Le (poco note) regole elettorali dell’impero a stelle e strisce

Da sempre la “democrazia” americana ci viene indicata come un modello. Negli ultimi vent’anni i riferimenti a questo modello sono divenuti ossessivi. Bipartitismo, alternanza, spirito bipartisan sono diventate le parole obbligate del politicamente corretto. E siccome per gli americani di casa nostra la “democrazia” coincide (e, soprattutto, si esaurisce) nel voto, ossessivi sono diventati i richiami a quel sistema elettorale.

Attenzione!, questo è avvenuto soprattutto nel campo della sinistra: Occhetto promosse con Segni il sistema maggioritario uninominale, mentre Veltroni è stato il primo leader di partito ad essere stato incoronato con le primarie.

Ed è proprio seguendo la traiettoria che va dallo scioglimento del Pci alla nascita del Pd che si ritrova tutto l’armamentario e la terminologia di derivazione americana. Siccome a costoro l’America non bastava, hanno voluto scimmiottare anche la Gran Bretagna, dotandosi di un ridicolo “governo ombra” al quale, ovviamente, nessuno ha mai prestato attenzione.

Ma torniamo agli Usa, dove si voterà tra tre giorni, per vedere, per punti, come funziona concretamente il sistema elettorale dell’impero a stelle e strisce. 

 

Chi elegge il presidente?

I più credono che il presidente degli Stati Uniti venga eletto direttamente dagli elettori americani.

Errore! Gli elettori scelgono, stato per stato, i 538 “Grandi elettori” che andranno a comporre lo “United States electoral college” che successivamente nominerà formalmente il nuovo presidente. In teoria (ed è avvenuto in passato, ma in casi non determinanti) un “grande elettore” potrebbe anche passare dal campo democratico a quello repubblicano e viceversa. 

 

Chi sono gli elettori?

Quasi tutti pensano che, così come avviene in Europa, siano elettori tutti i cittadini americani maggiorenni.

Falso! Negli Usa si può esercitare il diritto di voto solo se ci si è preventivamente registrati. E nella maggioranza degli Stati è necessario dichiarare la propria affiliazione partitica. In pratica bisogna registrarsi o come democratici, o come repubblicani, o come indipendenti. Alla faccia della segretezza del voto! 

 

Registrazioni e cancellazioni, laddove regnano truffe e imbrogli

Le norme sulle registrazioni cambiano da Stato a Stato. In alcuni stati occorre registrarsi con largo anticipo, in altri meno.

In ogni caso le registrazioni vengono vagliate da apposite commissioni, che cancellano le persone con precedenti penali, quelle interdette dai pubblici uffici o comunque ritenute non idonee ad esercitare il diritto di voto.

A volte le decisioni  di queste commissioni possono alla fine risultare decisive.

Ben noto è il caso della Florida nelle elezioni presidenziali del 2000. Quell’anno la commissione preposta cancellò ben 57.000 registrati, in grande maggioranza neri ed ispanici. Bush vinse in Florida (dopo ripetuti riconteggi) con 538 voti di scarto su Al Gore, ed i delegati della Florida furono decisivi per eleggere il presidente.

Ecco a voi la “Grande Democrazia Americana”! 

 

Un sistema ultramaggioritario

Abbiamo detto che 538 voti della Florida decisero il nome del presidente. Un presidente, George W. Bush, che pure aveva ottenuto un totale complessivo di 50 milioni e 456mila voti contro i 50 milioni e 999mila di Al Gore.

Come già successo altre volte, il candidato con meno voti vinse la competizione elettorale in virtù di un sistema ultramaggioritario (a qualcuno fischiano le orecchie?).

I “grandi elettori” infatti non vengono eletti proporzionalmente ai voti ottenuti, bensì secondo il principio “winner takes all”. Chi vince in ogni singolo Stato (con l’eccezione del Maine e del Nebraska) si prende tutti i delegati.

Questo spiega il perché non vi sia praticamente campagna elettorale in California, i cui 55 delegati andranno certamente ad Obama, o nel Texas dove i 34 delegati saranno certamente conquistati da McCain; mentre ci si concentra piuttosto su stati giudicati incerti come il North Carolina, l’Ohio (decisivo nel 2004) e la ricorrente Florida. 

 

Il colore della pelle di chi vota

E’ nota la bassissima percentuale della partecipazione al voto negli Stati Uniti. Che le politiche governative siano condivise oppure no, gli americani sembrano accomunati però da una certezza: l’impossibilità di cambiarle in maniera apprezzabile con il voto.

Per alcuni sarà condivisione, per altri rassegnazione, ma la natura oligarchica della “Grande Democrazia Americana” appare ben compresa.

C’è, però, un altro dato degno di nota. Secondo lo United States Census Bureau, nel 2004, anno in cui si ebbe complessivamente una partecipazione record del 59,6%, votarono in realtà il 67% dei bianchi non ispanici, il 60% dei neri, il 47% degli ispanici ed il 44% degli asiatici.

Insomma, ci sarà anche la famosa capacità di integrazione degli Usa, ma al momento del voto proprio non sembrerebbe…. 

 

Il voto anticipato

Molti avranno letto sulla stampa di questi giorni che milioni di americani hanno già votato. Il 28 ottobre si calcolava che lo avessero già fatto oltre 12 milioni di elettori, ma si prevede che alla fine lo farà circa un terzo dei votanti (nel 2004 fu il 22%).

Com’è possibile tutto ciò? Semplice, in ben 31 stati è possibile votare anticipatamente senza bisogno di alcuna motivazione. Nell’Oregon è possibile farlo, ma solo per posta.

Insomma, più che un sistema federale sembra un gran casino. 

 

Le spese dei candidati

Si è già detto del carattere oligarchico del sistema politico americano.

Tra i tanti esempi che stanno a dimostrarlo, basta ricordare quello della raccolta dei fondi che vanno ad alimentare spese elettorali da capogiro.

Mentre i giornali ci riportano la curiosa notizia delle spese per l’abbigliamento della candidata alla vicepresidenza, Sarah Palin (150.000 dollari a carico del Partito Repubblicano), i budget giganteschi dei due candidati in lizza ci vengono presentati come una cosa normale. Eppure, secondo dati aggiornati agli inizi del mese di ottobre, la campagna presidenziale era già costata più di un miliardo di dollari. Di questo miliardo, Obama ha speso circa i due terzi. 

 

Osservatori internazionali?

Questa è la “Grande Democrazia” di cui tacciono i filo-americani di casa nostra, di destra o di sinistra che siano. Una “democrazia” ben delimitata, ben asservita alle oligarchie. Un recinto in cui giocano candidati ammaestrati ed asserviti, in lotta tra loro per chi meglio rappresenta il business e l’impero. Una lotta non di rado truccata, dove il trucco sta anche (certamente, non solo) nelle regole elettorali.

Insomma, se c’è un paese al mondo dove servirebbero davvero gli osservatori internazionali in occasione delle competizioni elettorali questo paese si chiama Stati Uniti d’America.   

La Redazione