Ha l’aspetto di sabbia nera e si trova soprattutto in Africa (l’80% in Congo). Contiene tantalio e niobio, due metalli che per le loro caratteristiche ed applicazioni sono diventati più preziosi dell’oro e dei diamanti, di cui il Congo è anche molto ricco. Molto duro, denso, resistentissimo al calore e alla corrosione, viene utilizzato per componenti elettronici e per la produzione di automobili, equipaggiamenti chimici, reattori nucleari, aerei e missili. L’ossido di tantalio aumenta la rifrangenza del vetro, viene pertanto utilizzato per le lenti fotografiche e negli apparecchi per la visione notturna. Non reagisce con i componenti biologici umani, trova quindi applicazione nell’odontoiatria e nella chirurgia.

 

Già sfruttato prima della Seconda guerra mondiale, è diventato di importanza strategica solo da qualche anno. Prima valeva pochissimo e nessuno voleva estrarlo. Spaccare le pietre sotto il sole non è un lavoro piacevole. Ora è richiestissimo dall’industria ultratecnologica e le concessioni si sono moltiplicate. Se ne è cominciato a parlare (poco) in Italia da quando in Africa le persone hanno iniziato ad uccidersi per avere il controllo delle miniere dalle quali viene estratto. Solo la morte brutale l’ha fatto balzare agli onori della cronaca. Stiamo parlando del coltan, un minerale preziosissimo, un metallo raro, molto duro e resistente alla corrosione, usato per la costruzione di turbine aeronautiche e per la fabbricazione di condensatori elettrici di piccole dimensioni. Oggi il tantalio è il genere di prima necessità più ricercato dai produttori di telefonia mobile. Cellulari, cerca – persone, personal computer, videogiochi, ma anche materiali ad uso chirurgico per funzionare hanno bisogno dei microcondensatori al tantalio.

Nel 1999 per un pound (1 pound = 0,4536 Kg) di coltan grezzo si pagavano dai 3 ai 4 dollari statunitensi; nel gennaio 2000 il prezzo è salito a 30/40 dollari, fino ad arrivare ai 380 nel dicembre 2000, in concomitanza con lo sviluppo dei cellulari UMTS e la diffusione di videogiochi interattivi diffusi sul mercato internazionale. A partire dal 2001 il prezzo inizia a calare: 150 dollari in aprile, 100 a luglio, fino a 30/40 in ottobre. Intanto migliaia di scavatori congolesi sono morti tra il fango delle miniere, milioni di dollari sono andati ad alimentare gli eserciti che si combattono in Congo, provocando centinaia di migliaia di vittime e alcuni uomini d’affari hanno costruito per enormi fortune. Il prezzo del coltan varia a seconda della percentuale di Tantalite presente nel minerale. Si pensi al fatto che nel 2004, quando la richieste da parte dell’occidente erano tantissime, arrivò a costare 600 dollari al kg!

Il prezzo attuale del minerale è di poco superiore a quello dell’oro e se si riflette sul fatto che l’80% delle risorse di coltan sono nella Repubblica Democratica del Congo (precisamente nella regione di Kivu) si può facilmente immaginare il perché quella regione sia così afflitta da decine di micro-conflitti. A peggiorare la situazione è intervenuto anche il fattore esterno che in questo caso specifico è rappresentato dai due Stati confinanti con la regione: l’Uganda e il Ruanda. Specialmente quest’ultimo è particolarmente attivo tanto da occupare militarmente (attraverso milizie finanziate dal governo di Kigali) una consistente fetta di territorio, quello appunto più ricco di coltan. Questo minerale è la causa principale della guerra che dal 1998 ha ucciso più di 4 milioni di persone in Congo.

Alcune delle più grosse multinazionali sfruttano le miniere congolesi, pagando 200 dollari al mese (la paga di un normale lavoratore in Congo è di 10 dollari al mese) i minatori. Ma perché la paga è così alta? Il coltan contiene una parte di uranio, quindi è radioattivo, provoca tumori e impotenza sessuale. Si consideri che viene estratto dai minatori a mani nude ed ecco trovato il motivo di paghe così alte. Questo scatena comunque una vera e propria corsa alle miniere da parte dei guerriglieri che se ne vorrebbero impadronire, non solo dal Congo ma anche dalla vicina Uganda e dal Ruanda.

I soldi che le multinazionali spendono per estrarre il coltan, come sempre, non servono per alimentare la popolazione, costruire scuole o ospedali; tutt’altro, servono a finanziare la guerra, comprare armi, dar da mangiare ai soldati. Pochi sanno quali sono esattamente le società che comprano il coltan e non è facile scoprirlo, perché ci sono decine di intermediari che passano dall’Europa, in particolare dal Belgio (si sospetta che anche l’ex compagnia aerea di bandiera belga la “Sabena” trasportasse illegalmente il minerale). Eppure i principali fautori di questo che sta diventando un genocidio sono Nokia, Ericsson, Siemens, Sony, Bayer, Intel, Hitachi, IBM e molte altre aziende. Non basta, ma sotto c’è anche un mercato nero del coltan che viene rubato dai guerriglieri e poi rivenduto attraverso altri mediatori ugandesi, ruandesi e, spesso, europei ed americani.

Uno dei pericoli del finto ambientalismo delle multinazionali risiede proprio nello specchietto per le allodole del risparmio energetico di alcuni “nuovi” materiali da utilizzare. Il coltan è uno di questi. I produttori di tutti i materiali che abbiamo elencato all’inizio spiegano che il tantalio viene usato nei circuiti elettrici perché permette di risparmiare energia e garantisce un funzionamento più lungo, ad esempio, di cellulari e di computer portatili. Nessuno si è posto il problema, però, che per setacciare la sabbia ricca di coltan nelle foreste del Congo si è distrutto l’ecosistema dei gorilla e, peggio, si sono sfruttati (e si continua a farlo impunemente) i minatori congolesi! Più di 10.000 agricoltori sono stati trasferiti in miniera per rispondere alla crescente domanda di questo minerale, i cui guadagni servono a mantenere gli eserciti; a loro si sono aggiunti i prigionieri di guerra ruandesi. Tutti quanti si procacciavano cibo ammazzando le specie protette nei parchi naturali, ad esempio.

La scoperta di nuovi giacimenti anche in altri Paesi ha scatenato una specie di corsa ad accaparrarsi quante più concessioni possibili. Il rischio è che, come succede in Congo, per l’estrazione del prezioso minerale vengano usati bambini spinti dalla promessa di un pasto al giorno e che gruppi armati cerchino con la forza di prendere il controllo delle zone di estrazione. Per questo è necessaria, come nel caso dei diamanti, una legislazione che regolamenti il mercato del coltan che allo stato attuale finanzia il riarmo di quei gruppi che si contendono il territorio e degli Stati in cui sono presenti le miniere e, conseguentemente, alimentano il mercato nero delle armi e, quindi, i conflitti. Recentemente è stato scoperto un nuovo giacimento di coltan, in Amazzionia. Si comincerà a lavorare presto con le conseguenze che tutti possono prevedere, con altre storie di ribellione e morte.

Come si fa a morire di fame quando si è seduti su di una montagna d’oro?”: questa è la domanda che Milena Gabanelli ha posto nell’introduzione ad un servizio realizzato da Giorgio Fornoni, nella puntata di Report di domenica 25/05/08 (che può essere visto qui: http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,RaiTre-Report%5E23%5E88237,00.html). Uno dei pochissimi servizi televisivi che ha dato risalto al problema legato al coltan. In quell’unico programma televisivo si è parlato delle migliaia di persone, tra cui anche bambini, che vivono in condizioni disperate, accampate nel fango e di come vengano sfruttate nelle miniere per pochi dollari al giorno. Migliaia di persone sono morte sepolte da quelle miniere. La percentuale molto alta di minatori bambini ha fatto segnalare un calo significativo delle presenze nelle scuole del Congo negli ultimi anni. I bambini vengono sfruttati senza alcun rispetto dei loro diritti, spesso costretti a lavorare per più di 12 ore. Infatti, a differenza degli adulti, possono introdursi nei piccoli buchi da dove si estrae il coltan e portarlo in superficie per mezzo di secchi. Quando si ascoltano tali testimonianze la mente torna ai libri di storia economica, all’Inghilterra della prima industrializzazione, all’assenza di garanzie per i lavoratori…

Nell’aprile 2001 l’Onu ha presentato un rapporto contro lo sfruttamento illegale dei giacimenti di coltan nel Nord del Congo. Il traffico di coltan, ma anche di oro e diamanti, avrebbe fruttato ai guerriglieri del “Raggruppamento congolese per la democrazia” circa un milione di dollari al mese, che sarebbero stati impiegati per finanziare la guerra contro il governo di Kinshasha. Dopo la diffusione di queste notizie, diverse associazioni non governative belghe hanno lanciato una campagna di protesta con lo slogan “niente sangue sul mio Gsm”.

Se nel caso dei diamanti c’è il “protocollo di Kimberley”, che traccia la provenienza delle pietre in modo che sia impossibile per un gioielliere acquistare diamanti grezzi di cui non si conosca l’esatta provenienza (anche se il protocollo viene spesso aggirato), per il coltan al momento non c’è niente che possa in qualche modo contribuire a tracciarne la provenienza e, quindi, come per i diamanti, costringere gli estrattori a rispettare determinate regole che includano il divieto di far uso di bambini di età inferiore ai 16 anni, l’obbligo di pagare adeguatamente le persone che estraggono il prezioso minerale, il rispetto dei diritti, ma soprattutto che fissi regole precise sia per le compagnie di estrazione che per gli acquirenti, in modo da tagliar fuori coloro che commerciano il coltan clandestinamente per poi usare il denaro nell’acquisto di armi o per finanziare conflitti. Motorola e Nokia hanno chiesto ai propri fomitori di non usare tantalio proveniente dal Congo, ma non esiste alcun protocollo che segua il minerale dall’estrazione all’utilizzo nella catena di montaggio.

Diventa quindi urgente l’adozione di un protocollo che stabilisca le regole di estrazione e del commercio del coltan esattamente come è avvenuto con i diamanti se non si vuole che ancora una volta l’Africa sia vittima delle sue stesse risorse.

Nel mese di novembre le forze ribelli guidate dal generale Nkunda hanno conquistato la città di Kiwanja e sconfitto le milizie filo-governative dei Pareco Mai-Mai. I circa 35000 cittadini sono stati costretti a lasciare le loro case e così i ribelli hanno avuto campo libero per saccheggiare, con tutta calma, le poche cose rimaste. Kiwanja è a soli 80 chilometri da Goma, la capitale del Nord Kivu. I combattimenti intorno alla città e a Rutshuru hanno costretto gli operatori umanitari a sospendere le loro attività. Solo l’equipe di Medici Senza Frontiere (Msf) ha continuato ad operare nei campi profughi. Nkunda ha accusato il governo di aver rotto il cessate-il-fuoco proclamato unilateralmente dal generale alla fine di settembre. Il generale tutsi sostiene, infatti, che le milizie Pareco Mai-Mai, costituite per lo più da hutu, siano sostenute direttamente dal governo di Joseph Kabila.

Stessa sorte è toccata alla città di Nyanzale. Anche lì stesso copione: evacuazioni e saccheggi. Intanto, i mezzi corazzati dell’Onu si sono schierati intorno a Kikuku e i soldati hanno l’ordine di sparare, se necessario. La possibilità di arrivare a una trattativa è sempre più remota. Stiamo quindi rischiando di assistere alla continuazione degli scontri etnici tra hutu e tutsi? No, non dobbiamo farci ingannare dalle risposte “semplici”. Quella che si sta combattendo è una guerra più sporca di tante altre, non si tratta solo di un conflitto etnico “esportato” dal Ruanda. Diverse potenze “anglofone”, nascoste dietro le spalle del presidente ruandese, Paul Kagame, e le sue mire espansionistiche, stanno facendo guerra alla Repubblica Democratica del Congo, “colpevole” di essere ricchissima di risorse del sottosuolo e di superficie. Diamanti, uranio, cobalto, un consistente patrimonio idroelettrico e coltan. Nkunda ha cominciato a provocare disordini nel Kivu già da prima delle elezioni. Dietro alla supposta necessità di sostenere la minoranza tutsi dei Banyamulenge, ci sono gli interessi del Ruanda. Non c’era alcuna esigenza di proteggere un gruppo, quello dei Banyamulenge, abbastanza integrato nella società congolese. Nessuno ha interesse ad attaccare i tutsi, ma adesso, dopo le provocazioni del generale Nkunda e del suo gruppo armato, il rischio più grosso è che la minoranza tutsi attiri su di sé, incolpevole, l’odio della popolazione. La vera ragione di questa guerra va ricercata nella difesa degli interessi delle multinazionali. Una difesa sponsorizzata da Kagame, che riceve il suo tornaconto, sia in termini economici che politici.

Il Paese con un potenziale di esportazione nel settore diamantifero di 600 milioni di dollari annui ospita, ormai, una delle più sanguinose guerre dell’ultimo cinquantennio. La Repubblica Democratica del Congo e la sua storia è una storia di sfruttamento, che non deve essere sepolto dal silenzio, ma che deve uscire fuori. Sciacallaggio di multinazionali, immoralità del lusso e disumano egoismo del Nord del mondo hanno partecipato al persistere di una crisi così apparentemente lontana. Come mai qualcosa impedisce ad uno Stato di governare la propria economia, di gestire le proprie risorse? Per far pagare poco (due-trecento euro) ad un occidentale il proprio telefonino, il Congo sembra essere costretto a morire di fame. Tutti i più grandi paesi industrializzati, dagli Stati Uniti alla Russia, fino alla Cina sono colpevoli dello sfruttamento. Un sistema che sta producendo mafie locali e nuove discriminazioni. Aumenta lo scollamento tra politici locali, impegnati nel gestire le loro tangenti e la popolazione, aumenta la differenza economica tra gestori di traffici e manovali e tra acquirenti internazionali e Sud del mondo. Alcuni vedono in questo nuovo business la fotocopia di ciò che succedeva con i diamanti: soldi sporchi in Congo, risorse fuori. Il confine ruandese sembra essere luogo privilegiato per far uscire il coltan: l’aeroporto di Coma è certamente un punto id partenza dei traffici. In alto, alla testa di crimini che hanno portato alla morte di 4 milioni di persone, chi c’é? La mafia, ancora una volta, è occidentale. Ad eccezione del Sahara, in Africa la colonizzazione è finita da decenni, ma i Paesi “più sviluppati”, tramite le multinazionali, hanno trovato il modo di continuare a saccheggiare le ricchezze di questo continente.

La lotta per il controllo del minerale strategico, oltre ai milioni di morti, fino ad ora, ha dimostrato che a perdere sono stati gli abitanti del Congo; i vincitori le multinazionali.

Nell’area dei Grandi Laghi i conflitti etnici sono antichissimi, soprattutto nella zona di frontiera della RDC con Uganda, Ruanda e Burundi, dove gli hutu e i tutsi sono stati in lotta. Le tensioni sono poi cresciute quando circa due milioni di profughi hutu sono entrati in RDC, provenienti dal Ruanda percorso dal sanguinoso conflitto interetnico. Dalla caduta di Mobutu Sese Seko, nel 1997, e la presa del potere da parte di Joseph Desire Kabila (il padre dell’attuale presidente, assassinato), la guerra nella zona del Kivu ha visto due fazioni in lotta: Ruanda, Uganda e Burundi, appoggiati dagli Stati Uniti, FMI e la Banca Mondiale, legati a varie milizie “ribelli” come il Movimento di Liberazione del Congo (MLC), il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) del generale Laurent Nkunda e la Coalizione Congolese per la Democrazia (ACD). Nell’altro campo, la RDC, la quale ha trovato l’appoggio di Angola, Namibia, Zimbabwe, Chad e le milizie hutu e mai-mai. Le Nazioni Unite hanno inviato una missione di 17.000 soldati per tentare di controllare la situazione, ma la loro presenza non ha impedito l’escalation bellica e le speculazioni sull’estrazione mineraria organizzate a distanza dalle multinazionali. Una relazione di esperti ONU ha spiegato che l’Esercito Patriottico Ruandese (APR) ha creato una struttura apposita per controllare l’attività mineraria e gestire il traffico con imprenditori e clienti occidentali. Sono state create imprese miste tra europei, statunitensi, membri del APR e personaggi dell’entourage di Paul Kagame. Alcune ONG hanno denunciato lo sfruttamento illegale delle miniere da parte delle milizie ugandsi e ruandesi in RDC.

Tra le più note aziende che esportano il coltan compaiono la Barrick Gold Corporation (canadese), la American Mineral Fields (in cui aveva interessi anche George Bush padre), la sudafricana Anglo-American Corporation, la Società Mineraria dei Grandi Laghi (SOMIGL) integrata da tre società: la Africom (belga), la Promeco (ruandese) e la Cogecom (sudafricana). Le forze militari ruandesi legate alla SOMIGL, dopo la cancellazione delle licenze per la compravendita del coltan nel 2000, hanno perso il controllo totale della commercializzazione.

Alcune ONG hanno denunciato il fatto che i militari ruandesi trasportano i minerali con autocarri ed elicotteri che sono di proprietà di persone vicine ai presidenti di Ruanda e Uganda, e di quei Paesi usano anche gli aeroporti (di Kigali e Entebe). Le compagnie aere private (una di quelle è la belga Sabena, associata ad American Airlines) portano armi ed esportano minerali. Il coltan estratto finisce negli USA, Germania, Belgio e Kazakistan. Il traffico e la lavorazione del minerale avviene attraverso decine di compagnie, ma è la filiale tedesca Bayer, Starck, la produttrice del 50% di tantalio in polvere. Un ente finanziario creato nel 1996 con sede a Kigali, la Banca del Commercio, Sviluppo e Industria (BCDI) che funge da filiale di CITIBANK, muove grandi somme di denaro provenienti dal traffico di coltan, oro e diamanti. La guerra del Congo è dovuta al controllo delle sue ricchezze naturali con l’approvazione e il coinvolgimento delle nazioni “più sviluppate”, quelle che hanno causato un disastro umanitario nella RDC. Questa è la ragione per cui la Repubblica Democratica del Congo, nonostante le sue abbondanti ricchezze minerarie, secondo le stime ONU, figura al 158° posto nella graduatoria delle nazioni più povere del mondo, con buona pace di tutti quelli che sfruttano le risorse per il proprio profitto.

 

La Redazione