Spappolarsi senza chiarirsi
In questo fine settimana si riunirà il Comitato politico nazionale (Cpn) di Rifondazione Comunista. Sarà l’occasione per avviare il “chiarimento”, termine tratto dal politichese puro e traducibile in scissione, o continuerà il ridicolo gioco del cerino tra i vendoliani ed i ferreriani di varia osservanza?
Non lo sappiamo: è più facile prevedere l’andamento della piena del Tevere che sta raggiungendo Roma in queste ore, che interpretare i segnali della lotta che si sta svolgendo nei micropalazzi della politica (ex?) arcobalenica.
Dalla separazione fisica a quella politica?
Quel che sappiamo di certo è che domani a Roma si riuniranno due Rifondazioni. Quella di maggioranza avvierà i lavori del Cpn alle 14 in punto in via dei Frentani, e sempre alla stessa ora, al teatro Ambra Jovinelli, si riunirà la minoranza vendoliana (e, non dimentichiamolo, bertinottiana) insieme a Sinistra Democratica, una parte dei Verdi e la corrente di minoranza del Pdci facente capo a Katia Belillo. Mentre il Cpn dovrà affrontare in primo luogo l’incredibile situazione di Liberazione, all’Ambra Jovinelli andrà in scena quel che resta dell’Arcobaleno pare – alla stupidità non c’è davvero limite – per lanciare “le primarie delle idee”.
In tempi appena appena un po’ più seri questa divisione fisica avrebbe significato una sola cosa, la scissione. Oggi in tempi assai poco seri questa certezza non c’è. I vendoliani si muovono in coerenza con la loro linea di prosecuzione della linea arcobalenica, ma non vogliono compiere il passo definitivo che quando avverrà dovrà essere totalmente imputato alla maggioranza; i ferreriani dicono di volersi rigenerare su una linea di autocritica rispetto alla partecipazione al governo Prodi, ma intanto continuano a stare nelle giunte locali e ad allearsi con il Pd (vedi il caso clamoroso dell’Abruzzo dove si voterà proprio domenica). Insomma: idee poche, ma in ogni caso ben poco coraggio nel sostenerle da entrambe le parti.
Intendiamoci, i tempi sono ancora incerti, ma la scissione è sicura ed ha comunque una data limite: le elezioni europee del giugno 2009. Quel che invece non è dato ancora di sapere è il modo in cui si determinerà, anche se tutto sembra muoversi lungo la linea dello spappolarsi senza chiarirsi.
Il braccio, veramente destro, di Fausto Bertinotti
Quando Fausto Bertinotti era davvero qualcuno aveva un braccio destro. Quando gli impegni gli impedivano di scrivere, aveva chi lo faceva al suo posto. La sintassi ci guadagnava e lui risparmiava il suo tempo prezioso.
A volte i bracci destri sono davvero utili per capire come vanno le cose. Leggendo su Liberazione il resoconto della Direzione nazionale del Prc del 2 dicembre scorso, ci siamo imbattuti nel breve riassunto dell’intervento del braccio destro in questione, al secolo Gianni Alfonso, ex sottosegretario nel governo Prodi.
Gianni ci è davvero utile. Senza i fronzoli linguistici dell’incantatore di serpenti pugliese che sta a capo della sua corrente, esplicita in poche battute il vero profilo della destra del Prc. Non sappiamo se Gianni faccia ancora il “braccio”, ma sicuramente fa benissimo il destro. Dunque, viva Gianni, abbasso Vendola e le sue fumisterie!
Prendiamo quattro affermazioni assolutamente rivelatrici:
1. “Dico subito che sono contro la dissoluzione di Rifondazione ma per il suo superamento in un nuovo soggetto della sinistra”. Ovviamente anche Gianni deve giocare con le parole, ma il concetto è chiaro: via Rifondazione per rilanciare l’Arcobaleno.
2. “Se cadesse quella coppia (la famosa spirale guerra- terrorismo, ndr) verrebbe meno anche la nostra opposizione alla guerra senza se e senza ma”. Uno degli assurdi architravi del bertinottismo, sempre insieme come due carabinieri con lo slogan della “nonviolenza”, viene così riproposto pari pari in polemica con alcuni interventi un po’ meno dogmatici sulla questione. Ma di questo parleremo più avanti. Quel che conta rilevare è l’assillo di Gianni per il politicamente corretto e per quella formuletta che li ha già sdoganati una volta verso i lidi governativi.
3. “Ho avanzato una proposta, il cartello elettorale alla sinistra del Pd”. Finalmente si riparla di elezioni! Come proposta non è proprio nuovissima, ma indiscutibilmente è chiara.
4. “Per quanto riguarda il coordinamento delle forze di opposizione o è una proposta che va anche al Pd o è una proposta inutile”. Il cerchio si chiude: rifare l’Arcobaleno per riallearsi organicamente con il partito di Veltroni.
Ferrero, il temporeggiatore
Se la minoranza di destra (47% dei voti congressuali) agisce e parla chiaro, come reagisce la maggioranza? Il temporeggiamento è stato fino ad oggi la regola. Liberazione attacca un giorno sì e l’altro anche la linea maggioritaria del partito? Si risponde dandogli un pò di soldi. I vendoliani lavorano per una loro ipotesi in vista delle europee? Si risponde che le europee sono ancora lontane. La destra accusa la maggioranza di voler reimbarcare il Pdci? Si risponde con dei balbettii.
Questo atteggiamento non è soltanto il frutto di una scelta tattica (il gioco del cerino che impazzava nella Prima repubblica), esso esprime invece una debolezza strategica quasi impossibile da superare, il cui nodo si chiama rapporto con il Partito democratico, cioè rapporto con il bipolarismo, dunque rapporto con il regime bipartisan che opprime l’Italia ed ammazza la democrazia.
La risoluzione di questo nodo – da un lato o dall’altro – fa la differenza tra un partito potenzialmente antagonista ed una formazione subalterna ed interna al regime, al massimo (ma veramente al massimo) socialdemocratica.
La destra vendoliana va chiaramente in questa seconda direzione, mentre la maggioranza del Prc sembra semplicemente incapace di affrontare il nodo che infatti rimanda di continuo.
Nelle sue conclusioni alla Direzione nazionale, Ferrero insiste sulla necessità di un’autocritica sull’esperienza governativa, ma la colloca in un quadro propositivo debole ed indefinito. Parla di nazionalizzazione delle banche di interesse nazionale, di unità tra Cgil e sindacalismo di base, di incontro tra i movimenti. Insomma: un riformismo vecchia maniera di fronte ad una crisi che apre scenari nuovissimi, l’idea di una Cgil alquanto immaginaria, la riproposizione di quella formula movimentistica che pure tanta fortuna non portò nemmeno a Bertinotti. Questo è il Ferrero-pensiero. Davvero poco per reggere l’urto di una fase politica come questa. Assolutamente niente di fronte alla tempesta che si annuncia.
La famosa spirale “Guerra-terrorismo”
Dato che siamo antimperialisti non possiamo esimerci dall’esaminare la discussione che si è sviluppata su questo punto.
I fatti più recenti hanno indotto Alfio Nicotra, un uomo della maggioranza ferreriana, ad una riflessione critica sull’uso appassito di questa formuletta spiega-tutto che in realtà non spiega proprio niente, ma che è servita egregiamente al suo scopo: negare ogni resistenza all’imperialismo, accettare la qualifica di terrorista per ogni forza combattente contro l’oppressione americana ed occidentale nel mondo.
Citiamo perciò Nicotra: “I fatti di Mumbai non si comprendono solo dicendo la formuletta “spirale guerra/terrorismo”. Propongo una discussione per verificarne la sua efficacia nel comprendere fenomeni drammatici, ma che vengono portati in “chiaro” solo quando sono sotto i riflettori dei mass media occidentali. Nessuno parla normalmente del terrorismo – di Stato o non, da questo punto di vista poco importa – che semina morte e distruzione nel Kashmir, nello Sri Lanka, in Ruanda o Nigeria. Il terrorismo è una forma crudele e moderna della guerra permanente più che due facce della stessa medaglia. La formula della spirale ha ingenerato diverse confusioni come dimostra”Liberazione” quando definisce il Pkk e le Farc organizzazioni terroristiche”.
Orrore, orrore e ancora orrore! Abbiamo visto come Gianni abbia reagito alla messa in discussione di questo piccolo dogma bertinottiano, ma la cosa davvero interessante è il balbettio ferreriano su questo punto.
Ecco cosa dice il segretario: “Sulla questione guerra/terrorismo io non sono innamorato dei termini. Basta che ci capiamo su una cosa: sul piano scientifico si può argomentare che quell’insieme di cose si chiama guerra. Qui abbiamo dei fenomeni messi in campo dagli stati nelle forme classiche, della mobilitazione militare e la chiamiamo guerra; abbiamo delle altre iniziative messe in campo da potenze non piccolissime che sono in grado di fare dei disastri significativi – che chiamiamo terrorismo. Tutte e due questi elementi – guerra e terrorismo – sono agiti da soggettività che non sono una derivante dall’altra. Hanno una loro autonomia e quindi noi abbiamo il compito politico di combattere la guerra e il terrorismo come espressione di soggettività che noi riteniamo entrambe distruttive. Il punto politico di fondo è che esiste un fenomeno chiamato guerra contro cui lotti, ed esiste un fenomeno chiamato terrorismo contro cui lotti e che lo spazio per la trasformazione sociale passa attraverso la sconfitta di questi due fenomeni in una dimensione di ricostruzione di partecipazione di processi di massa”.
Boh! Qualcuno capisce questa prosa? Una cosa però è ben comprensibile: inutile aspettarsi da Ferrero il sia pur minimo riconoscimento delle Resistenze. Esse sono negate, per loro non vi è una parola. Hanno costretto la più potente macchina da guerra della storia sulla difensiva, ma questo non conta niente di fronte alle esigenze della bassa cucina elettoralistica.
Il disastro abruzzese
Già, l’elettoralismo. Ma almeno gli pagasse in termini elettorali!
Domenica si vota in Abruzzo. La giunta di cui hanno fatto parte fino all’ultimo – una guardia al bidone vuoto che ricorda quella fatta diligentemente a Prodi in parlamento – aveva un capo cleptomane, membro autorevole di quel partito oggi sotto inchiesta in mezza Italia. Ma che volete che sia? L’importante è “non ricandidare gli inquisiti”. Ottenuta questa clausola rivoluzionaria, il Prc abruzzese, di stretta osservanza ferreriana, si è alleato di nuovo con il Pd. Per fare che cosa, per battere la destra? Anche il più distratto degli osservatori sa benissimo che la destra in Abruzzo vincerà a man bassa, dunque si tratta di un’alleanza certamente inefficace. Forse qualcuno pensa in questo modo di rilanciare il partito? Solo un folle potrebbe pensare una cosa del genere, tanto più dopo le ruberie targate centrosinistra. E allora? Allora le vicende abruzzesi del Prc ci parlano di un tarlo genetico e di un’incapacità strategica. Il tarlo consiste nel semplice calcolo elettoralistico, per cui andando da soli il Prc avrebbe dovuto superare la soglia del 3% per avere un consigliere, mentre in compagnia dei demo-tangentari può bastare molto meno. L’incapacità strategica è invece quella di effettuare l’operazione chirurgica di separazione netta dalla sinistra ultra-capitalistica rappresentata dal Pd. La logica del “meno peggio”, come ogni tumore che si rispetti, si è espansa nell’intero corpo del partito e la chirurgia – anche quella interna – sembra ormai incapace di risultati.
E allora?
Allora cosa succederà? Più precisamente: cosa succederà in questo fine settimana di passione? Si farà strada un minimo di chiarezza o i protagonisti di questa storia un po’ meschina continueranno ad avvitarsi su se stessi?
Staremo a vedere. In Abruzzo le cose gli andranno certamente male. A Roma si scanneranno in ogni caso. Forse il casus belli sarà Liberazione, un inutile quotidiano che serve soltanto a mandare in televisione Sansonetti ed a reclamizzare le imprese di Luxuria. Un fogliaccio da chiudere quanto prima.
Delle mosse e del futuro politico dei rappresentanti del ceto politico (ex?) arcobalenico torneremo ad occuparci presto, ma intanto seguiamoli attentamente. Essi ci dicono esattamente cosa non fare, cosa non essere. Non è poco: ringraziamoli!
La Redazione