“Anni e anni di pro-americanismo represso traboccheranno non appena alla Casa Bianca ricomincerà a risuonare la musica d’atmosfera del multilateralismo”.
Con questa affermazione, John Laughland sintetizza quello che sarà l’atteggiamento dei leader dell’Unione Europea di fronte alla nuova amministrazione americana.

Il nostro primo commento sull’esito delle elezioni americane, Altro che “Altra America”!, si concludeva prospettando “Una situazione che, contrariamente alle apparenze, potrebbe avere ricadute potentemente destabilizzanti proprio nella vecchia e sonnolenta Europa”.
Più multilateralismo significherà infatti maggior coinvolgimento dell’Europa nelle guerre in corso (Afghanistan in primo luogo) ed in quelle future, ma anche minori spazi di ambiguità nei rapporti con la Russia. Il tutto in un quadro in cui (parole di Obama nella sua prima conferenza stampa dopo le elezioni) “è a portata di mano una nuova alba della leadership americana”.
Del futuro dei rapporti tra Usa, Europa e Russia si occupa l’articolo dello storico e giornalista britannico John Laughland che vi proponiamo.

La Redazione
 

Russia contro Europa: la solita vecchia storia

di  John  Laughland 
traduzione di  Manuela Vittorelli*

Secondo un punto di vista ampiamente condiviso l’elezione di Barack Obama è una buona notizia per la Russia. Il nuovo presidente degli Stati Uniti – si dice – abbandonerà l’atteggiamento provocatorio e tendente allo scontro di George W. Bush per adottare una linea più conciliatoria in politica estera, e dunque anche nelle relazioni con Mosca.
Vi sono pochi dubbi che la presidenza Bush sia stata disastrosa sia per l’America che per il resto del mondo. Qualsiasi cosa ponga fine al controllo repubblicano della Casa Bianca può dunque sembrare bene accetta. Sfortunatamente, tuttavia, ci sono molte ragioni per essere pessimisti sulle future relazioni tra Oriente e Occidente sotto il Presidente Obama.
La prima è naturalmente la politica estera del Presidente Obama stesso. Il vice presidente Joe Biden è tristemente noto per le sue posizioni anti-russe. Nel suo discorso di accettazione della candidatura democratica, ad agosto, Biden ha specificatamente attaccato l’amministrazione Bush per non aver saputo affrontare la Russia, cioè per aver diretto i propri attacchi contro il nemico sbagliato. Durante un discorso sulla politica estera tenuto a Cincinnati il 25 settembre, Biden ha detto che la Russia è una minaccia quanto l’Iran, e ha parlato calorosamente della propria visita a “Misha” Saakashvili, il presidente della Georgia con il quale si da evidentemente del tu e con il quale ha discusso su come il Presidente Obama avrebbe fatto “pagare” alla Russia l’“aggressione” nei confronti del suo “democratico” paese.
Ma la principale ragione per essere pessimisti risiede nelle relazioni con l’Europa. Il Presidente Medvedev, fin dalla sua elezione, ha condotto una politica estera improntata al corteggiamento dei leader europei, soprattutto lo scorso mese a Evian. La sua proposta di un nuovo patto per la sicurezza in Europa rappresenta un tentativo di dare alla Russia un punto d’appoggio nelle strutture militari che attualmente la escludono, e dunque ridurre il dominio americano su di esse. Come tale, la sua proposta andrebbe considerata la continuazione di un progetto geopolitico che risale almeno alla firma degli accordi di Helsinki da parte dell’URSS nel 1975.
Tuttavia l’elezione di un democratico alla presidenza degli Stati Uniti significa che a essere rafforzata sarà la relazione tra Stati Uniti e Unione Europea, e non quella tra Europa e Russia. Gli anni della presidenza Bush sono stati straordinariamente difficili per l’élite pro-americana che governa l’Europa. Tutti i maggiori attori della politica europea sono visceralmente pro-Stati Uniti (e in concomitanza anti-russi), ma il loro fondamentale desiderio di amare l’America – e di essere simili a essa, per esempio creando gli Stati Uniti d’Europa – è stato frustrato dal disprezzo con cui si guarda a George Bush in tutto il mondo (compreso il suo paese) e dalla palese ottusità della sua politica estera.
Al contrario di un Bush che si dilettava della propria reputazione di bifolco reazionario, Barack Obama incarna tutti i valori di cui sono infatuati i leader europei – progressismo, giovinezza, dinamismo, cambiamento, perfino diversità etnica. Durante la corsa elettorale hanno contenuto a stento la loro eccitazione alla prospettiva di questo risultato. Be’, Obama scrive perfino libri. Anni e anni di pro-americanismo represso traboccheranno non appena alla Casa Bianca ricomincerà a risuonare la musica d’atmosfera del multilateralismo. I leader dell’Unione Europea saranno nuovamente in grado di identificare l’“America” con il “progresso”, proprio come quando erano giovani, e andranno in brodo di giuggiole ogniqualvolta il Presidente Obama proporrà un nuovo piano internazionale (cioè transatlantico) per diffondere i valori politici occidentali nel mondo (e aumentare il potere dell’Occidente su di esso). All’opposto, vedranno la Russia come politicamente reazionaria e come una minaccia agli ideali più cari.
Lo hanno dimostrato le recenti dichiarazioni di due politici europei di spicco. La scorsa settimana, nel suo discorso annuale all’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza dell’Unione Europea di Parigi, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, Javier Solana, ha parlato con evidente calore ed entusiasmo dell’alleanza transatlantica. Ha detto: “Ho creduto e tuttora credo fermamente nel potere degli Stati Uniti e dell’Europa di agire come una forza del bene nel mondo” e non ha pronunciato una sola parola di critica nei confronti della politica estera degli Stati Uniti negli ultimi tremendi otto anni.
Quando è giunto a parlare di Russia, tuttavia, il suo tono di voce si è fatto più duro e freddo. Si è espresso come se la Russia fosse un paese con il quale è costretto ma riluttante a trattare. Ha insinuato pesantemente che la Russia stia usando le esportazioni energetiche come arma strategica – un’accusa grave da rivolgere a un paese vicino con cui l’Unione Europea sta cercando di negoziare un accordo di cooperazione – e ha liquidato la proposta del Presidente Medvedev di un nuovo patto per la sicurezza in Europa (nella misura in cui ne ha fatto menzione) in quanto troppo “vaga” per meritare di essere presa ora in considerazione. Ha aggiunto con condiscendenza che i russi hanno una mentalità politica particolare che gli europei hanno il dovere di tentare di decifrare, quasi che la Russia soffrisse di una strana psicosi collettiva. Le credenziali pro-Stati Uniti di Solana, naturalmente, non sono mai state in dubbio: era Segretario Generale della NATO durante l’attacco dell’Alleanza contro la Jugoslavia nel 1999.
Lo stesso vale per l’articolo del presidente del Parlamento Europeo, Hans-Gert Pöttering, pubblicato martedì dal Guardian. Anche Pöttering si diceva entusiasta della prospettiva di un “nuovo inizio transatlantico” dopo le elezioni americane, e invitava il nuovo presidente degli Stati Uniti a tenere un discorso al Parlamento Europeo il prossimo anno. La reazione di Pottering all’elezione di Dmitrij Medvedev nel mese di marzo e al suo insediamento a maggio fu invece di totale silenzio in entrambe le occasioni. Le uniche dichiarazioni di Pottering relative alla Russia negli ultimi mesi sono state fatte per offrire sostegno alla Georgia e per attaccare la Bielorussia.
In queste circostanze è altamente improbabile che i tentativi del Presidente Medvedev di dirigere l’attenzione e la simpatia delle élite dell’Unione Europea verso gli altri europei a est dell’Ucraina possano mai decollare. La divisione del continente europeo tra Est e Ovest, così utile alla strategia geopolitica americana, probabilmente continuerà.

Originale: Russia versus Europe – the same old story

Articolo originale pubblicato il 5/11/2008

*Manuela Vittorelli è redattrice dei blog russologi http://mirumir.altervista.org/ e http://mirumir.blogspot.com/ e membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica.

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