“Sto lavorando per voi.”

Dalla registrazione di una telefonata dell’assessore fiorentino Cioni agli uomini di Salvatore Ligresti, citata dall’Espresso del 4 dicembre.

Quattordici mesi fa, il 14 ottobre 2007, le primarie incoronavano Veltroni come leader indiscusso del Partito Democratico, mettendo per un po’ tra parentesi i disastri del governo Prodi. Otto mesi fa, il 13 aprile 2008, il Pd perdeva le elezioni, ma otteneva pur sempre il voto di un terzo degli italiani (33,1%). Poco più di un mese fa, il 25 ottobre 2008, si svolgeva la tanto propagandata manifestazione nazionale dei democratici, una manifestazione dai numeri come al solito truccati, ma pur sempre un successo mediatico nel teatrino della politica dell’immagine.

Da qualche giorno, invece, immagine, sondaggi e perfino articoli della stampa “amica” stanno spingendo il Pd in un baratro senza fondo. Un baratro – ironia della sorte – chiamato “questione morale”, punteggiato dagli innumerevoli scandali che stanno investendo le giunte locali in mano al centrosinistra. Qualcuno, ovviamente, grida al complotto. L’ineffabile Fioroni chiama addirittura in causa l’immarcescibile Gelli, ma con quale credibilità non è difficile immaginarlo. In ogni caso, se di complotto si trattasse, esso avrebbe le sembianze di una lotta a coltello intestina. E difatti gli uomini di Veltroni spiegano che la vittima designata è lui, il segretario, l’ex sindaco di Roma, l’ex direttore dell’Unità divenuto celebre per le figurine Panini, l’ex dirigente del Pci “mai stato comunista”. 

Da parte nostra preferiamo rimanere ai fatti, lasciando queste teorie complottiste a chi segue per mestiere o per diletto le beghe interne del Pd, assai meno interessanti delle vecchie faide correntizie democristiane, che insieme alle lotte di potere mischiavano almeno qualche argomentazione politica. Quella politica che sembra invece scomparsa negli scontri dei “democratici”. Il 3 dicembre, sulle pagine del Corriere della sera, Gustavo Zagrebelsky, lanciava il suo attacco: “Il Pd a livello centrale è debolissimo e quindi a livello locale i cacicchi si sono scatenati”. Evidenti, nelle parole dell’ex presidente della Corte Costituzionale, i riferimenti alle situazioni di Firenze, Napoli, Genova, Perugia, per non parlare dell’Abruzzo e di tante altre città amministrate dal centrosinistra. Zagrebelsky a capo del complotto? Il numero due del partito, Dario Francescini, cerca di parare il colpo, ma mette una toppa peggio del buco: “Credo che sia eccessivo parlare di questione morale all’interno del partito. Non si sta parlando di tutta la classe dirigente del Pd”. Già, non di tutta…. 

In realtà si sta parlando della capitale della Toscana del mitico “buongoverno”, del capoluogo di un’altra regione “sicura” come l’Umbria, della capitale del sud governata da due personaggi di primo piano come Bassolino e Jervolino, di una regione depredata da una clan facente capo all’ex numero due della Cgil….e si potrebbe continuare. “Quel parco mi fa cagare da sempre”, è con questa finezza linguistica (vedi l’Espresso del 4 dicembre) che il sindaco di Firenze, Domenici, esprimeva telefonicamente il suo sì al progetto affaristico di cancellare un parco per costruirvi il nuovo stadio voluto dai Della Valle. Il sindaco cerca di giocare all’attacco, dopo che l’inchiesta ha già raggiunto gli assessori Biagi (costretto alle dimissioni) e Cioni, lo sceriffo, che invece resiste. Domenici da una parte ammette un’istruttiva cena a tre – riservata non segreta, si difende – alla quale ha partecipato all’Hotel Hassler di Roma con Della Valle e Ligresti, proprietario quest’ultimo (guarda un po’!) dell’area in cui mettere lo stadio al posto del parco; dall’altra fa la vittima dei media e si incatena per due ore davanti alla sede di Repubblica. Ma dall’inchiesta emergono intrallazzi di tutti i tipi. Citiamo, sempre dall’Espresso, che l’assessore Biagi costringe la Provincia a entrare nel progetto Castello e a costruire la nuova sede sui terreni di Ligresti, che infila architetti amici con parcelle da mezzo milione per progetti assolutamente inutili, che favorisce ogni colata di cemento possibile e immaginabile. E che l’assessore Cioni, oltre all’ottenimento di ogni genere di favore privato, si fa addirittura pagare da Ligresti i 200mila opuscoli (costo 30mila euro) stampati per pubblicizzare la sua “tolleranza zero” (ricordate l’eroica lotta ai lavavetri?). Che dire: forse gli sceriffi non hanno un cuore, ma tengono famiglia e di certo il portafoglio. In conclusione: l’ex capitale del buongoverno è ora investita da un’inchiesta esplosiva, ha due assessori indagati, un sindaco incatenato e – cosa gravissima! – le primarie bloccate….Ci sarebbe da ridere, ed infatti noi ridiamo di fronte a questo piccolo squarcio di verità che mette a nudo il sistema di potere del Pd e, cosa ancora più importante, la ridicola strumentazione “democratica” (del tipo “Tu voi fa l’Americano”) messa in piedi dal partito di Veltroni. 

Il quale Veltroni non sa che pesci prendere. Né a Firenze, né a Napoli, né altrove. Si barcamena ormai incapace di una vera risposta. A questo proposito la vicenda di Napoli è davvero illuminante. Dalla città dei rifiuti, governata da 15 anni dal centrosinistra, emergono ora nuovi miasmi. Tutti attendono una bufera giudiziaria. Lo stesso suicidio dell’assessore Nugnes viene letto dai più in questo senso. Il ciclone è talmente annunciato che Veltroni ha chiesto a Bassolino di dimettersi: nella certezza di perderle, meglio anticipare di un anno le elezioni regionali. Ma Bassolino non intende muoversi dalla poltrona di governatore. Questo personaggio ha già, diciamo così, dei seri precedenti in materia. Ci ricordiamo di quando, una decina di anni fa, volle conservare la doppia carica (e, supponiamo, il doppio stipendio) di sindaco di Napoli e ministro del lavoro. A Iervolino pare invece che Veltroni abbia chiesto la rapida sostituzione dell’assessore Cardillo, dimessosi dopo aver fiutato l’aria. Sorpresa: a Napoli, in questo momento, nessuno pare sia più interessato a fare l’assessore. Evidentemente il barometro segna tempesta.

Non abbiamo lo spazio per occuparci di tutte le altre situazioni in cui il malaffare sta emergendo, ma non possiamo dimenticare l’Abruzzo. In questa regione la degenerazione è emersa in tutta evidenza nel suo legame con la sanità privata, fonte di profitti privati quanto di corruzione dei pubblici amministratori. Ora, in piena campagna elettorale, un Pd a malapena riverniciato tenta di salvarsi con un candidato dipietrista, mentre la stessa sinistra (ex?) arcobalenica è strettamente alleata col carrozzone “democratico”. Gli andrà certamente male, e ben gli starà. 

Queste vicende ci parlano di un sistema, non di semplici episodi. Di un fenomeno diffuso, non di poche “mele marce”. E ci inducono ad almeno tre riflessioni, che qui esponiamo in forma sintetica, tanto non mancherà l’occasione per tornarci sopra:

1. A differenza di quanto probabilmente penserà Zagrebelsky, il partito dei cacicchi si accorda bene con il partito della governance. La politica come gestione dell’esistente non solo non contrasta, ma va pienamente a braccetto con la cura degli interessi privati. La buona governance – buona sappiamo per chi – deve pur essere retribuita.

2. Non è vero che al centro del Pd non vi sia niente. C’è una linea iper-capitalistica, iper-europea (nel senso della UE) e (specialmente con Obama) iper-americana. C’è un partito che ha l’unico principio dello stare con i dominanti, siano esse le oligarchie finanziarie, i tecnocrati di Bruxelles, gli imperialisti di Washington. Questo principio gli basta e avanza, per il restino facciano i cacicchi.

3. Il Partito democratico non può che essere antidemocratico. “Ci dica Veltroni: su quali delle grandi questioni si è discusso e votato in un organo democraticamente eletto? La collocazione internazionale? L’articolazione territoriale del partito? La giustizia? Il finanziamento della scuola pubblica e privata? La forma di governo e di stato? La legge elettorale e il referendum che ci attende? La risposta è: non si è votato in nessun organo di partito”. Domanda: chi è l’autore di questo atto d’accusa? Risposta: uno dei fondatori del Pd, il delegato del collegio di Sassari (così firma la sua lettera al Corriere della sera del 7 dicembre) Arturo Parisi. Quel che Parisi non può dire è che questa totale assenza di democrazia è geneticamente costitutiva di un partito “americano” come il Pd. E siccome le primarie hanno incoronato al centro una specie di monarca, perché stupirsi se in periferia i cacicchi fanno il bello e cattivo tempo?

Vedremo come andrà a finire, ma lascino perdere i complotti e si guardino per una volta allo specchio.

 

 La Redazione