La Colombia continua a vivere momenti di terrore. Dalle intimidazioni alla Comunità di Pace di San José de Apartadó agli arresti di militanti democratici, dalle provocazioni in seno all’università alle scottanti rivelazioni di appartenenti all’esercito. La pace è lontana. Dopo una lunga e continua serie di provocazioni intimidatorie da parte di forze paramilitari e regolari, nel mese scorso la Comunità di Pace di San José de Apartadó ha subìto l’occupazione di case e scuole proprio da parte dell’Esercito.

Agli abitanti che hanno invitato i militari ad abbandonare la scuola è stato risposto che questa Comunità era un nido di guerriglieri e che per questo motivo doveva essere sterminata. Il giorno seguente l’occupazione illegittima, alcuni membri della Comunità sono stati fermati da individui armati che assicuravano possedere una lista di sei persone da assassinare, “invitando” gli abitanti a sfollare onde evitare un massacro. Il copione è sempre lo stesso: prima arriva l’Esercito provocando e minacciando, seguito dall’azione dei paramilitari, che molte volte sono gli stessi appartenenti alla “Forza Pubblica”. Il pretesto che chiunque si opponga alle logiche di potere sia additato come guerrigliero è ormai un leit motiv in Colombia. Lungi dall’essersi “smobilitati” i paracos continuano ad essere una delle colonne portanti della dottrina della “sicurezza democratica” del presidente Uribe. Bisogna prenderne atto e continuare a denunciarlo con forza.Agli inizi di novembre, intanto, 13 persone, fra attivisti dei diritti umani, dirigenti sindacali, militanti del Polo Democratico Alternativo e dirigenti comunisti locali sono stati privati della libertà per ordine della magistratura inquirente di Arauca, come abbiamo già segnalato. Secondo informazioni provenienti dalla città di Arauquita, dove sono stati portati a termine gli arresti illegali, la magistratura accusa i detenuti di essere ausiliari della guerriglia, criminalizzando  la denuncia e la protesta sociale in questa provincia, secondo il solito copione, che imita misure simili prese a livello nazionale contro dirigenti del Polo e del Partito Comunista. Come sempre, la scusa per colpire gli attivisti e gli oppositori del regime è quella di affiliarli d’ufficio all’insorgenza colombiana; eppure  sono le principali vittime della violenza dei paramilitari filo-governativi e dell’esercito. Il presidente Uribe (in quanto comandante in capo delle forze armate) ed i suoi alleati narco-parlamentari sono responsabili della violenza fisica, verbale e giudiziaria contro chi denuncia le barbarie della società colombiana, su questo non ci piove!Dalla Colombia, però, viene anche la buona notizia che il comandante dell’Esercito, Generale Mario Montoya, ha rinunciato ufficialmente al suo incarico. Già coinvolto in vari casi di violazione dei diritti umani (dalla creazione di un battaglione di intelligence alla fine degli anni Settanta, che di fatto era un’unità clandestina terrorista, responsabile di sequestri, assassini ed attacchi dinamitardi, alla protezione dei gruppi paramilitari e all’attacco della “Comuna 13”, un quartiere di Medellin, dove perirono 14 persone durante operazioni militari contro le milizie delle FARC e ne sparirono altre 50 nelle settimane seguenti), ex istruttore della famigerata Scuola delle Americhe – dove sono stati forgiati i peggiori torturatori e macellai dell’America Latina – Montoya è lo stesso che durante lo show massmediatico della “operacion jaque”, che portò alla liberazione della Betancourt, usò l’emblema della Croce Rossa per portare a termine la sua azione, in piena violazione dei Trattati Internazionali e commettendo un crimine di guerra. Solo nel 2007, secondo Amnesty International, sarebbero state almeno 330 le esecuzioni extra-giudiziarie perpetrate dalle “forze dell’ordine”, comandate da criminali del calibro di Montoya, come abbiamo già avuto modo di scrivere.Nel frattempo, un ex paramilitare colombiano, identificato come  Daniel Alfonso Guerra Ruiz, ha confermato davanti alle autorità giudiziarie che diversi civili che aveva egli stesso riunito, attirandoli con l’offerta di un lavoro, sono stati assassinati da effettivi dell’esercito per poi essere presentati come guerriglieri “morti in combattimento”, secondo una informativa pubblicata dal quotidiano El Tiempo. L’ex AUC ha confessato ad agenti della Polizia Giudiziaria di avere contattato 7 ragazzi su richiesta di  Roberto Carlos López Vega, militare di professione; sei di questi sono ricomparsi come morti in combattimento, con gli abiti che avevano il giorno della loro sparizione, oltre a stivali e armi; di un altro giovane non si hanno più notizie, i suoi genitori lo danno per morto. Uno degli agenti che era presente all’atto del ritrovamento dei cadaveri – che ha preferito non rivelare il proprio nome – ha affermato che gli stivali ritrovati davano l’impressione di essere nuovi e che sembrava che quasi tutti i giovani fossero stati uccisi da un solo colpo di fucile (come in un’esecuzione). Oggi che gli “ex” AUC confessano una piccola parte dei loro crimini: le cronache riportano dell’indissolubile intreccio fra esercito regolare e forze paramilitari, nient’altro che crudeli esecutori di un piano ideato nei piani alti della politica; il desiderio di sbandierare inesistenti risultati sul campo contro-insurrezionale e la macabra pratica delle ricompense per i guerriglieri abbattuti, unita all’altissimo grado di corruzione delle forze armate, portano a questi aberranti risultati. In tutto questo marasma, la procura generale della Colombia ha chiesto a diverse università pubbliche di Bogotà gli archivi con i dati su professori e studenti per stabilire se qualcuno di loro ha vincoli con organizzazioni terroriste. Radio Caracol ha indicato che Jorge Piedrahíta, magistrato dell’Unità contro il Terrorismo, ha dato istruzione perché si chiedano alle università i dati dal 1992 ad oggi; per effetto di questa inchiesta, è già stato arrestato un professore del collegio Saludcoop Sur, nella zona ovest della capitale. Gli agenti sono arrivati all’ora dell’ingresso degli studenti nel complesso – fatto che ha permesso l’opposizione alla detenzione degli studenti da parte dei loro stessi compagni -, i docenti e anche la direzione dell’istituto. Successivamente il professore ha deciso di consegnarsi alle autorità; secondo  Olga Marina Amaya, direttrice del collegio, l’accademico detenuto teneva lezioni di Scienze Sociali alle scuole superiori ed è titolare di una cattedra sui Diritti Umani nell’Università Distrettuale; inoltre ha assicurato che nell’ultimo anno, nel suo lavoro, non ha avuto comportamenti strani e che si è distinto per aver compiuto correttamente il proprio dovere. La caccia alle streghe lanciata dalla cosca uribista continua imperterrita a mietere vittime innocenti.

La Redazione