In un recente articolo dedicato alla strategia statunitense in Africa avanzavamo il dubbio, puramente retorico, sulla definizione  di “guerra etnica” che ridonda nei media occidentali quando scrivono o parlano del conflitto che si sta svolgendo nella regione di Kivu, aggiungendo le consuete litanie filantropiche che esecrano l’ennesima catastrofe umanitaria, e tacendo, da brave scimmie urlatrici degli interessi dominanti, sulle sue cause e le sue dinamiche . En passant: come fa una catastrofe ad essere umanitaria? Trattasi semmai di catastrofe umana. Corbellerie della semantica politicamente corretta!

Ma cosa sta esattamente accadendo nelle province nord-orientali dell’ex Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo? La sola cosa che si capisce dai suddetti media  è che c’è una guerra in corso. Per comprendere le cause della guerra infinita che devasta il Congo, anzitutto le sue regioni nord-orientali, bisogna tenere a mente le sue sterminate risorse minerarie. Il controllo sull’estrazione e la commercializzazione di queste risorse è la causa principale dei conflitti. Il sottosuolo di questo paese è ricco di minerali fondamentali per l’economia mondiale. Cobalto, diamanti, rame, uranio, petrolio, stagno, oro, argento, zinco, manganese, tungsteno, cadmio. Ma pure coltan e cassiterite, minerali indispensabili alla tecnologia informatica. Che i conflitti si concentrino anzitutto nelle regioni nord-orientali (Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu, Maniera) dipende appunto dal fatto che qui si concentra l’80% delle risorse minerarie del paese.
Dove vanno a finire i proventi e i frutti dell’estrazione dell’esportazione di queste risorse? Non verso i cittadini congolesi che sprofondano in una miseria indicibile (il reddito annuo pro capite è di 140 dollari!), ma non finiscono nemmeno in servizi sociali o infrastrutture, visto che il paese è uno dei più scassati del mondo. Vanno in tre direzioni.
La principale sbocca nelle casse delle multinazionali minerarie (anzitutto sudafricane, europee, nordamericane, giapponesi e ora anche cinesi). In secondo luogo finiscono nelle tasche dei funzionari pubblici e dei politicanti (che hanno perso il pelo ma non il vizio dei loro predecessori dei tempi della cleptocrazia di Mobutu), dei capi bastone delle diverse milizie e dei capi villaggio, ed infine in quelle (violiamo finalmente questo tabù!) dei funzionari delle Nazioni Unite, nonché di alcune ONG. In terzo luogo i proventi di questo business vanno a finanziare la guerra infinita, ovvero servono a nutrire i diversi gruppi armati (lo stipendio mensile di ogni miliziano è in media di 100 dollari, una cifra enorme se paragonata al gramo reddito mensile di un contadino o di un pastore).
Siamo quindi in presenza di una vera e propria economia criminale, di un colossale saccheggio, al quale fa da pendant una endemica corruzione. «Ogni dieci minuti un aereo sorvola Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. Sono carrette dell’aria, vecchi Antonov o malconci Cessna, che ogni giorno fanno la spola tra Goma e l’interno, nelle foreste circostanti dove si trovano miniere di metalli preziosi. Ritmi da fare invidia a un grande aeroporto internazionale e fatturati da far concorrenza alle grandi potenze». (Nigrizia, 1 novembre 2007).
Da Goma il malloppo espatria verso Kigali, capitale del Ruanda (dove va ad alimentare il regime filoamericano di Paul Kagame e Bernard Makuza che per questo da man forte ai mercenari d’oltre confine), e da qui riprende il volo verso i paesi imperialistici, più precisamente verso i laboratori e le fabbriche delle grandi multinazionali.
Sono quindi le grandi predatrici, le multinazionali occidentali ed asiatiche in competizione fra loro, le prime responsabili della guerra infinita. Sono esse che devolvono una parte dei loro astronomici profitti alle diverse milizie locali, che agiscono infatti come truppe mercenarie, come contractors a prezzi stracciati,  affinché i minerali vengano estratti, raggiungano quindi Kigali via Goma e di qui s’involino verso i paesi imperialistici.
Qui però occorre svolgere due precisazioni. Questo itinerario non è neutrale, esso conduce nelle casseforti delle multinazionali nordamericane, sudafricane e anche israeliane, a danno di quelle europee e cinesi. In altre parole sono le multinazionali nordamericane, sudafricane e israeliane quelle che finanziano i diversi gruppi armati “ribelli” del Congo nord-orientale, tra cui quello balzato recentemente all’onore delle cronache, il cosiddetto Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo – CNDP capeggiato da Laurent Nkunda (il quale si spaccia per socialdemocratico nonostante penda sul suo capo un ordine di cattura per genocidio). Queste multinazionali hanno tutto l’interesse a fomentare il conflitto e a mantenere l’anarchia militare. Perché? Perché nel caso le truppe governative di Joseph Kabila prendessero il sopravvento nel Congo nord-orientale il controllo delle risorse finirebbe nelle mani del governo centrale, l’attuale corridoio Goma-Kigali verrebbe interrotto e i preziosi minerali farebbero la strada opposta passando per Kinshasa e Luanda.
Non è una mera alternativa geografica, ma geopolitica. Dietro al governo di Kabila ci sono infatti gli europei (capeggiati da Francia e Belgio) e il Sudafrica a cui recentemente si è aggiunta la Cina.
La seconda precisazione. Occorre tenere presente che le grandi multinazionali hanno spesso forza pari a quelle degli stati e che  non sempre i loro interessi coincidono con quelli degli Stati madre. Le multinazionali sudafricane, ad esempio, sono in affari con quelle nordamericane e israeliane, e la loro politica non concorda affatto con quella del governo sudafricano dell’ANC che sta dalla parte del governo centrale del Congo contro le varie milizie “ribelli”. Questo vale anche per alcune multinazionali europee, anzitutto inglesi, olandesi e belghe le quali, in barba alle risoluzioni ONU e alle specifiche decisioni dell’Unione Europea (in sostegno al governo di Kabila e contro lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del Congo – risoluzione del 30 gennaio 2003) foraggiano le milizie che infestano il Congo nord-orientale e quindi l’estrazione e il commercio illegali delle risorse di questo paese.
L’attuale conflitto in Nord e Sud Kivu, riesploso ad agosto e che tante sofferenze causa ai disgraziati abitanti della zona, è quindi anzitutto una guerra per procura. I mandanti sono alcune multinazionali minerarie la cui geopolitica coincide con quella nordamericana (di cui Ruanda e Uganda sono solo pedine). Le diverse milizie che si scontrano con lo sgangherato esercito congolese di Kabila (sostenuto da Europa e Cina e dalle loro pedine africane quali Sudafrica, Angola, Zimbawe, Namibia, Ciad, Sudan e Libia) pretendono accreditarsi come milizie di autodifesa comunitaria (si vedano le bellicose interviste che Nkunda ha rilasciato al Corriere della Sera e a El Paìs), ma sono in prima istanza soldataglia mercenaria, mafie al servizio di queste rapaci multinazionali. Quest’alleanza puramente predatoria, in barba ai trattati internazionali e agli Accordi di pace del luglio 2003 (che posero fine alla cosiddetta “Guerra mondiale africana” iniziata nel 1998 e che si calcola fece quasi quattro milioni di morti!) punta alla fine a smembrare la Repubblica Democratica del Congo per costituire una serie di “Stati nani”, veri e propri stati vassalli delle multinazionali.
Questo vuol forse significare che le truppe fedeli a Kinshasa, ovvero al governo centrale di Kabila, sono da considerarsi in qualche modo come antimperialiste o anche solo progressiste? Saremmo ben contenti di poterlo affermare, ma non è così. Queste truppe regolari, corrotte fino alle midolla estorcono anche loro il pizzo sull’estrazione e il commercio e si danno ad eccidi di vario tipo contro civili inermi. Per di più sono fiancheggiate da bande Hutu e Mai Mai irregolari, fuori da ogni controllo e senza alcun’altra finalità se non quella di arraffare dollari. Il governo centrale di Kabila non è meno asservito dei suoi nemici all’imperialismo, in questo caso quello europeo, ed è responsabile non meno dei cosiddetti “ribelli” dello sfascio del paese, di averlo trasformato in un campo di battaglia tra i diversi imperialismi.
Le tragedie interminabili che subiscono i popoli congolesi cesseranno solo quando avranno fine le interferenze esterne, quando un regime antimperialista nazionalizzerà le risorse del paese ponendo fine al saccheggio neocoloniale. Questo era il sogno di Lumumba e della guerriglia rivoluzionaria degli anni ’60 di Pierre Mulele. Di questo sogno purtroppo, non sembra restare traccia nel Congo di oggi.

La Redazione