Riceviamo e pubblichiamo questo contributo.

Israele e il post – Sionismo

di Dimitri Nilus

Il movimento del post-Sionismo emerge tra la prima e la seconda Intifada per sperimentare poi una fase di sostanziale regresso dopo l’affermazione di Sharon. Sta riemergendo solo ora in seno alla società sionista, ma questa volta, a nostro modesto avviso, in modo molto forte.
Va detto che rispetto all’originario movimento post-sionista, che era soprattutto un movimento marginale di scuola storica, oggi talune nuove prospettive strategiche finiranno sempre più per coinvolgere una parte molto importante dell’elite culturale sionista stessa.

Piuttosto che analizzare da un punto di vista meramente storico – politico la situazione del movimento post-sionista, è preferibile, in questo contesto, accennare quali sono le prospettive di più ampio respiro intellettuale sull’essenza stessa dell’ebraismo. Il bersaglio prediletto è l’ “ebraismo virtuale” (Ariel Toaff ha dedicato un saggio all’argomento, pubblicato di recente anche in Italia dalla Rizzoli), costruito dalla generazione di storici antisemiti in seguito alla seconda guerra mondiale. Shlomo Sand, nei suoi studi più recenti, ha ad esempio messo non solo in discussione quale frutto di “mitologia nazionalista” l’esilio storico degli ebrei, ma ha anche rigettato l’idea tradizionale sionista che vi sia stata un’aspirazione, eterna e unanime, degli ebrei al ritorno fisico alla “terra dei padri”. Eccezioni come quella di David Reubeni, che nel 1524 nella Roma di Clemente VII si dava da fare per procacciare armi e munizioni per creare uno Stato di Israele, o come quella di don Yusef Nasì, principe di Nasso, il quale proponeva di imbarcare sulle sue navi i profughi espulsi dallo Stato Pontificio di Pio IV nel 1569 affinchè, una volta attraccati a Giaffa, si trasferissero nelle lande del lago di Tiberiade per farle rifiorire: queste non furono affatto la regola. Tutt’altro, ci dicono proprio i nuovi storici post-sionisti.
A questa visione, che non mette certamente in discussione l’entità sionista, anzi la ritiene “un fatto concreto”, ormai fuori discussione, da cui semmai evolvere, si associano tre elementi fondamentali, che possano rifondare una più coerente identità ebraica. Gli storici dell’antisemitismo, con la loro visione del popolo ebreo “santo e martire” a prescindere, stanno caratterizzando l’ebraismo con un’immagine negativa a livello mondiale: costoro, ci dicono i post-sionisti, hanno deplorevolmente banalizzato le sofferenze storiche ebraiche, a tutto danno della comunità ebraica, sempre più malvista in quanto viene ovunque imposto ed amplificato il processo storico persecutorio antisemita.
Le comunità ebraiche italiane e francesi in particolare, con la loro fortissima carica identitaria militante “anti anti-semita” (usiamo questo termine per chiarificare al lettore cosa vogliano affermare i post-sionisti), sembrano costituire un problema per la comunità ebraica mondiale: la storia ebraica scritta da intellettuali ebrei italiani o francesi è una storia scritta da chi non conosce una parola di ebraico e si è avvicinato dunque alla cultura ebraica soltanto tramite traduzione, ma nonostante ciò – nei proclami – lancia al mondo messaggi di “sionismo bellicoso e guerrafondaio”. Va considerato, notano spesso i post-sionisti, che il movimento sionista non ha coinvolto , nel senso della presenza fisica in Israele, nemmeno la metà della popolazione ebraica mondiale. Viene infine messa in discussione la visione tradizionale che gli ashkenaziti sono sempre stati all’avanguardia nella cultura e nell’avanguardia ebraica; viceversa, gli strati meno colti della comunità ebraica del tempo, proprio gli ashkenaziti assorbirono più degli altri tradizioni di magia e medicina popolare, superstizione e alchimia, legate al fascino terapeutico del sangue.
Questa corrente intellettuale vuole con ogni mezzo mettere in discussione il monolitico “pensiero unico”, un autentico dogma teologico da cui sarebbe derivato quest’ebraismo virtuale che ha danneggiato la causa ebraica mondiale. Quest’ultima dovrà dunque essere ridisegnata. Il passo principale che l’entità sionista, per questa corrente, dovrà compiere è la rinuncia immediata allo scontro armato, alla retorica patriottica sionista e alle esercitazioni di forza anti – araba. E’ arrivato il momento della collaborazione: si parla addirittura, basandosi al riguardo sull’analisi di N. Chomsky,  pur non condividendone chiaramente i metodi, di comprendere “psicologicamente” gli atti dei combattenti palestinesi che hanno compiuto “operazioni di martirio”!
Ma sono i post-sionisti antisionisti? No affatto.
Sono i post-sionisti antitalmudisti? No affatto.
Hanno i post-sionisti mai focalizzato la propria attenzione sulla storica, ontologica, cristianofobia del popolo ebraico? No affatto.
E’ quindi, chiaramente, quella post-sionista una strategia di lunga prospettiva, che ha come fine principale la conservazione, l’espansione ed il rafforzamento, con mezzi che precorrano i tempi e facciano già da muro alle future prospettive cui si troveranno impigliate, dell’entità sionista e dell’intera comunità mondiale Ebraica.
Quali sono le possibilità di successo di questa corrente nell’attuale classe dirigente dell’entità sionista?
A nostro avviso, molto alte. L’unica strada che ormai i sionisti possono percorrere per conservare l’entità sionista è quella della collaborazione e della totale apertura con le borghesie (e non solo!) collaborazioniste arabe o palestinesi. In vista della creazione di un grande “mercato” mediorientale pacificato, egemonizzato dai sionisti, i quali si ritaglieranno per l’occasione una nuova immagine.
La vittoria di Hamas e la capacità straordinaria di tenere comunque Gaza, nonostante sabotaggi e attacchi veramente al di sopra di ogni umana immaginazione. La vittoria della Resistenza libanese, guidata da Hezbollah, nel 2006. Questi, non gli unici, ma i più significativi eventi degli ultimi anni, stanno mostrando che nonostante la superiorità militare, l’entità sionista, può essere sconfitta. E spesso, per le masse oppresse, l’esempio, l’azione, sprigionano una tensione dirompente e catartica più forte di ogni altro evento. La fede muove realmente le montagne. E se l’entità sionista ha ancora una carta da giocare questa sarà proprio qualcosa di simile a quanto propongono con grande acume i post – sionisti. Ammesso che il consenso di cui godono Hamas, Jihad islamica e gli altri soggetti Resistenti, vadano scemando nella comunità nazionale palestinese. E sarà tutto da vedere.