Congresso arabo-internazionale sul Diritto al Ritorno

Si è concluso a Damasco il Congresso arabo – internazionale sul Diritto al Ritorno, che ha visto la partecipazione di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, nonostante che fra gli organizzatori e i principali relatori figurassero parecchie organizzazioni inserite nelle arbitrarie Liste Nere degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
A seguire pubblichiamo l’accurato report di Infopal e la Dichiarazione conclusiva del Congresso.

 

Congresso arabo-internazionale sul Diritto al Ritorno

Damasco – lunedì 24 novembre 2008

Da Damasco, Angela Lano. Infopal. Si è aperto ieri presso l’Umayyad Palace di Damasco, in Siria, il “Congresso arabo-internazionale sul Diritto al Ritorno”. I lavori sono stati aperti dalle relazioni degli organizzatori della conferenza e da leader e personaggi arabi e internazionali di spicco: Talal Naji, assistente – Segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – FPLP-CG, ‘Azmi Bishara, Faruq Qaddoumi, il capo dell’Ufficio politico di Hamas, Khaled Mesha’al, monsignor Capucci e molti altri ancora.

Migliaia di persone provenienti da molti paesi arabi e islamici e dall’Occidente affollano le sale dell’Umayyad Palace per la due giorni dedicata al diritto al ritorno in Palestina dei profughi sparsi in tutto il mondo. Al termine, verrà rilasciata la “Dichiarazione di Damasco per il Diritto al Ritorno”.
Il Congresso è parte delle celebrazioni commemorative per il 60° anniversario della Nakba, la Catastrofe che colpì il popolo palestinese nel 1948, con l’usurpazione delle terre, dei villaggi, delle città, delle proprietà da parte delle bande terroriste sioniste, e la conseguente creazione dello stato israeliano; nello stesso tempo, viene ricordata la risoluzione Onu n. 194 del 1948, che sancisce il diritto al Ritorno e alle compensazioni per i rifugiati palestinesi.
Talal Naji, che presiede il Congresso, ha affermato che la “Palestina è afflitta da un’invasione coloniale, razzista che ha sottratto la sua terra e ha trasformato i suoi abitanti in rifugiati”. E ha sottolineato che i tentativi di spazzar via il diritto al ritorno sono stati sempre rifiutati dal popolo palestinese e che “la difesa di tale diritto è un dovere che dovrebbe essere incluso in ogni programma nazionale”.
L’Ufficio politico di Hamas. Il discorso del leader del movimento di resistenza islamica, Khaled Meshaal, è stato accolto con molta partecipazione e interesse. Egli ha condannato la “inspiegabile indifferenza” araba e internazionale alla sofferenza dei cittadini di Gaza, definendone la tragedia una “grande vergogna per la Ummah araba”. Meshaal ha criticato la posizione del governo egiziano, che continua a tenere chiuso il valico di Rafah nonostante la catastrofe in cui si trova la popolazione della Striscia: “Non lasciate il mare ai sostenitori stranieri. Tutti gli stati arabi possono mandare navi a Gaza”, ha affermato, nel tentativo di scuotere l’orgoglio e il nazionalismo arabo.
Negoziati inutili e pericolosi. Il capo politico di Hamas ha poi definito “inutili e infruttuosi” i negoziati tra l’ANP di Mahmoud Abbas e Israele, sottolineando che il suo movimento li condanna fermamente, anche perché avvengono “in mezzo alle divisioni politiche interne palestinesi”, che, dichiarerà poi in serata, durante una conferenza stampa con le delegazioni italiana, greca e britannica, “sono volute dagli Stati Uniti” che premono in tal senso sull’Autorità nazionale di Ramallah.
“Per ciò che ci riguarda i colloqui palestino-israeliani – ha aggiunto – noi riteniamo che il negoziatore palestinese non è adatto e non è autorizzato a portarli avanti. Perché i negoziati si sono fermati cinque anni fa durante la presidenza di Yasser Arafat? E Perché sono rimasti congelati dopo che Hamas ha vinto le elezioni e sono iniziati solo dopo le divisioni politiche nell’arena palestinese? E’ chiaro che le divisioni politiche hanno l’obiettivo di coprire i negoziati e di dare ai negoziatori palestinesi mano libera per scendere a compromessi sui principi inalienabili palestinesi”.
Dialogo nazionale. Meshaal ha spiegato che il suo movimento ha accolto con favore i tentativi egiziani di risanare la frattura tra Hamas e Fatah, ma ha aggiunto che essi sono falliti poiché “gli altri partiti non hanno mostrato interesse al dialogo”: “Essi volevano che Hamas criminalizzasse la resistenza, volevano imporre le condizioni del Quartetto”. Il leader di Hamas ha spiegato che “il problema non è con Fatah in generale, ma con una certa tendenza all’interno di una corrente di Fatah che ha cancellato la resistenza dalla carta dell’Olp e ha accettato di cedere Gerusalemme e altre terre palestinesi”.
Rifiuto di compensazioni e naturalizzazioni, diritto al Ritorno. Meshaal ha spiegato poi che né Hamas né i rifugiati palestinesi intendono accettare compensazioni economiche o naturalizzazioni nei paesi ospiti come soluzione al problema dei Rifugiati, e ha aggiunto che “la resistenza è un diritto del popolo palestinese fino a quando non sarà posta fine all’occupazione” e che quello al ritorno è “un diritto inalienabile per qualsiasi palestinese espulso dalla propria terra”.
Appello ai leader arabi. Meshaal si è poi rivolto ai leader e ai paesi arabi chiedendo loro di “aver compassione del popolo palestinese, garantendogli una vita onorevole e non costringendolo a cercare ospitalità in paesi stranieri. Il mondo arabo non è stato in grado di accogliere qualche centinaia di profughi palestinesi che sono fuggiti dall’Iraq distrutto dalla guerra e che hanno dovuto cercare rifugio in paesi scandinavi o in Sudamerica dopo che quelli arabi avevano chiuso loro le porte in faccia?”.
Obama, il nuovo che nasce? Meshaal ha infine espresso dubbi sulla possibilità che il nuovo presidente Usa, Barack Obama, apporti cambiamenti nelle relazioni con il mondo arabo e nella gestione americana della Questione israelo-palestinese.
Incontro tra l’Ufficio politico di Hamas e tre delegazioni europee. In serata si è svolto un cordiale incontro a porte chiuse tra le delegazioni di Gran Bretagna (guidata da Lord Nazir Ahmed e dalla Baronessa Jennifer Louise Tonge), Grecia e Italia (guidata dall’ex senatore Fernando Rossi), con dichiarazioni di sostegno alla causa palestinese, riconoscimento del ruolo di Hamas come legittimo rappresentante, democraticamente eletto, del popolo palestinese, della forte difficoltà nel veicolare informazioni corrette e veritiere sul conflitto tra il super-armato Israele e i palestinesi, sulla drammatica situazione nella Striscia di Gaza e sulle divisioni interne palestinesi alimentate dagli Stati Uniti.
Il discorso della parlamentare britannica, la baronessa Jennifer Tonge, è stato “molto forte”: una denuncia dei meccanismi perversi della comunicazione mediatico-politica del conflitto, che vedono Israele come paese “vittima” del “terrorismo palestinese” e non viceversa, e il riconoscimento di Hamas quale rappresentante palestinese con cui dialogare. La Tonge ha sottolineato la necessità per l’Europa di relazionarsi a “tutte le parti palestinesi e non solo a una”.
L’italiano Fernando Rossi, ex parlamentare e attuale coordinatore nazionale del PBC, ha definito il movimento di resistenza islamica “il legittimo rappresentante del popolo palestinese, in quanto partito eletto durante elezioni democratiche” e ha evidenziato l’importanza per le nazioni europee e la UE di esercitare pressioni su Israele al fine di sollevare l’ingiusto assedio alla Striscia di Gaza.
Sia Rossi sia Tonge e lord Ahmed Nazir, hanno preso parte all’ultimo viaggio della nave Dignity, del Free Gaza mov., giunta a Gaza l’8 novembre scorso.

Dichiarazione di Damasco per il Diritto al Ritorno

Damasco, 25 novembre 2008

Noi, i partecipanti al “Forum arabo-internazionale sul diritto al ritorno”, ospitato dalla capitale siriana di Damasco dal 23 al 24 novembre 2008, e che ha visto la partecipazione di più di 5000 persone, di organizzazioni, partiti politici, associazioni e comitati per il diritto di ritorno, rappresentanti del mondo arabo, islamico e internazionale, (…) al fine di continuare a difendere e veder garantito il diritto dei palestinesi al ritorno, dichiariamo quanto segue:
1 – Il diritto dei profughi palestinesi a ritornare nelle proprie case e terre da cui sono fuggiti, il loro diritto al risarcimento dei danni, è al centro della causa palestinese e ne è l’essenza. E’ un diritto inalienabile e irrinunciabile.
2 -Il diritto al ritorno è un diritto legittimo e naturale, sia individuale sia collettivo, garantito dalla religione e dalle leggi internazionali e dalle convenzioni (…).
3 – Il Forum conferma che la resistenza è un’opzione e rappresenta il percorso più efficace e più breve per garantire il ritorno dei palestinesi alle loro case; esso chiede la protezione di questa opzione a livello nazionale, internazionale e del mondo islamico.
4 – La fedeltà al diritto di ritorno è una delle priorità del progetto di liberazione nazionale palestinese. I leader nazionali e la comunità internazionale devono difendere questo diritto, esso è un obbligo e un dovere umanitario e civile.
5 – Noi sosteniamo il popolo palestinese nel suo attaccamento alla terra e alla patria, al patrimonio, all’identità culturale e all’identità araba e islamica. Si ribadisce inoltre che l’unità in patria e all’estero rappresenta una condizione di tutela dei diritti e non accetta compromessi o rinvii.
6 – Che il popolo palestinese è stato espulso dalle forze sionista, che hanno adottato la tattica del terrorismo, degli omicidi e stragi, e che ciò costituisce il reato di pulizia etnica e crimini contro l’umanità, la cui responsabilità ricade anche sulle potenze internazionali che hanno sostenuto e sostengono il progetto sionista e gli forniscono tutte le forme di sostegno e protezione.
7 – Che tutti i progetti che mettono in discussione il diritto dei profughi palestinesi al ritorno sono deplorevoli e inaccettabili, sia che si tratti di risarcimento, di patria in un paese ospite (…).
8 – Che le Nazioni Unite sono chiamate ad attivarsi senza indugi per il diritto di ritorno dei palestinesi (…).
9 – Che le Nazioni Unite sono chiamate ad assumersi la responsabilità di consentire all’UNRWA, l’Agenzia dell’Onu per i profughi, di continuare a svolgere le proprie funzioni.
10 – che la prassi sionista, che ha lo scopo di trasferire ancora altri palestinesi, è una pratica criminale che deve essere affrontata, come i progetti che prevedono lo “scambio di popolazione” e il “trasferimento”, gli insediamenti e il muro razzista volto a modificare l’identità del territorio e dei diritti.
11 – Che è un diritto dei profughi palestinesi godere di diritti civili, economici e sociali nei paesi dove hanno trovato rifugio, fino al loro ritorno, ed è dovere degli Stati arabi dove risiedono garantire loro tali diritti e abolire tutte le forme di ingiustizia e di sofferenza.
12 – Consideriamo lo “Stato ebraico” come un progetto per completare lo spostamento dei palestinesi che vivono nei territori occupati del 1948, come un tentativo di far fallire il diritto di ritorno e confermare quello ebraico legittimando il modello di apartheid in Palestina; un progetto del colonialismo a discapito del popolo palestinese e della sua identità.
13 – La conferenza apprezza la fermezza del popolo palestinese in patria e all’estero, la sua resistenza e i suoi sacrifici nel corso degli anni e delle generazioni – uomini, donne, gli anziani, i bambini, i liberi e i prigionieri – a fronte di campagne di spostamento e di reinsediamento.
14 – Tutte le istituzioni, le organizzazioni e le associazioni, che difendono il diritto di ritorno, sono invitate a coordinare i loro sforzi e a contribuire alla mobilitazione di energie e di tutte le forze palestinesi e arabe, islamiche e cristiane, umane, regionali e internazionali, al fine di raggiungere un consenso globale per l’applicazione del diritto al ritorno e per impedire qualsiasi tentativo di annullare tale diritto.
15 – Invitiamo ad attivare tutti i meccanismi e gli strumenti politici, giuridici, economici, informativi ed educativi, per difendere il diritto di ritorno, e la diffusione della cultura, radicandola nei cuori delle generazioni, soprattutto i più giovani.
16 – Sono passati 60 anni dallo stupro della Palestina senza che venga realizzato il diritto al ritorno dei palestinesi alle loro case e terre; dichiariamo inoltre che le Nazioni Unite sono obbligate ad espellere l’entità sionista da membro dell’Onu per non aver applicato il diritto al ritorno previsto, e accettato, come condizione per la sua appartenenza dalle risoluzioni internazionale.