Brevi note sulle elezioni americane
Come previsto un po’ da tutti, Barak Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti.
Sul significato della sua elezione abbiamo già scritto e pubblicato diverse cose (vedi in particolare Obama o McCain: cosa può cambiare e La strategia dell’ultima chance).
Oggi ci limitiamo ad alcune note, con lo scopo di avviare una discussione razionale sul nuovo quadro aperto dal voto americano. In realtà, sappiamo che oggi una discussione razionale è quasi impossibile vista l’isteria collettiva che domina in ogni dove. Ma ben presto l’insopportabile Obamania lascerà il posto alle questioni reali, ed il nuovo inquilino della Casa Bianca dovrà cimentarsi soprattutto con il compito di ricostruire la credibilità dell’Impero.
E’ di questo che dovremmo discutere: delle nuove strategie e delle nuove tattiche che l’imperialismo americano sta preparando per mantenere il suo dominio planetario.
Del resto, che il mondo dipenda dalle scelte statunitensi è reso lampante, proprio in queste ore, dall’incredibile attenzione mediatica che si è creata attorno all’elezione di Obama. Forse un’inconsapevole ammissione del fatto che un cambiamento a Washington è un vero cambiamento per il resto del pianeta. Cosa ben diversa di quel che può accadere con le elezioni in Francia o Germania, per non parlare dell’Italia…..
Ma vediamo, per punti, gli elementi principali che ci vengono consegnati dal voto del 4 novembre.
1. La sconfitta di Bush
Bush esce di scena da sconfitto. Si è impantanato in Iraq ed in Afghanistan, e mentre la sua linea di attacco suscitava resistenze ovunque, alla fine si è ritrovato anche una Russia decisa a ricostruirsi come potenza. Infine è arrivata la crisi finanziaria a dare la mazzata conclusiva ad una leadership completamente screditata. E’ nel quadro di questa grande sconfitta di Bush il criminale, che va inquadrata la piccola sconfitta del piccolo candidato repubblicano McCain.
Questa grande sconfitta – maturata in 7 anni di Guerra Infinita – imponeva un riorientamento. Ed è stata questa esigenza strategica del blocco dominante che indirizza la politica imperiale ad aver prodotto la vittoria di Obama.
In ogni caso la sconfitta di Bush rimane un fatto storico, la cui portata va commisurata all’ambizione del progetto che rappresentava. Le Resistenze che si sono opposte alla sua crociata non possono che brindare alla sua sconfitta. E noi, nel nostro piccolo, brindiamo con loro.
2. Gli effetti della crisi
Il blocco dominante è stato dunque costretto a lavorare per Obama, ma lo ha fatto sfruttando abilmente il forte sentimento popolare contro Bush ed i neocons in genere. L’aumento della partecipazione al voto, certamente decisivo nel determinare l’esito finale, mostra chiaramente la scesa in campo di settori della società americana solitamente passivi.
Ma c’è un altro motivo che ha prodotto questo risultato: la crisi e la pesante sensazione di incertezza che porta con se. Una sensazione che ha partorito la spinta al “cambiamento”. Ma un “cambiamento” sempre rigorosamente inteso nel solco dell’irrinunciabile “American Way of Life”.
3. La gestione dell’Impero, altro che “Altra America”!
Ancora per qualche tempo dovremo certamente sorbirci ogni sorta di discorso sull’ “Altra America”, che è un modo di “sinistra” per conclamare la pretesa eccezionalità della nazione americana.
Ad oggi (5 novembre 2008) gli Usa sono però quel paese che occupa l’Iraq, l’Afghanistan, che bombarda il Pakistan, che minaccia la Russia e l’Iran, che avvolge il pianeta con una ragnatela di basi, che ha una spesa militare pari al 50% di quella mondiale. Questa è l’America reale. Qualcuno pensa davvero che Obama voglia rinunciare a questa politica imperiale?
Il fatto è che la gestione dell’impero è risultata deficitaria e l’establishment ha deciso di giocarsi la carta del “rinnovamento”. Lo si è visto con lo schierarsi dei media, con i finanziamenti record alla campagna elettorale, con il passaggio di campo di personaggi come Powell, il generale imbroglione che ha servito sia con Bush padre che con Bush figlio.
4. Una spessa mano di vernice
Questa operazione “rinnovamento”, che certo ecciterà le spente menti della nostrana sinistra sempre alla ricerca di una ciambella di salvataggio alla quale aggrapparsi, consiste dunque in primo luogo nello stendere una spessa mano di vernice sugli 8 anni della presidenza Bush. Gli Usa torneranno a presentarsi come una potenza illuminata, democratica, tollerante, capace di integrazione e di rigenerazione.
Rivedremo, insomma, i miti del post 1945 che servirono tanto nell’economia della Guerra fredda, quanto nell’orientare in quella direzione almeno una parte delle spinte giovanili degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.
5. Da una guerra americana in nome dell’Occidente, ad una guerra dell’Occidente a guida americana?
I nuovi miti saranno essenziali per ricostruire una base di consenso più ampia, in particolare in Europa ma non solo.
Essi saranno la faccia “sinistra” della stessa medaglia imperiale. Attraverso di essi si cercherà di passare sempre più da una guerra americana condotta in nome dell’Occidente ad una guerra dell’Occidente a guida americana.
Questo passaggio è già in atto da tempo, dato che lo stesso Bush è stato costretto ad aggiustare in corso d’opera la precedente linea esplicitamente monopolare. Questa esigenza ha portato, ad esempio, ad un crescente impegno Nato in Afghanistan ed all’appalto concesso a Francia ed Italia in Libano.
Con Obama questo cambiamento diventerà più netto e deciso sul piano politico-militare, mentre su quello ideologico e propagandistico aspettiamoci pure ogni tipo di spettacolo pirotecnico.
In conclusione: i popoli in lotta, i movimenti di liberazione, le forze antagoniste ed antimperialiste si troveranno a lottare in un quadro profondamente diverso rispetto a quello degli ultimi anni.
Ma diverso non significa migliore.
Raccogliere questa sfida vuol dire anzitutto aggiornare l’analisi e comprendere la nuova situazione. Una situazione che, contrariamente alle apparenze, potrebbe avere ricadute potentemente destabilizzanti proprio nella vecchia e sonnolenta Europa.