimperialista sostiene, malgrado certi suoi limiti, il processo di trasformazione sociale in atto in Venezuela e si impegna a difenderlo dagli attacchi esterni e interni. Appoggia in maniera decisa anche il tentativo chavista di gettare le basi per uno sganciamento regionale dalla sfera imperiale.

8. La solidarietà alle Resistenze resta la stella polare della nostra attività. Essa va declinata nella prospettiva di un blocco antimperialista internazionale che inglobi non solo le Resistenze del Primo fronte mediorientale e del Secondo fronte (il resto delle periferie semicoloniali con in testa l’America Latina), ma pure quelle del Terzo fronte europeo.
Sulla scia degli Stati Uniti anche nell’Unione Europea la guerra imperialista permanente, tra le svariate forze in campo, è diventata quella motrice. Quest’ultima determina e traina la proteiforme americanizzazione dell’Europa. La NATO è il basamento storico senza il quale l’edificio dell’Unione non sarebbe mai stato costruito. E’ l’organizzazione attraverso cui l’Europa partecipa in prima persona all’attacco alle Resistenze dei popoli oppressi, e aderisce alla strategia di contenimento dell’asse russo-cinese.
Per questo la  chiusura delle basi americane e la soppressione della NATO, per quanto difficili, restano tra i motivi motivi principali dalla battaglia degli antimperialisti in Europa.

Questo è tuttavia solo il primo aspetto della battaglia contro l’americanizzazione. Il secondo riguarda la battaglia contro l’oligarchia dominante. Capitalisti, affaristi, banchieri, politicanti, sbirri, giudici, intellettuali, giornalisti —in una parola tutti gli ordini che formano appunto una vera e propria oligarchia— sono in larghissima parte filo-americani. Essi rappresentano la cinghia di trasmissione grazie alla quale a Washington è possibile incatenare l’Europa al ruolo di protesi; sono i conduttori della visione del mondo americana, gli artefici dell’egemonia sociale e culturale della forma americana del capitalismo, ovvero di un  sistema fondato sull’esclusione sociale in cui gli oppressi non hanno voce, in cui il proletariato, scippato della sua memoria storica, è solo la parte variabile e subordinata del capitale, intruppato come forza di complemento nel blocco patriottardo imperialista eiro-americano.
Il Campo Antimperialista non è dunque indifferente a tutti i tentativi che tenderanno ad organizzare e a fornire rappresentanza politica agli eslusi e agli oppressi. Lo faremo all’insegna del collegamento e della solidarietà con le Resistenze del primo e del secondo fronte, respingendo ogni separazione tra valori antimperialisti e valori anticapitalisti di giustizia  sociale. E’ la struttura imperialistica del sistema capitalistico a far si che ogni  lotta anticapitalista debba essere antimperialista.

C’è infine un terzo aspetto della nostra battaglia in Europa. La tendenza alla guerra permanente determina l’adeguamento dei sistemi sociali, politici e istituzionali, alle necessità della guerra medesima. La guerra permanente porta con sé la tendenza a rimpiazzare i tradizionali sistemi democratici con sistemi istituzionali oligarchici contraddistinti dal dispotismo, dal militarismo, dal populismo xenofobo. Gli Stati Uniti indicano la via. Si tratta di mutamenti di fondamentale importanza che conducono, attraverso strette repressive crescenti, dispositivi e politiche securitari sempre più stringenti, a demolire lo Stato di diritto per sostituirlo con una efficiente e capillare Stato di polizia. Questi mutamenti non si limitano alla sfera istituzionale, essi sono piuttosto il riflesso di profondi sconquassi già avvenuti nella cosiddetta «società civile», sconquassi seguiti al crollo delle paratie rappresentate dal vecchio movimento operaio e comunista.
Uno dei paradigmi per giustificare la necessità di questa torsione autoritaria è la lotta contro il terrorismo, alias delle Resistenze popolari, anzitutto di quella islamica, poiché essa rappresenta gli oppressi nel primo fronte della guerra permanente.

Non si tratta soltanto, contro la tendenza imperante al dispotismo securitario, di difendere questo o quel diritto democratico, né la democrazia in astratto. Si tratta di fare della difesa dello Stato di diritto in quanto tale una delle leve principali della nostra azione politica. Le stesse lotte per i diritti sociali non hanno respiro se esse non attaccano le politiche imperialistiche, filoamericane e neoautoritarie delle oligarchie capitalistiche europee. Come la democrazia non può esistere senza giustizia sociale, quest’ultima implica la difesa della democrazia. Su questo terreno di Resistenza nuovi soggetti entreranno in scena. Nuove alleanze democratiche e rivoluzionarie sorgeranno, spazzando via la consunta polarità sinistra-destra.