Per un osservatore distratto, le elezioni amministrative venezuelane potrebbero essere niente più del solito conteggio di stati regionali vinti o persi dai partiti di governo o di opposizione. Eppure sono stati scelti 22 governatori, 328 sindaci e centinaia di consiglieri regionali e municipali nell’ultima tornata elettorale, che ha visto la vittoria della coalizione che sostiene il presidente Hugo Rafael Chávez Frías, l’“Alleanza Patriottica”, guidato dal Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv), secondo quanto riferito dal Consiglio elettorale nazionale (Cne).

L’“Alleanza Patriottica”, con in testa il Psuv del presidente Chávez, ha ottenuto il maggior numero di voti, conquistando 17 dei 22 stati (più o meno corrispondenti alle nostre regioni, a livello legislativo) in cui si sono svolte le elezioni. Analizzando il quadro della situazione senza paraocchi, si capisce che il voto del 23 novembre non è stato tutto “rose e fiori” per Chávez, in quanto, seppur vincente nel complesso, esce più debole rispetto a quattro anni fa. Alle amministrative del 2004, infatti, l’opposizione aveva conquistato appena due stati, Zulia, la cui capitale Maracaibo – dopo Caracas – è la città più importante del Paese, e Nueva Esparta, nella parte orientale del Venezuela. Oltre a questi due stati “anti-chavisti”, se ne sono aggiunti altri tre: Miranda, dove alcuni feudi tradizionalmente “chavisti” sono caduti, Carabobo – forse il più industrializzato degli stati venezuelani – e nella regione andina di Tachira. Inoltre, il Psuv ha perso la capitale Caracas (il “Distrito Capital”), anch’essa strappata dall’opposizione.
A Maracaibo ha vinto Manuel Rosales, che diventa il sindaco di una delle più grandi realtà metropolitane venezuelane. Maracaibo è anche la capitale dello stato di Zulia, dove si concentrano le risorse petrolifere del Paese. Rosales, in sostanza, resta l’avversario più pericoloso di Chávez, nonostante la sconfitta alle presidenziali del 2006. Fu accusato di essere un complice dei narcotrafficanti, un uomo dell’estrema destra, un corrotto pronto a vendere il petrolio agli stranieri. «Che nessuno dimentichi che quella bolivarista è una rivoluzione pacifica, ma armata!», lo aveva ammonito Chávez. Rosales guida “Nuova Era” e potrebbe ricompattare le forze socialdemocratiche, liberali e repubblicane, conservatrici – se non proprio reazionarie – in vista delle future presidenziali. Il sindaco si è presentato come il paladino della innovazione e della libertà, di un socialismo alternativo al modello bolivarista ed ha vinto, come dicevamo, a Maracaibo.
L’opposizione, come accennato, si è imposta anche nello stato di Miranda, grazie all’affermazione di Henrique Capriles, un esponente della dissidenza “anti-chavista” riunita attorno al “Club dei prigionieri” politici. Anche nella Nueva Esparta ha trionfato l’opposizione, a dimostrazione che gli stati costieri più ricchi cercano vie di fuga rispetto al cammino scelto dai sostenitori dell’“Alleanza Patriottica” per il Paese.
Non ce l’ha fatta Ramon Martinez, un altro dissidente, che ha perso la corsa a governatore nello stato del Sucre, sulla costa caraibica nella parte orientale del Paese (Chávez si è ripreso anche gli altri stati dei suoi ex sostenitori Trujillo, Aragua e Guarico). Prima delle elezioni, Martinez ha detto che se il presidente continuerà a mostrare un totale disprezzo verso la Costituzione ci potrebbe essere una guerra civile. Martinez viene dalla rivoluzione bolivariana, è stato un militante del “Movimento verso il socialismo” (Mas), ma oggi guida il partito “Podemos” (“Possiamo”) e ha definito Chavez “il Bin Laden dell’America Latina”.
La sconfitta di Aristobulo Isturiz, candidato “chavista” per il governo della capitale, rappresenta il colpo più duro per il presidente Chávez che nei prossimi quattro anni sarà costretto, volente o nolente, a dialogare e a fare i conti con il candidato dell’opposizione che ha trionfato, il neoeletto sindaco Antonio Ledezma, che ha dichiarato: «Invito il Presidente della repubblica a lavorare con noi per salvare Caracas dall’anarchia». «Il popolo, che ha votato per i candidati della rivoluzione o per altri, ha dimostrato che noi godiamo qui di un sistema democratico e che noi rispettiamo le sue decisioni», ha dichiarato Chávez, rispondendo alle critiche interne ed internazionali sulla democraticità del suo governo. A ben vedere, l’opposizione ha vinto nelle zone più ricche e popolate del Venezuela: Miranda, Zulia, Distrito Capital, Carabobo e Tachira riuniscono da sole oltre la metà della popolazione del Paese.
Secondo il Cne, la partecipazione al voto è stata del 65,45% (erano oltre 17 milioni le persone chiamate al voto), «il che rappresenta il tasso di partecipazione più alto degli ultimi anni a elezioni regionali», ha detto il Presidente dell’organismo, Tibisay Lucena, alle agenzie di stampa.
Nello stato di Barinas, che ha un peso particolare a livello popolare, perché è quello originario di Chávez, ha vinto suo fratello Adan Chávez, con il 49,63% dei voti, contro Julio Cesar Reyes, attuale sindaco della città, ex membro della coalizione pro Chávez. Il che conferma il forte e solido appoggio al Psuv da parte degli abitanti di questo stato.
«Un grande trionfo della democrazia», ha commentato il presidente Chávez, all’indomani dello scrutinio finale dei voti. «Vorrei ricordare a tutti coloro che insistono a chiamarmi tiranno – ha aggiunto – che un anno fa il ‘tiranno Chávez’ ha perso un referendum per meno di 10 mila voti. E sono stato il primo a riconoscere di aver perso e a essermi congratulato con i vincitori“. Il Presidente punta nuovamente a cancellare dalla Costituzione la norma che limita i mandati presidenziali, per poter essere rieletto indefinitivamente. Lo ha annunciato lo stesso Chávez, chiarendo che il suo partito valuterà la possibilità di presentare nel 2009 un progetto di riforma costituzionale per permettere la sua rielezione nel 2012. Lo scorso anno Chávez aveva perso il referendum che, oltre a chiedere di emendare lo stesso articolo della Costituzione, avrebbe esteso ulteriormente i suoi poteri. «È un diritto del popolo decidere – ha detto Chávez – e vedremo se la gente eserciterà questo diritto. Ci sarà un referendum e vedremo se il Paese lo approverà». Nel 2007 il risultato del referendum indicò che il popolo venezuelano era intenzionato a continuare a riconoscersi nella Costituzione e che il tentativo di “riformare” il Venezuela in senso presidenziale e “centralista”, portato avanti da Chávez, non era perseguibile. Quella proposta di riforma fu formulata in maniera anomala, perché conteneva delle proposte politiche che andavano appoggiate, oltre alla “riforma presidenziale” su cui manifestammo le nostre critiche. Staremo a vedere se il referendum sulla riforma presidenzialista sarà riproposto separatamente, rispetto alle altre riforme, cosa succederà.

La Redazione