BOMBA/Y
Note sull’11 settembre indiano

Più un’azione di guerra è spettacolare, più un attacco terroristico è devastante, più proliferano le spiegazioni complottiste. Quella che in questi giorni va per la maggiore in India, patrocinata proprio da alcuni ambienti della sinistra di questo paese, è che l’assalto sferrato contro la City di Mumbay sarebbe frutto di una cospirazione della destra induista e islamofoba.

Il perché è presto detto: occorre destabilizzare il paese, dimostrare il fallimento del governo di centro-sinistra guidato dal Partito del Congresso, e quindi permettere al Bharatiya Janata Party (BJP-Partito Indiano del Popolo) di vincere le prossime elezioni e riconquistare il potere perso nel 2004. I colpevoli andrebbero quindi cercati dentro quell’alleanza estremista e razzista del Sangh Parivar, quella che teorizza l’Hindutva (hinduità) ovvero la piena induistizzazione della società e delle istituzioni indiane. Questo complotto sarebbe stato direttamente sostenuto dal Mossad israeliano, con la copertura di settori criminali dei servizi segreti pakistani (ISI). Ciò che infatti accomuna l’estrema destra brahaminica induista con il sionismo, dicono i fautori della cospirazione, è la medesima teoria razzista e islamofoba. L’ISI pakistano, sotto mentite spoglie, avrebbe raccattato e addestrato un manipolo di teste calde, le quali avrebbero materialmente compiuto l’attacco senza sapere di essere state manipolate ed eterodirette. Non poteva mancare la CIA ovviamente, che avrebbe sponsorizzato l’azione di Mumbay per indebolire l’attuale governo di New Delhi e riportare al governo il BJP (che gli americani considererebbero un più affidabile alleato), allo scopo di strappare l’India dall’asse Pechino – Mosca.
Come ogni tesi complottista ha una sua logica, una sua plausibilità. Essa consiste infatti formalmente nella classica mossa di risalire alla causa partendo dall’effetto. Il problema, senza neanche scomodare l’epistemologia contemporanea, è che non sempre esiste una relazione meccanica tra causa ed effetto, che si può giungere al medesimo risultato ammettendo cause differenti.
E’ vero che le cose non sono sempre come ci appaiono, ma da qui a negare l’evidenza davanti ad ogni azione terroristica eclatante ce ne corre. Ha infatti una logica e una plausibilità non meno solide la tesi opposta, quella per cui l’attacco di Mumbay sarebbe opera del potente movimento pan – islamista pakistano Lashkar – e – Taiba (LeT, Esercito dei Puri) costituitosi nel 1990 come braccio armato dell’organizzazione politico-religiosa Markaz Dawa wak Irshad. Cosa dice e cosa si propone Lashkar-e-Taiba? Si tratta, per stessa ammissione delle forze militari e di intelligence indiane, di un’organizzazione che ha avuto ed ha un ruolo di primissimo piano nella lotta del popolo kashmiro contro la brutale occupazione manu militari indiana del Jammu – Kashmir. Una lotta che dura da circa un ventennio, che ha fatto migliaia di morti da ambo i lati, che ha prodotto un numero imprecisato di carcerati e desaparecidos e ben tre conflitti armati tra Pakistan e India. E’ vero che la lotta irredentista degli islamisti kashmiri sia sostenuta dal Pakistan, ma ciò non significa affatto che Lashkar – e – Taiba sia un’organizzazione fantoccio. A riprova abbiamo che il regime di Musharraf, su pressione USA, ha posto fuorilegge l’organizzazione, determinando la reazione, anche questa volta a suon di attentati, di quest’ultima. Assodati sono infine i rapporti tra Lashkar – e – Taiba non solo con altri movimenti islamisti armati, sia pakistani che afghani, ma pure indiani. Né è un mistero che Lashkar – e – Taiba, figlia di una delle costole radicali del deobandismo, abbia fatto sua la prospettiva jihadista e panislamica tipo Al – Qaida. Sul piano politico quest’organizzazione rivendica sì l’annessione di Jammu e Kashmir al Pakistan, ma solo come tappa intermedia, in quanto scopo finale è fondare una grande nazione islamica che comprenda il Bengala Occidentale, l’India e il Pakistan. Di qui l’intenzione dichiarata di distruggere l’India come entità geo – politica per poi assorbirne le spoglie nella mega – nazione islamica. Lashkar – e – Taiba giustifica quindi l’annientamento dell’India non solo in quanto questo paese sarebbe un alleato di lungo corso di Israele, ma in quanto l’India è l’incarnazione geo – politica dell’hinduismo, secondo solo al sionismo come acerrimo nemico dell’Islam.
A molti queste tesi potranno apparire farneticanti, una prova che quest’organizzazione è solo un arnese dei servizi pakistani per condurre una guerra sporca antindiana. Occorre tornare all’Hindutva e ben considerare l’enorme peso che il fanatismo hinduista e l’islamofobia hanno nelle dinamiche interne dell’India. I media occidentali, in questi giorni, esecrano le vittime del “sanguinario fanatismo islamisista”, asserendo che esso non ha alcuna giustificazione. Fanno finta di dimenticare le stragi e i pogrom antislamisi compiuti in India da parte degli estremisti Hindù dopo l’agghiacciante distruzione della moschea di Ayodhya nel 1992, i massacri dei musulmani a Bombay nel 1992 – 93 e il sanguinoso pogrom anti – musulmano a Gujarat. Migliaia e migliaia sono i cittadini indiani di fede musulmana morti ammazzati, travolti dalla furia di movimenti oltranzisti hindù, di formazioni come Vishva Hindu Parisad e il Bajrang Dal (tutti e due appartenenti all’alleanza Sangh Parivar, gli stessi che hanno scatenato la caccia ai cristiani poche settimane fa), tutte e due strettamente collegati al BJP. La verità è che i musulmani indiani hanno ragioni da vendere nella loro lotta contro il fanatismo hinduista, ed è proprio per rispondere alla comprensibile sete di vendetta che molti giovani indiani di fede musulmana, stanchi del quietismo di gran parte degli imam, sono passati alla lotta armata, costituendo gruppi terroristici alcuni dei quali hanno fatto propria l’ideologia di Lashka r- e – Taiba.
Se solo si provasse a considerare questo contesto, quello per cui l’Hindutva è da un ventennio all’offensiva nel tentativo di terrorizzare e ridurre al silenzio la fortissima minoranza musulmana e della feroce occupazione di Jammu e Kashmir da parte dell’esercito indiano, si potrebbe considerare che la vendetta è forse la chiave di lettura principale di attacchi clamorosi come quello di Mumbay, non piuttosto quella della cospirazione. Capiamo che alcuni pezzi dell’ISI, per ragioni interne alla lotta di potere in Pakistan e allo scopo di azzoppare il regime indiano possano avere aiutato gli attentatori, ma tirare in ballo Mossad e CIA ci pare del tutto incomprensibile. Vero è che gli Stati Uniti dalla presidenza Clinton in poi stanno tentando di satellitare l’India, ma se questo è vero di tutto hanno bisogno meno che di destabilizzare questo paese, già  di per sé esplosivo e fragile. Che gli Stati Uniti abbiano poi l’interesse a dar fuoco alle polveri, ad aizzare l’India contro l’altro loro claudicante alleato, il Pakistan, con il rischio di una guerra atomica dalle conseguenze imprevedibili, questo ci appare del tutto incomprensibile se non irrazionale. Che poi ad organizzare gli attacchi siano stati gruppi dell’Hindutva con l’ausilio del Mossad per giustificare nuovi pogrom anti – islamici, ci si passi l’espressione, ci appare davvero una cazzata allucinante.
Resta che l’azione di guerra conclusasi con l’annientamento del gruppo terrorista è davvero stata, non fosse che sul piano simbolico, un vero e proprio 11 settembre per il sistema indiano. Questa volta non si sono colpiti indiscriminatamente mercati o quartieri popolari: è invece stata colpita, oltre alla sinagoha ebraica di Mumbay, la City indiana: «E’ il nostro 11 di settembre», sostengono praticamente all’unisono i commentatori. Se le Torri Gemelle, assieme al Pentagono, rappresentano i simboli dell’ America e dell’ Occidente, il Taj Mahal, l’ Oberoi e la stazione ferroviaria di Mumbay sono il cuore, i punti di ritrovo più noti dei fautori dell’India moderna e dell’Asia produttiva.
«… Si è cercato di decapitare la classe imprenditoriale del nostro Paese nei veri luoghi-simbolo del suo successo. Tra i morti ci sono banchieri, avvocati, industriali», dicono al Corriere le famiglie degli uomini d’ affari (molti di loro con le mogli) rimasti vittime della pioggia di fuoco. Una parziale conferma arriva anche dal proprietario di una multinazionale che produce inchiostri, Anjum Bilakhia. Sua moglie Hanifa è stata ferita gravemente al bacino. «Quella sera eravamo a cena nel famoso ristorante giapponese Wasabi. E nella stanza con noi c’erano almeno una cinquantina tra i più importanti dirigenti economici del Paese. I terroristi volevano costringerci nelle stanze per poi usarci come ostaggi. Quando abbiamo provato a scappare loro hanno sparato. Ho visto quasi 20 morti a terra», racconta. «Volevano decapitare l’ India imprenditoriale. Un modo per metterci in ginocchio da parte di Al Qaeda e dei suoi alleati in Pakistan», aggiunge Deepak Gupta, 44 anni, proprietario della Oikos, una ditta di vernici che ha una filiale anche a Cesenatico. [Dal reportage di Lorenzo Cremonesi pubblicato Corriere della sera del 30 novembre n.d.r.]

La Redazione