Nella recrudescenza del conflitto fra i ribelli congolesi banyamulenge e il governo del Congo – Kinshasa nelle regione di Kivu, al confine con il Ruanda che appoggerebbe i banyamulenge perché, si afferma comunemente, appartenenti all’etnia tutsi maggioritaria e al governo appunto in Ruanda, pubblichiamo un articolo davvero illuminante sui progetti statunitensi in Africa. Progetti che consistono nell’istituzione di un apposito comando militare nel continente, tradizionale teatro di contese e conseguenti spartizioni fra le potenze coloniali europee (in primis Francia e Gran Bretagna), malamente mascherato da “partenariato civile – militare”.
Già negli anni ’90, dopo la fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti lavorarono alacremente per affiancare la loro influenza a quella delle potenze europee, nella prospettiva di sostituirsi progressivamente ad esse quale “unica super potenza mondiale”. AfriCOM sancisce questa sostanziale sostituzione e sarà anche uno strumento strategico per contrastare il ruolo che la Cina ha assunto progressivamente in Africa. In questo contesto, dubitiamo fortemente che il conflitto del Kivu sia un conflitto etnico, o almeno solo etnico, anche in considerazione del fatto che la regione, nonostante la miseria più nera – cui ora si aggiunge anche il terrore – in cui vive la popolazione, è ricchissima di diamanti e di altre importantissime risorse minerarie.
La Redazione
“Africa Command” significa Colonialismo
di Nunu Kidane*
da Monthly Review – http://mrzine.monthlyreview.org/kidane071008.html
Per anni, gli Stati Uniti si sono rifiutati di considerare l’Africa come una priorità nell’agenda politica estera. Accordi quali l’AGOA (Africa Growth & Opportunity Act – atto emanato dal Congresso degli Stati Uniti che riguarda piani di collaborazione e assistenza economica e commerciale in favore di alcuni Stati africani, NdT), il PEPFAR (President’s Emergency Plan for AIDS Relief – iniziativa americana per la lotta contro l’AIDS, NdT) e, naturalmente, l’assistenza umanitaria sono i pochi momenti in cui l’Africa è stata argomento di discussione a Washington. Nonostante il continuo uso che gli USA fanno dell’espressione “partenariato con l’Africa”, nessuna Amministrazione, fino ad ora, ha guardato a questo continente se non come una fonte di risorse estrattive o come una regione attraversata da continui conflitti e con scarse possibilità economiche.
Perciò oggi, quando gli USA dichiarano di considerare l’Africa come un’area importante e mostrano particolare attenzione su di essa, c’è di che insospettirsi. Il primo ottobre hanno reso nota una nuova iniziativa militare chiamata AfriCOM o Africa Command. L’annuncio è stato dato in una conferenza stampa in tono minore al Pentagono, nella quale il Segretario della Difesa, Robert Gates, ha affermato che “AfriCOM rappresenta un ulteriore passo nella modernizzazione dei nostri piani di difesa nel XXI secolo”.
Secondo William (Kip) Ward, il generale afro-americano che guiderà l’Africa Command, il progetto si propone di garantire la sicurezza e di intervenire nella prevenzione di guerre e conflitti. Ammette che la necessità di istituire AfriCOM è sorta con la “guerra al terrore” dopo l’11 settembre. Da quel momento l’Africa è stata giudicata come composta per la maggior parte da stati “non governati”, dove gli estremisti potrebbero diventare una minaccia per la sicurezza nazionale statunitense. Un caso citato come caso tipico “di paese senza legge” è la Somalia. La regione meridionale della Somalia è stata testimone di un conflitto interno cominciato nel 1991, anno in cui l’ultimo presidente venne deposto. Quando, finalmente, un gruppo indigeno della società civile riportò ordine e stabilità, gli Stati Uniti (con l’alleata Etiopia) lo etichettarono come “estremismo islamico”. Nel gennaio 2007, gli USA bombardarono gli innocenti civili somali, episodio scarsamente riportato e poco conosciuto, e continuano oggi con interventi militari o direttamente nel paese o per mezzo dell’Etiopia.
Data la peculiarità statunitense di intervenire militarmente contro gli stati che “minacciano la sicurezza nazionale”, l’AfriCOM opererà con scarso controllo da parte del Congresso o delle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite. Prima della formulazione dell’AfriCOM, il continente è sempre stato trattato come area marginale e il Commando militare statunitense era diviso tra i Comandi Centrale, Europeo e del Pacifico. Infatti, il quartier generale dell’Africa Command ha ancora, ma non per molto, base a Stuttgart, in Germania. Quando sarà pienamente operativo non avrà solo una base nel continente africano, ma sarà uniformato sotto tutti gli aspetti alle politiche USA per l’Africa.
Se state pensando a basi tradizionali con molto personale militare, vi sbagliate. Il generale Kip Ward ha spiegato che non si tratta di “basi” e “truppe”, ma di una rete di operazioni militari sofisticate piazzate strategicamente attraverso il continente, le quali possono essere spostate ed utilizzate per ogni scopo. Il Generale Gates ha definito Africa Command come “un differente tipo di commando con un differente orientamento, che speriamo e pensiamo possa garantire una sicurezza duratura nella relazione con l’Africa”. È un “partenariato civile-militare” dove l’intervento diplomatico e umanitario dell’Agenzia di aiuto internazionale (USAID) riceverà direttive dal Dipartimento della Difesa. Immaginate il personale militare statunitense dare aiuti umanitari e condurre missioni diplomatiche! Il termine appropriato è “colonizzazione”.
L’AfriCOM è venduto al pubblico come una cosa buona per l’Africa, che porterà pace e stabilità duratura in un continente lacerato da disastri e conflitti. Molti Capi di Stato africani, tra cui anche il Sudafrica, non ci credono e hanno respinto il piano, compreso il SADC (Comunità di Sviluppo per l’Africa del Sud – a cui aderiscono 14 stati membri) che ha denunciato AfriCOM. Come per le altri missioni, anche in questo caso, non c’è stata nessuna consultazione preventiva con i leader africani, che sono venuti a conoscenza del programma solo quando è stato ufficialmente annunciato, il 6 febbraio 2007. Il Dipartimento della Difesa ha mandato delegati di medio rilievo per “vendere AfriCOM”ai Capi di Stato dopo che il programma era già stato messo a punto. I leader africani lo hanno giudicato come una minaccia alla loro sovranità ed una mossa per militarizzare ulteriormente il continente: l’ultima cosa di cui l’Africa ha bisogno è un aumento della presenza militare!
La sola eccezione, per ironia della sorte, è stata l’unico leader africano donna democraticamente eletto, il presidente della Liberia, Madam Johnson-Sirleaf. Fortemente criticata per questa decisione, ha ammesso che si tratta di una mossa impopolare, ma necessaria per assicurare un afflusso di capitali statunitensi nella debole economia del suo paese.
Perché gli Stati Uniti sono improvvisamente interessati a fare dell’Africa una loro priorità? La risposta è la stessa che ha giustificato gli innumerevoli interventi nel continente nei secoli passati: il controllo delle risorse. È chiaro il bisogno degli USA di assicurarsi il petrolio: si stima che un quarto delle importazioni di greggio statunitensi, entro il 2020, proverranno dal Delta del Niger. Altrettanto importanti sono i “minerali strategici” dei quali hanno una sostanziale dipendenza: senza cobalto, cromo, manganese e platino (solo per citarne alcuni), molte industrie tecnologiche e militari statunitensi andrebbero in fallimento.
Un’altra ragione per capire il perché della formulazione di AfriCOM è da ricercarsi nell’aumentata presenza cinese nel continente. Non una novità, anche se poco nota: la Cina, infatti, costruisce industrie, estrae petrolio e altri minerali da decenni. Nonostante le critiche crescenti verso le attività industriali e militari cinesi, molti sostengono che fornisca ai paesi africani un’alternativa alla dominazione dei capitali occidentali, leader incontrastati fino a poco tempo fa.
Quando sarà pienamente operativo AfriCOM avrà una capacità militare sofisticata e ben ramificata in 53 Stati africani (escluso l’Egitto). Il Dipartimento della Difesa sovrintenderà ad attività “civili” che prima erano compito delle agenzie diplomatiche ed umanitarie. Si registra, inoltre, un aumento delle attività militari di mercenari che, come abbiamo visto in Iraq, rimangono incontrollate dal Congresso.
Questo sostanziale cambiamento della politica statunitense in Africa ha ricevuto attacchi dalla popolazione civile e dai gruppi di ricerca in entrambi i paesi. Una associazione nazionale “Resist AfriCOM” sta portando avanti una massiccia mobilitazione per trasmettere un chiaro messaggio a Washington di solidarietà verso la popolazione civile africana: un no convinto all’AfriCOM.
Come si fa a contrastare una politica che è stata annunciata già un anno fa ed è già ufficialmente operativa? Forse la soluzione è nella lotta dei movimenti popolari USA che operino in collegamento con la popolazione civile africana, iniziando dal movimento per la pace e la giustizia.
Gli USA hanno ufficialmente sanzionato l’apartheid, ma in realtà hanno sostenuto lo stato razzista del Sud Africa sia economicamente che politicamente. A coloro che, a quel tempo, si erano opposti attivamente, sembrava impossibile cambiare queste politiche, ed infatti ci sono voluti decenni per farlo. Prevalse infine la logica e il buon senso e attraverso la pressione dei movimenti popolari nazionali, gli Stati Uniti fecero un radicale cambiamento delle politiche e denunciarono la segregazione razziale.
AfriCOM non è nulla di nuovo: è un’iniziativa per assicurarsi il controllo della terra e delle risorse, che in passato era noto come “colonialismo”. Siccome la competizione per accaparrarsi le risorse globali è pressante, non solo per il petrolio e i minerali, ma anche per i diritti fondamentali di accesso all’acqua e alla terra, possiamo aspettarci un picco di attenzione rivolto al continente africano. Unirsi al movimento di resistenza in Africa e dichiarasi contrari all’Africa Command, è una responsabilità di ognuno di noi.
* Nunu Kidane è Coordinatore del Priority Africa Network con sede a Oakland, California, sito web: www.priorityafrica.org
Traduzione dall’inglese per http://www.resistenze.org/ (osservatorio – mondo – politica e società – 22.10.08 – n. 246) a cura di CT