Se uno volesse capire cosa sia il “movimentismo”, se cercasse una formulazione che in poche parole condensasse che bestia esso sia, non dovrebbe fare altro che visitare il sito di Sinistra Critica. Tutta la prima pagina è dedicata alla cosiddetta “onda anomala” ovvero alle proteste degli studenti contro i decreti ammazza-istruzione-pubblica della Gelmini. Vi campeggia l’editoriale dal titolo perentorio “L’ONDA PORTA IN PIAZZA L’AUTOPOLITICA”.

Leggiamo:

“Il grandioso successo della manifestazione studentesca di oggi mostra la forza e la pervasività di questo movimento che rivendica la propria autonomia e la propria radicalità nel perseguire l’obiettivo di fermare il governo e i suoi progetti di distruzione della formazione pubblica. Centinaia di migliaia di studenti hanno assediato montecitorio, simulacro di una politica arroccata nel palazzo a difesa degli interessi di pochi. Questo è un movimento che supera l’antipolitica, prodotta anche dal suicidio e dall’autoreferenzialità della sinistra istituzionale, e che porta in piazza l’autopolitica. Quale migliore dimostrazione che solo dai movimenti, dalle lotte sociali, dai soggetti in carne ed ossa, si potrà ricostruire la credibilità di una nuova sinistra anticapitalista?” 

Qui abbiamo un distillato di “movimentismo”. L’esagerazione autoconsolatoria dell’ampiezza e della consistenza reale del movimento di protesta è tutto sommato l’errore più piccolo, quello a cui la sinistra antagonista ci ha abituato da anni. Il secondo errore è invece più grave, consiste nella sopravvalutazione del livello reale di consapevolezza del movimento medesimo. L’autopolitica? Ecco tirato fuori dal cilindro un alibi per nascondere il vero tallone d’Achille di questo sacrosanto movimento di protesta, la contraddizione o lo iato che a noi paiono lampanti tra l’in sé e il per sé, ovvero la distanza che passa tra la portata obiettiva antisistemica della protesta e la coscienza degli studenti che la animano, la quale è invece confusa, impolitica, tremendamente primitiva se paragonata, non diciamo ai ‘70, ma alla Pantera, per non parlare dei movimenti giovanili no-global e antiguerra di pochi anni fa. Siamo in presenza di una classica allucinazione visiva per cui lo striminzito strato d’avanguardia che è alla testa della protesta si guarda allo specchio e non vede sé stesso ma… il movimento moltitudinario. Quella che ci viene spacciata come rappresentazione del movimento in quanto tale altro non è se non l’autorappresentazione che l’avanguardia politicizzata ha di sé stessa. 

Di qui il terzo errore, il più grave di tutti, quello che esprime la quint’essenza del “movimentismo”: il ritenere che il movimento, le lotte, le proteste “dei soggetti in carne e ossa” siano una specie di catartico lavacro per mezzo del quale la sinistra anticapitalista, come l’araba fenice, possa risorgere dalle sue ceneri. 

Qui non si tratta solo del comprensibile entusiasmo di alcuni giovani militanti antagonisti, che dopo anni di solitudine tornano ad essere protagonisti del conflitto. Qui si situa piuttosto l’architrave del discorso politico di Sinistra Critica in quanto raggruppamento politico. E dunque, ci sia concesso, la formidabile pochezza di un collettivo di dirigenti che viene da lontano, che è molto avanti con l’età, ma il cui avanzamento anagrafico pare non avere giovato in quanto a  saggezza. Avallare l’idea, in barba all’esperienza accumulata, che il conflitto sociale sia di per sé la panacea, la soluzione ai problemi drammatici della sinistra rivoluzionaria, non è solo un errore, è una vera e propria bestialità.

Legga, chi ne avesse il tempo, il documento “Undici tesi per una nuova sinistra, di classe e anticapitalista” (maggio 2008). Si tratta della vera e propria carta d’identità di Sinistra Critica non appena mollati gli ormeggi e avviatasi in mare aperto dopo quasi un trentennio di patetica immersione entrista, prima in DP poi nel PRC.

La tesi centrale delle Tesi è questa: occorre costruire, “su basi realmente nuove, una nuova sinistra di classe e anticapitalista”. Da Tesi che pretendono di essere programmatiche uno si aspetterebbe, come minimo, che vengano indicati non solo i principi teorici e i presupposti programmatici, ma pure alcuni assi di strategia rivoluzionaria. Invece nulla, niente di niente. Tesi a quantità negativa.

Siamo impietosi? La nostra critica vi pare ingenerosa?

Leggiamo la Tesi chiave, la numero sei:

“La nuova sinistra non potrà essere mono-identitaria. Le eredità del passato non sono più sufficienti a dare un senso alla rappresentanza politica e hanno bisogno di incontrarsi e di fondersi in maniera dialettica. Noi pensiamo a una sinistra anticapitalista, ecologista, comunista e femminista; non per assemblare senza distinzioni i differenti protagonismi, ma per trovare assieme un quadro di riferimento unitario e un progetto di lavoro comune. Non è dunque sufficiente proclamare questa identità comune. Occorre praticarla: una sinistra femminista è una sinistra che accetta nel suo seno il protagonismo delle donne e dunque anche il conflitto; ecologista significa che ha l’intenzione d’essere pronta ad ogni mediazione sul terreno della protezione dell’ambiente; comunista implica battersi per rompere col sistema sociale attuale e costruire, veramente, un reale movimento che abolirà lo stato di cose presenti. Occorre anche (notate bene la rimozione del concetto di antimperialismo, NdA) che sia una sinistra internazionalista che sappia costruire un progetto internazionale fatto di elaborazioni e di pratiche comuni (sic!)”.

Mai una definizione è stata  più vacua, priva di contenuto, perdutamente astratta! Da una forza politica che dice di compiere una svolta radicale (dopo anni di a volte vergognosa immersione nel riformismo rifondarolo — vedi gli svariati e imperdonabili voti di Fiducia dei due parlamentari Cannavò e Turigliatto che salvarono il governo Prodi — ci si aspetterebbe ben altro. Ci si aspetterebbe che, contestualmente all’appello a costruire una nuova sinistra, indicasse con estrema precisione i propri connotati, le sue proposte programmatiche non negoziabili, uno straccio di strategia politica anticapitalista. Invece nulla. Null’altro che un opportunistico e camaleontico appello all’unità, come se un nuovo partito politico fosse una specie di fronte unito per le lotte. Solo dei retorici pleonasmi per cui si è femministi in quanto si difendono i diritti delle donne, ambientalisti perché si difende l’ambiente, comunisti perché… qui cade l’asino!, perché si vuole…  rompere col sistema attuale (sic!). Si ma per quale sistema? Che c’entra col comunismo questa indeterminatissima intenzione oltre-capitalista?

Morale della favola: Sinistra Critica ha abbandonato il PRC ma non si è affatto sbarazzata del bertinottismo, della retorica anticapitalistica priva di costrutto. La sola differenza con le filastrocche dell’inFausto è che le affabulazioni di quest’ultimo, per quanto demagogiche, avevano un certo vigore evocativo, mentre le frasi e la sintassi di Sinistra Critica sono di una politichese povertà da far paura, stile volantino anni ‘70.

Pensate che l’effluvio bertinottiano finisca qui? Nient’affatto, riscappa fuori nelle tesi finali. Passi la decima, una vera e propria massimalistica lista della spesa di rivendicazioni sociali che, nella pretesa ragionieristica di ficcarci tutto, omette proprio quella in difesa della scuola pubblica, la undicesima è tutta una filippica apologetica dei movimenti tutti, dalla Val di Susa a Vicenza, dalle femministe agli LGBT (lesbiche, Gay, Bi e Transessuali), dagli operai agli immigrati. Tutti messi a forza nel medesimo sacco, quello dei “movimenti”, che tutto fanno e disfanno, che tutto possono, si spera anche sopperire al vuoto pneumatico di idee politiche che caratterizza tutti i diversi declamatori della “nuova sinistra”. Leggiamo questo inno al nulla che chiude la undicesima Tesi: “Una nuova generazione politica, che si è sviluppata senza modelli da applicare, ma che non si rassegna a pensare che questo mondo sia il migliore possibile e che è disposta a battersi per un altro mondo e un’altra società”. 

Non penso di sbagliarmi se affermo che questa roba qui ha il fiato corto. Sinistra critica scimmiotta  i fratelli della LCR francese, non vorrei che di qui a poco assistessimo ad un rientro nell’ovile della Rifondazione ferreriana, che li attende a braccia aperte. Amen.

 

Moreno Pasquinelli