Finalmente abbiamo capito a cosa serve Liberazione!
Da tempo ci chiediamo a cosa serva Liberazione. Non che sia in cima ai nostri pensieri, ma neppure siamo i soli ad interrogarci sul mistero di questo giornale. Informazione poca, riflessione punta, italiano zoppicante, grafica da orticaria: a cosa serve Liberazione?
Molti lettori qualche risposta se la sono data, ed infatti hanno smesso di acquistarla. Al momento risultano soltanto 7mila acquirenti del Sansonetti-pensiero, ma il trend è tuttora verso il basso. La testata porta ancora la dicitura “giornale comunista”, ma il suo direttore dice espressamente che “si deve andare oltre”. Più che essere l’organo di Rifondazione, lo è della sua minoranza vendolian-bertinottiana. A cosa serva se lo stanno perciò chiedendo anche Ferrero e soci, che però devono tener conto degli equilibri interni, ed anche recentemente hanno deciso di allargare i cordoni della borsa per gettare un bel po’ di soldi nella voragine di questo quotidiano fallimentare.

A cosa serve, dunque, Liberazione? Finalmente, il 19 novembre, lo abbiamo capito.
Ed abbiamo anche capito che questi non hanno perso solo le elezioni. Hanno perso – ed è più grave – anche il senso del ridicolo.
Vladimir Luxuria in finale all’Isola dedica il successo a chi l’ha criticata”. Con questo titolo Liberazione ci informa: a) di un successo politico-culturale che ci era sfuggito, b) del valore culturale e sociale dell’Isola dei famosi (ed anche questo ci era sfuggito), c) del torto marcio che ricade su chi aveva osato criticarla.
Il pezzo porta la firma di un certo Boris Sollazzo, ma se ricordiamo bene tesi analoghe erano già state sostenute mesi fa dalla più nota Rina Gagliardi.
E così il programma più spazzatura della Tv spazzatura viene elevato al rango di evento culturale e democratico. Culturale, perché Luxuria sarebbe stata “capace di rompere schemi e moralismi”, “portando sull’Isola temi forti”, proponendo la sua identità sessuale “in una tv ed in una nazione omofoba”. Democratico perché il televoto, a differenza del voto di aprile, ha premiato Luxuria.
Ci sarebbe da restare di stucco: il voyeurismo televisivo esaltato anziché criticato, la partecipazione diretta anziché la presa di distanza, i ben retribuiti sottoprodotti dell’industria dello spettacolo (i “famosi”, appunto, tra i quali va certo ricompresa l’ex parlamentare del Prc) presi a modello e mezzo per “avanzate” operazioni culturali!
A volte siamo distratti, ma avevamo già avuto un vago sentore del degrado avanzante che pervade la “sinistra”e da tempo sappiamo che al peggio non c’è limite, ma l’elogio di questa porcheria ci pare davvero insopportabile.
A  qualcuno “porcheria” sembrerà troppo, a noi sembra troppo poco. Ieri Lina Wertmuller, parlando della conduttrice della trasmissione Simone Ventura, l’ha definita come una che “si occupa egregiamente in televisione di cose che ritengo abominevoli”. Ben detto!

Sollazzo, ad un certo punto del suo articolo, deve ammettere che Luxuria si è prestata alla perfezione ad un copione guardonesco e pettegolo (e per cosa l’hanno pagata, altrimenti!), ma è davvero divertente come l’argomenta.
Leggere per credere. Luxuria, scrive, “è anche caduta in qualche trabocchetto del gioco – nessuno è perfetto – come la gazzarra da cortile con la nemica Belén, in cui Luxuria si è fatta veicolo del pettegolezzo sul presunto adulterio della giovane sudamericana con Rossano Rubicondi, terzo marito di Ivana Trump, riproponendo l’irritante stereotipo dell’Eva contro Eva. Lo ha fatto per stanchezza, scarsa lucidità, irritazione. Ma proprio in quel frangente, forse, ha raccolto il suo maggior successo”.
Già, chissà perché proprio in quel frangente….!
Usare il cervello è un’attività che non ha mai fatto del male a nessuno, ma ci rendiamo conto che non possiamo pretenderla da un giornalista di Liberazione.
Ci rimane però un’inquietudine. Quel “dedico questa finale a chi mi ha criticato”.
Per favore, non ci dedichi niente. Intaschi la dovuta ricompensa (si dice circa 100mila euro già incassati per la partecipazione ed altri 200mila in caso di vittoria) e se ne vada su un’altra isola (con la minuscola). Per sempre.
In quanto al giornalista, comprendiamo che deve lavorare, ma il capitalismo per quanto orribile sia offre lavori senz’altro più dignitosi.
Siamo generosi e non vogliamo domandargli troppo: non gli chiediamo perciò di essere comunista, basterebbe fosse soltanto un po’ più serio. Ma dobbiamo essere onesti, il problema non è questo povero scribacchino, ma il giornale per cui lavora, degno prodotto del partito che ancora lo finanzia.
Detto questo, un merito glielo dobbiamo riconoscere. Sapevamo quanto Liberazione lavori al progetto vendolian-bertinottiano della “rifondazione della sinistra”. Già, ma quale sinistra? Ora lo sappiamo, quella dell’Isola dei famosi: a chi gli va, si accomodi.

La Redazione