Ad un anno da Annapolis

Non c’è pace in Terra di Palestina
E’ trascorso un anno da quando, il 27 novembre 2007, si tenne ad Annapolis la Conferenza per il “rilancio del processo di pace in Medio Oriente” – secondo una formula ormai stantia – seguita dalla Conferenza dei donatori svoltasi a Parigi il successivo 17 dicembre, relativa agli aspetti economici.

La Conferenza di Annapolis fu fortemente voluta da Gorge W. Bush e da Condoleeza Rice non perché avessero a cuore le sofferenze dei palestinesi, ma allo scopo di compattare un discreto numero di paesi arabi contro l’Iran e di rafforzare ulteriormente il colonialismo sionista di Israele con il solito pretesto di doverne garantire la sicurezza.
Annapolis, proprio per il modo in cui fu concepita, non poteva portare nulla di buono per i palestinesi e tanto meno poteva gettare le basi per il futuro stato di Palestina, a meno di voler qualificare come stato una serie di bantustan tra loro distanti e isolati a causa degli insediamenti coloniali israeliani e del Muro.
I principali partecipanti di Annapolis furono Stati Uniti, Unione Europea, Lega Araba, Egitto, Arabia Saudita e, sorpresa dell’ultimo minuto, la Siria, oltre ovviamente a Israele e all’Autorità Nazionale Palestinese in persona presidente Abu Mazen. La prima considerazione è che i palestinesi non erano adeguatamente rappresentati, visti i risultati delle elezioni di gennaio 2006 largamente vinte da Hamas, la successiva estromissione del legittimo governo a guida Hamas dalla Cisgiordania e l’assedio imposto alla Striscia di Gaza. Inoltre la Conferenza di Annapolis, come del resto tutte le precedenti iniziative “per la pace in Medio Oriente”, non puntava allo scioglimento dei nodi cruciali per una pace giusta: fine dell’occupazione, smantellamento di tutte le colonie, rientro dei profughi, Gerusalemme, Muro, cessazione dell’assedio alla Striscia. Obiettivo principale, strettamente connesso alla finalità di isolare l’Iran, era come al solito la sicurezza di Israele. Per cui, secondo la consueta scelta politica di non distinguere fra oppressore ed oppresso, l’unico punto veramente cruciale fu la richiesta all’Autorità Nazionale Palestinese di intensificare gli sforzi per lo smantellamento delle “milizie”, cioè delle organizzazioni della Resistenza, e quindi di essere sempre più collaborazionista con l’occupante sionista. In cambio Israele avrebbe dovuto smantellare i c.d. avamposti illegali, cioè le colonie non autorizzate dal governo, e congelare l’espansione dei restanti insediamenti coloniali, che pure alla stregua del diritto internazionale sono illegali al pari degli avamposti.
In tale contesto era scontato che la successiva Conferenza dei donatori fosse finalizzata in realtà ad escludere dagli aiuti economici quella parte, maggioritaria, del popolo palestinese che giustamente  non riconosce l’Autorità Nazionale Palestinese come legittimo rappresentante. E la Striscia di Gaza paga il prezzo più alto: pur stremata dall’assedio resiste e si prepara al peggio, vista l’imminente scadenza della tregua (ripetutamente violata da Israele) con conseguente probabile escalation di violenze da parte dell’esercito israeliano ed invasione totale della Striscia. Tanto probabile che il governo Hamas ha chiesto ai volontari stranieri di andarsene, perché è impossibile garantire la loro incolumità.

In conclusione alcuni dati [1] che testimoniano come le condizioni dei palestinesi, ad un anno da Annapolis, siano notevolmente ed inevitabilmente peggiorate, in barba al “rilancio del processo di pace”.
Da Annapolis, gli attacchi israeliani sono triplicati, l’ampliamento delle colonie in Cisgiordania è aumentato di 20 volte (a Gerusalemme, di 38); i posti di blocco sono passati da 521 a 699, e continua la costruzione del Muro. Non vi sono stati negoziati.
Dall’inizio dei colloqui, in Palestina sono stati compiuti 3.063 attacchi (1.700 in Cisgiordania, 1.363 a Gaza).
Sono stati uccisi 543 palestinesi (65 in Cisgiordania, 478 a Gaza. 71 erano infradiciottenni).
Sono stati feriti 2.362 palestinesi (1.125 in Cisgiordania, 1.237 a Gaza. 138 dei feriti sono infradiciottenni).
Sono stati liberati 770 prigionieri palestinesi; Israele, nel frattempo, ne ha incarcerati altri 4.945. Di questi, 4.351 provengono dalla Cisgiordania, 574 da Gaza, e 351 sono infradiciottenni. Si stima che vi siano, attualmente, 10.500 palestinesi nelle carceri israeliane.
Gaza
Dall’inizio dell’assedio a Gaza, nel 2006, sono morti più di 260 pazienti: gli ospedali hanno finito il materiale, ed è vietato il trattamento fuori dalla Striscia. Per il blocco, a Gaza sono già esauriti 160 tipi di farmaci; stanno per terminare le scorte di altri 130, mentre almeno 90 strumenti, fra cui 31 apparecchi per la dialisi, sono fuori uso.
Gaza è ora chiusa da 23 giorni consecutivi; nel nord dell’area vi è pericolo imminente di allagamenti fognari. Se non si prendono provvedimenti al più presto, si verificherà un’enorme crisi sanitaria.
Aumentano gli ostacoli agli spostamenti
Dall’inizio dei colloqui di Annapolis, i posti di blocco sono passati da 521 a 699.
Almeno 30 persone, fra le quali alcuni bambini, sono morte a un posto di blocco, in Cisgiordania o a Gaza.
Il 74% delle strade principali, in Cisgiordania, sono o controllate da posti di blocco, o totalmente chiuse.
Nel settembre 2008, il numero medio di posti di blocco volanti, posti a caso in Cisgiordania nel corso di una settimana, è stato pari a 89.
È aumentata l’attività delle colonie
Sono attualmente in costruzione 2.600 abitazioni per coloni; di queste, il 55%, sul lato est del Muro.
Nel 2008, i bandi edilizi nelle colonie sono incrementati del 550%.
Oggi vi sono 121 colonie e 102 avamposti israeliani in Cisgiordania, in cui risiedono 462.000 coloni.
Le colonie sono costruite su meno dello 1,5% del territorio palestinese, ma, per l’ampia infrastruttura, ne occupano più del 40%.
In agosto, il governo israeliano ha autorizzato in via preliminare la nuova colonia illegale di Maskiot, nella Valle del Giordano.
A Gerusalemme sono attualmente in corso espulsioni dalle case.
La famiglia Al Kurd, vissuta nella propria casa a Sheikh Jarrah per 50 anni, è stata cacciata violentemente dall’esercito israeliano il 9 novembre. Sono sopravvissuti per due settimane in una tenda senz’acqua, senza riscaldamento e senza elettricità. Lo scorso fine settimana, Abu Kamal, padre di 5 figli, è deceduto. Soffriva di diabete, e le sue condizioni di salute erano peggiorate, per essere stato espulso dalla propria casa.
Permane la politica israeliana di apartheid
La quantità di acqua per il consumo palestinese è pari a 132 milioni di metri cubi; per gli israeliani, di 800 milioni di metri cubi. Il consumo di acqua da parte dei palestinesi è di 60 litri pro capite al dì (la quantità raccomandata dall’OMS è di 100 litri/dì); gli israeliani ne utilizzano 220 litri/dì.
I palestinesi pagano 5 shekel per unità di acqua e 13 per unità di elettricità; gli israeliani rispettivamente 2,4 e 6,3 shekel.
Continua la costruzione del Muro
Del Muro sono stati costruiti 409 km (il 57%); 66 km (il 9%) sono in via di costruzione. Quando sarà completato, sarà lungo in totale 723 km, il doppio della Linea Verde. Il 14% del Muro sarà sulla Linea Verde, lo 86% all’interno della Cisgiordania.

La Redazione

[1] Fonte: http://www.islam-online.it/daannapolis.htm