Anche Amnesty International scende in campo per parlare della violazione dei diritti umani in Colombia. Non si tratta certamente di un’organizzazione antimperialista o rivoluzionaria, ma vale la pena spendere qualche minuto per leggere i dati elencati nel rapporto dal titolo “Lasciateci in pace!”, disponibile (per ora) solo in lingua inglese. Emerge un sostanziale disegno governativo colombiano, teso a rassicurare i media internazionali, ma totalmente lontano dal vero.
Lo studio sulla situazione dei diritti in Colombia presenta anche una serie di “consigli” per il Governo e per le varie Resistenze, ma non è questa la parte più interessante, che lasciamo ai lettori più interessati.
Ciò che ci interessa del rapporto è la quantità di storie di singole persone e di comunità locali colpiti nel modo più duro dal conflitto: vittime di sequestri, donne stuprate, bambini mutilati dalle mine, sindacalisti che hanno pagato con la vita la loro azione in difesa dei diritti, etc.
Sono diminuiti i sequestri ed è un pochino aumenta la sicurezza in alcune città, ma i dati espressi nel rapporto non sono rassicuranti. Si parla di almeno 1400 civili uccisi nel solo 2007 (nel 2006 erano 1300). Nei pochi casi in cui è stato individuato l’assassino, si nota che almeno in 330 casi sono risultate responsabili le forze di polizia! Seguono le truppe paramilitari con circa 300 casi accertati. Il dossier parla anche di 260 casi attribuibili ad una non meglio specificata “guerriglia”.
Nel dossier si tiene conto anche delle 305 mila persone sfollate nello scorso anno, mentre nel 2006 il numero complessivo era di 220 mila. Si contano almeno 190 vittime di rapimenti (più meno come l’anno precedente) da parte delle forze di sicurezza e dei paramilitari. In realtà il dossier mette in mezzo anche la “guerriglia”, ma la maggioranza assoluta delle “sparizioni forzate” sono attribuibili a forze governative. Il rapporto di Amnesty International smonta anche le menzogne del governo colombiano, secondo il quale i gruppi paramilitari non sarebbero più attivi, le leggi contro chi viola i diritti umani sarebbero applicate con rigore e il lavoro dei sindacalisti e degli attivisti politici sarebbe rispettato pienamente…
Non essendo un’organizzazione antimperialista, Amnesty International chiede ovviamente a tutte le parti coinvolte nel conflitto colombiano di mostrare la volontà politica di porre fine agli abusi. L’organizzazione per i diritti umani sollecita la cosiddetta “comunità internazionale” a fare di più per assicurare che le parti in conflitto rispettino i diritti umani dei colombiani. Non si può chiedere di più ad una struttura come Amnesty, ma facciamo tesoro dei dati che mette a disposizione, senza sposarne il modus operandi e la visione complessiva che muove i suoi attivisti.
Va detto che negli stessi giorni in cui è stato divulgato il rapporto menzionato, Mario Montoya, capo dell’esercito colombiano, ha rassegnato le dimissioni per uno scandalo relativo ad alcune esecuzioni sommarie perpetrate da alcuni membri dell’esercito ai danni di civili. La decisione di Montoya è giunta alcuni giorni dopo l’epurazione da parte del presidente Alvaro Uribe di 27 ufficiali dell’esercito (fra cui tre generali) invischiati nella morte di 11 ragazzi. Uribe ha spiegato che gli alti ufficiali delle forze armate sarebbero stati negligenti e non avrebbero avuto le capacità per controllare le truppe e investigare nel caso della morte degli undici giovani. Secondo i dati accessibili finora, i ragazzi sarebbero stati uccisi e fatti passare come morti causati dalla guerriglia marxista delle Farc o, addirittura, per dei (non meglio identificati) guerriglieri. Montoya s’è rimesso alla sentenza del tribunale chiedendo ai colombiani – in una lettera di rinuncia dell’incarico – di non condannare a priori i membri delle forze armate implicati nel caso. Un tentativo di difesa dei “suoi ragazzi”…
Dai dati in nostro possesso pare che i casi di omicidio compiuti da diversi membri dell’esercito potrebbero essere più di mille, ma gli investigatori stanno controllando le denunce relative a oltre 650 casi, dove risultano indagati almeno 688 militari.
Non si contano i casi di “falso”, in cui gli omicidi di giovani attivisti o semplici civili sono stati fatti passare per azioni militari contro “guerriglieri”.