Lottavano così, come si gioca…” recitava una nota canzone di De Andrè sul maggio francese, e questa frase, lungi dal risultare anacronistica, può a buon titolo rendere omaggio all’attuale movimento studentesco nato per contrastare la pseudo-riforma del sistema scolastico presentata dal governo nella persona del suo ministro, Mariastella Gelmini. Lottano come si gioca questi giovani usciti miracolosamente di sonno in ragione, e la modalità ludica del loro lottare è espressione di una autenticità cui da tempo non eravamo più avvezzi.

Lottano come si gioca perché nessuno gli ha cucito addosso una causa e un vestito da portare, perché questa volta sono davvero i loro interessi e il loro futuro la posta in gioco, perché la riforma Gelmini non è che la punta dell’iceberg di una contraddizione molto più ampia che investe la crisi globale e non più mistificabile della nostra civiltà. Dal gioco alla presa di coscienza politica il passo può essere molto breve o non esserci per niente, questo non è dato saperlo, non si può azzardare una previsione su un movimento reale in atto, ma certamente è nostro dovere tentare una lettura degli eventi, inseriti nel loro quadro storico-sociale di riferimento, e presentare un’analisi politica che ci aiuti ad orientarci in quanto sta accadendo.
E’ sotto gli occhi di tutti la fase di grande instabilità del modello economico capitalistico su scala internazionale: le continue crisi borsisitiche e un sistema bancario agonizzante, tenuto in vita solo da massicce iniezioni di soldi pubblici da parte dei governi occidentali, ne sono gli epifenomeni. Come sosteneva Trotsky, il carattere ineguale e combinato del capitalismo riproduce al suo interno profonde contraddizioni e dislivelli di sviluppo. Questi dislivelli per un lungo periodo si sono manifestati solo nei paesi poveri del mondo, il cui sfruttamento massiccio da parte dell’occidente ha garantito per sé il perdurare di una condizione di benessere diffuso e di redistribuzione delle ricchezze con la funzione di ammortizzatori sociali, tanto che le contraddizioni in questa nostra parte di globo si sono manifestate prevalentemente a livello sovrastrutturale. L’attuale dominio del capitale finanziario ha inoltre ridotto grandemente la nostra capacità produttiva diretta, delocalizzando fabbriche e investimenti e riducendo il nostro sistema economico ad una dimensione parassitaria, basata sulla rendita. A fronte di ciò una domanda sempre crescente di consumo, tesa a malcelare la crisi di sovrapproduzione insita nel processo di accumulazione capitalistico, si è imposta nei nostri paesi. L’impoverimento oggi non è più contenibile fuori dai recinti dell’occidente, la crisi economica è reale e si alimenta anche del denaro pubblico. In parole povere i tagli alla spesa sono inevitabili e ci vengono spacciati dai vari governi come riforme!
In questo quadro la percezione comune circa la gravità della crisi in atto sta subendo interessanti e sostanziali mutamenti. L’impoverimento del ceto medio è un fenomeno tangibile contro cui sempre meno possono i consueti meccanismi di mistificazione ideologica. Le compensazioni economiche adottate dalle famiglie plurireddito sono ormai prossime all’esaurimento, la precarietà, non solo del lavoro ma della vita in genere, è una realtà di fatto ed è sintomatico che proprio l’attacco all’istruzione abbia innescato la scintilla di una protesta dalle connotazioni evidentemente ben più ampie.
Il diritto all’istruzione è più in generale diritto alla conoscenza, alla comprensione critica del mondo, all’autonomia del giudizio contro i meccanismi di controllo cognitivi, il libero accesso alla conoscenza è garanzia di una partecipazione attiva ai processi sociali quindi anche della possibilità di praticare un’opposizione concreta e consapevole. Questa generazione, privata progressivamente dei suoi fondamentali diritti e con essi dei necessari riferimenti politici, ha preso coscienza dell’insostenibilità della contraddizione in atto nel momento in cui questa ha toccato un punto alto nella scala dei diritti sociali, non una mera limitazione materiale come la riduzione del salario o del diritto di accesso al lavoro, ma l’attacco ad un settore strategico dell’emancipazione sociale quale è il tentativo di destrutturazione e progressivo smantellamento della scuola e dell’università pubblica. Un punto alto con una valenza simbolica, che evidentemente contiene in sé tutti gli altri, e che vede scendere in piazza studenti di ogni ordine e grado al fianco di docenti di ruolo, precari, tecnici e ricercatori. Un nuovo proletariato cognitivo, lo potremmo definire azzardando una connotazione di classe in questa nostra società in buona parte postclassista, le cui forme di organizzazione sono per alcuni aspetti riconducibili ad una logica tradizionale del fare politica, come le occupazioni e le manifestazioni di piazza, ma per altri decisamente atipiche, e queste ultime ci interessa indagare. Si è infatti parlato di onda, anziché di movimento, con la precisa volontà di stabilire una cesura, una soluzione di continuità, rispetto ai “movimenti” che a vario titolo hanno caratterizzato lo scenario politico degli ultimi anni. Non crediamo sia una mera questione semantica: la parola infatti, a discapito delle sue nobili origini, è passata un po’ sulla bocca di tutti nella storia recente, finendo per incarnare nell’immaginario collettivo dinamiche fallimentari quando non anche screditanti o strumentali, ragion per cui non si può che cogliere una valenza positiva nella volontà di differenziazione anche nominale. Altro dato interessante è che questa protesta non sembra essere meramente anti-berlusconiana, ovvero contingente, dal momento che nelle argomentazioni critiche presentate emerge inequivocabilmente la consapevolezza che il progressivo degrado dell’istruzione pubblica si protrae da almeno un decennio, con la complicità in primis dei governi di centro-sinistra, e che quello presentato dalla Ministra Gelmini è solo l’ennesimo grottesco attacco in ordine di tempo. Resta poi da sottolineare il fatto che la sfiducia nei partiti politici tradizionali e quindi nelle loro dinamiche di aggregazione, porta questi giovani a cercare luoghi nuovi di confronto e raggruppamento, luoghi di autorganizzazione che sfuggano ai filtri del controllo diretto di quei partiti che, in virtù del loro definirsi “di sinistra”, vorrebbero arrogarsi il diritto all’egemonia, Partito Democratico in primis. In questo senso è sintomatico il successo delle cause promosse in questi giorni su FaceBook, in particolare “Fermiamo la Gelmini”, attualmente con 38.684 membri e “A favore dell’istruzione e della ricerca! No alla L. 133/08” con 158.214 membri; ma i numeri crescono di ora in ora.
Il tentativo di mantenere una linea di autonomia rispetto ai referenti politici tradizionali non va però letto come una volontà apolitica tout-court, basta parlare con questi giovani per capire che le cose non stanno affatto così; semmai è vero il contrario, c’è in essi la precisa volontà di tornare ad essere protagonisti attivi del cambiamento sociale e quindi di raggiungere un’identità ed una coscienza certamente politiche, ma consapevoli e fuori dagli apparati di mediazione del potere. E’ evidente che se non troveranno i giusti referenti nel loro percorso saranno facilmente riassorbiti. A noi raccogliere la sfida.

La Redazione