“Membri ragionevoli di entrambi i partiti stanno esaminando la cosiddetta opzione militare, oltre a nuove iniziative diplomatiche”, questo è il succo dell’articolo del New York Times da cui prende le mosse lo scritto di Peter Symonds che vi proponiamo.
Che negli Usa le decisioni fondamentali di politica estera siano rigorosamente bipartisan non è certo una novità, ma giova ricordarlo ai nostrani sinistri che parlano sconsideratamente di Obama in termini di “New Dream” (titolone del Manifesto del 6 novembre).
Del resto Obama nella sua conferenza stampa di due giorni fa ha ribadito, in perfetta continuità con l’amministrazione Bush, la classica posizione americana nei confronti dell’Iran. Una continuità ben compresa a Teheran, come dimostrano le ferme dichiarazioni del presidente del parlamento iraniano Ali Larjani.
La Redazione
I consiglieri di Obama discutono la preparazione della guerra all’Iran
di Peter Symonds
traduzione di Andrej Andreevic*
Lunedì, alla vigilia delle elezioni statunitensi, il New York Times ha cautamente fatto notare l’emergere di un consenso bipartisan a Washington su una strategia aggressiva nei confronti dell’Iran. Mentre nel corso della campagna non è stato detto praticamente niente, dietro le quinte i principali consiglieri di Obama e McCain hanno discusso della rapida escalation della pressione diplomatica e di sanzioni punitive contro l’Iran, sostenute dalla preparazione di attacchi militari.
L’articolo intitolato “New Beltway Debate: What to do about Iran” (“Il nuovo dibattito nell’establishment politico di Washington: che fare con l’Iran”) notava con un certo allarme: “È una possibilità spaventosa, ma non è solo l’amministrazione dal grilletto facile di Bush a discutere, anche se solo teoricamente, la possibilità di un’azione militare contro l’Iran per fermarne il programma di armi nucleari… Membri ragionevoli di entrambi i partiti stanno esaminando la cosiddetta opzione militare, oltre a nuove iniziative diplomatiche”.
All’insaputa degli elettori americani i consiglieri più vicini al neoeletto presidente Barack Obama hanno preparato lo scenario per una grossa escalation nello scontro con l’Iran non appena l’amministrazione si insedierà. Un rapporto pubblicato a settembre dal Bipartisan Policy Center, un think tank con sede a Washington, ha sostenuto che un Iran con capacità nucleari sarebbe “strategicamente insostenibile” e ha descritto un approccio deciso, “che integri nuovi strumenti diplomatici, economici e militari”.
Un membro chiave della task force del centro era l’attuale consigliere di Obama sul Medio oriente, Dennis Ross, ben noto per la sua linea aggressiva. Ross ha appoggiato l’invasione statunitense dell’Iraq ed è molto vicino a neoconservatori come Paul Wolfowitz. Ha lavorato per Wolfowitz nelle amministrazioni Carter e Reagan prima di occuparsi di Medio Oriente sotto il presidente Bush senior e Clinton. Dopo avere lasciato il Dipartimento di Stato nel 2000, si è unito al think tank proisraeliano di destra, il Washington Institute for Near East Policy, e ha lavorato come analista di politica estera per la Fox News.
Il resoconto del Bipartisan Policy Center insiste sul fatto che ci sia poco tempo, affermando che “i progressi di Teheran indicano che la prossima amministrazione potrebbe avere poco tempo e ancor meno opzioni di fronte a questa minaccia”. Respinge senza ombra di dubbi gli argomenti di Teheran secondo i quali il programma nucleare avrebbe scopi pacifici e il National Intelligence Estimate delle agenzie di Intelligence statunitensi del 2007, secondo cui l’Iran aveva terminato ogni programma di fabbricazione di armi nucleari nel 2003.
Il Bipartisan Policy Center critica l’incapacità dell’amministrazione Bush di bloccare il programma nucleare iraniano, ma la sua strategia è essenzialmente la stessa: incentivi limitati sostenuti da sanzioni economiche più dure e minacce di guerra. Il suo piano per consolidare il supporto internazionale si fonda anch’esso sull’attacco militare preventivo all’Iran. Russia, Cina e le potenze dell’Unione Europea devono sapere che la mancata applicazione di sanzioni più dure, incluso un provocatorio blocco dell’esportazione del petrolio iraniano, non farà che aumentare la probabilità di una guerra.
Per sottolineare questi avvertimenti, la relazione propone che gli Stati Uniti rafforzino immediatamente la propria presenza militare nel Golfo Persico. “Questo dovrebbe accadere il giorno dell’insediamento del nuovo Presidente, soprattutto perché la Repubblica islamica e i suoi alleati potrebbero cercare di testare la nuova amministrazione. Questo gesto implicherebbe il pre-posizionamento degli Stati Uniti e delle forze alleate, la distribuzione di ulteriori gruppi tattici di portaerei e dragamine, e il dispiegamento di ulteriore materiale bellico nella regione”, afferma il rapporto.
Con un linguaggio che ricorda da vicino quello di Bush, per il quale “tutte le opzioni restano sul tavolo”, il resoconto dichiara: “Crediamo che un attacco militare sia un’opzione concreta e debba rimanere l’estremo rimedio per ritardare il programma nucleare iraniano”. Tale attacco militare “avrebbe come obiettivo non solo le infrastrutture nucleari iraniane, ma anche la sua infrastruttura militare convenzionale, al fine di impedire una risposta iraniana”.
Significativamente, la relazione è stata elaborata da Michael Rubin, del neoconservatore American Enterprise Institute, che è stato fortemente coinvolto nella promozione dell’invasione irachena del 2003. Un certo numero di consulenti democratici di Obama “ha approvato all’unanimità” il documento, tra cui Dennis Ross, l’ex senatore Charles Robb, che ha co-presieduto la task force, e Ashton Carter, che è stato assistente segretario per la difesa sotto Clinton.
Carter e Ross hanno inoltre partecipato alla stesura di una relazione per il bipartisan Center for a New American Security, pubblicata nel mese di settembre, nella quale si concludeva che l’azione militare contro l’Iran dovrebbe essere “un elemento da tenere in considerazione in ogni reale opzione”. Mentre Ross ha esaminato le opzioni diplomatiche nei dettagli, Carter ha definito gli “elementi militari” che dovevano sottenderle, compresa un’analisi costi/benefici di un bombardamento aereo statunitense contro l’Iran.
Altri consulenti per la politica estera e la difesa di Obama hanno preso parte a questo dibattito. Una dichiarazione dal titolo “Strengthening the Partnership: How to deepen US-Israel cooperation on the Iranian nuclear challenge” (“Rafforzare il partenariato: come approfondire la cooperazione USA-Israele sulla sfida nucleare iraniana”), redatta nel mese di giugno da una task force del Washington Institute for Near East Policy, raccomanda all’amministrazione successiva di condurre colloqui con Israele “sull’intera gamma di opzioni politiche”, comprese le “azioni militari preventive”. Ross è stato co-presidente della task force, e alla stesura del documento hanno partecipato alcuni dei principali consulenti di Obama, Anthony Lake, Susan Rice e Richard Clarke.
Come ha notato il New York Times di lunedì, il consulente per la difesa di Obama, Richard Danzig, ex segretario della marina sotto Clinton, ha partecipato ad una conferenza sul Medio Oriente convocata nel mese di settembre dallo stesso think tank proisraeliano. Ha detto al pubblico che il suo candidato ritiene che un attacco militare contro l’Iran sarebbe una scelta “terribile”, ma “può essere che in un mondo terribile dovremo affrontare una scelta terribile”. Richard Clarke, anch’egli presente, ha dichiarato che secondo Obama “la crescente influenza di Teheran va frenata, e l’acquisizione iraniana di un’arma nucleare è inaccettabile.” Benché “il suo primo istinto non sia quello di premere il grilletto”, Clarke ha dichiarato che “se le circostanze richiedessero l’uso della forza militare, Obama non esiterebbe”.
Se l’articolo del New York Times impiegava toni piuttosto pacati e non esaminava le relazioni molto approfonditamente, la scrittrice Carol Giacomo si è mostrata chiaramente preoccupata per i parallelismi con l’invasione americana dell’Iraq. Dopo aver ricordato che “l’opinione pubblica americana è in gran parte ignara di questo dibattito”, ha dichiarato: “Quello che mi rende nervosa è che nella fase di preparazione alla guerra in Iraq è accaduto proprio questo”.
Giacomo ha continuato: “Gli uomini dell’amministrazione Bush hanno guidato il dibattito, ma chi ne era al corrente ne è stato complice. La questione è stata posta e ha ricevuto una risposta nei circoli politici americani prima che la maggior parte degli americani sapesse che cosa stava accadendo… Come corrispondente diplomatico per Reuters in quei giorni sento un po’ di responsabilità per non aver fatto di più per assicurarmi che la catastrofica decisione di invadere l’Iraq fosse esaminata più attentamente”.
L’emergente consenso sull’Iran negli ambienti della politica estera americana sottolinea ancora una volta il fatto che le differenze tra Obama e McCain erano puramente tattiche. Mentre milioni di americani hanno votato per il candidato democratico credendo che avrebbe posto fine alla guerra in Iraq e dato ascolto alle loro necessità economiche, potenti sezioni dell’élite americana si sono accodate a lui considerandolo un veicolo migliore per perseguire gli interessi economici e strategici degli Stati Uniti in Medio Oriente e Asia Centrale, compreso l’uso della forza militare contro l’Iran.
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Originale: Obama advisers dicuss preparations for war on Iran
Articolo originale pubblicato il 6/11/2008
*Andrej Andreevic è associato a Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística. URL di questo articolo su Tlaxcala: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=6275&lg=it