Quando verrà il 2020?
Visto che l’anno sta finendo, possiamo dire che il 2020 inizierà tra 11 anni. Questo per il calendario, ma per i vertici dell’Unione europea la cosa non sembra così scontata ed alla fine della trattativa sul “pacchetto clima” la confusione regna sovrana. Quando verrà per costoro il 2020?
Avevano giocato con i numeri, dandosi l’obiettivo del 20-20-20 da realizzarsi appunto nel 2020. Più precisamente: meno 20% nelle emissioni dei gas serra, più 20% l’aumento dell’efficienza energetica, 20% la quota di energia rinnovabile.
Al termine di lunghissime discussioni la montagna europea ha partorito il topolino: un accordo che, dopo interminabili lotte a coltello, accontenta un po’ tutti, così come accadeva nelle epiche risse sulle mitiche “quote latte” un quarto di secolo fa.

 

La “vittoria” italiana
Le oligarchie europee e le loro burocrazie hanno una regola ferrea: rendere incomprensibile ai più ciò che hanno deciso, ed anche questa volta non sono venute meno a questo loro principio fondante.
Naturalmente, i media non sono da meno ed aiutano ben poco a capire i termini dell’accordo. Alcuni titoli dei giornali italiani ci danno però una traccia, considerata anche la pervicace opposizione del governo Berlusconi ad ogni seria misura tendente quantomeno al contenimento dell’effetto serra.
L’interessatissimo Sole 24ore titola così: “Clima: raggiunto l’accordo Ue. Più flessibilità per l’industria”. Come dire: state tranquilli che possiamo continuare ad inquinare!
Il governativo Giornale preferisce buttarla in propaganda e titola: “Europa, accordo sul clima. Sarkozy: Grazie Silvio”. Propaganda a parte, qualcosa deve pur essere avvenuto se lo scontro di ottobre si è infine risolto nell’unanime accordo di dicembre.
Ma che cosa? Tutti i particolari non sono ancora noti, ma già si sa l’essenziale. Il fronte del carbone dell’Europa orientale, guidato dalla Polonia, ha avuto i miliardi di euro che chiedeva, oltre ad una deroga fino al 2020 per il settore termoelettrico. Ma, come dimostrano i titoli già citati, ancor più significativo è stato il successo dell’inquinantissima industria italiana. “Grande vittoria per l’ambiente e per l’Europa. Tutelati gli interessi nazionali nell’ambito degli obiettivi condivisi”, questo il trionfale commento diramato dalla ministra dell’ambiente (?) Stefania Prestigiacomo.
Ora – siccome si parla di “accordo storico”, un po’ come avvenne su scala planetaria per i protocolli di Kyoto – giova ricordare la fine ingloriosa di quegli accordi sia a livello mondiale che europeo. La pianificata riduzione dei gas serra non solo non si è mai vista, ma dall’anno di riferimento (1990) queste emissioni non hanno fatto altro che aumentare. Per restare nel nostro paese, alla prevista riduzione del 6,5% ha fatto riscontro un aumento dai 519 milioni di tonnellate del 1990 ai 567 milioni del 2006 (+9,2%). Sia chiaro: il caso italiano non è un’eccezione, altri paesi europei (ad esempio la Spagna) hanno fatto peggio, mentre quasi nessuno ha centrato gli obiettivi nazionali assegnati a Kyoto. Sia chiaro anche che la libertà d’inquinare non è monopolio della destra, dato che nel periodo considerato il centrosinistra ha avuto più anni di governo della destra.

 

Cosa prevede l’accordo
Vediamo dunque cosa prevede l’accordo in generale, ma con un occhio particolare all’Italia proprio perchè ci consente di comprendere meglio la logica complessiva dell’impianto ratificato all’unanimità venerdì scorso.
1. La formula magica del 20-20-20 sulla carta è stata mantenuta. Questo ha fatto esultare gli ambientalisti d’accatto assai presenti nel nostro paese. Vedremo poi come questo obiettivo sia stato completamente svuotato dagli altri punti dell’accordo.
2. Alcuni settori industriali – quelli definiti, in base ad una formula un po’ complicata, a “rischio delocalizzazione” – saranno esentati dall’obbligo di acquistare i “permessi di emissione”, cioè in sostanza potranno continuare ad inquinare senza dover pagare alcunché. Questi settori sono, per l’Italia, quelli della carta, della ceramica, del vetro e della siderurgia. Settori, come noto, estremamente inquinanti ed energivori. Questa clausola, oltre che dal governo italiano, è stata fortemente voluta dalla Merkel.
3. L’accordo va in vigore solo nel 2013 (campa cavallo!), ma in quell’anno le industrie non esonerate dovranno acquistare solo il 20% dei diritti di emissione, che diventerà il 70% nel 2020 ed il 100% nel 2025. Ecco perché abbiamo iniziato dicendo che l’Unione europea ha in uso un calendario assai particolare…
4. Viene aumentato il finanziamento (ma non è chiaro di quanto, vista la discordanza delle fonti) per lo sviluppo della tecnologia per la cattura e lo stoccaggio geologico della CO2. Si tratta di un finanziamento ad una tecnologia che per ora ha diffuso notevoli illusioni, ma risultati zero.
5. E’ passata la proposta di dare la possibilità all’Italia, insieme ad altri 10 paesi, di ottenere crediti pari al 4% delle emissioni del 2005 grazie ad aiuti allo sviluppo ecologico in paesi terzi, anziché il 3% previsto a livello generale. Ecco un’altra presa in giro in perfetto “stile Kyoto”. Ma chi potrà mai davvero controllare questi meccanismi contorti?
6. Il punto più importante, che lascia aperta ogni possibilità, è quello che prevede la clausola di revisione generale. In pratica è previsto che nel marzo 2010 – alla luce della conferenza Onu sul clima che si terrà nel 2009 a Copenaghen, ma anche della cosiddetta “valutazione sull’impatto di competitività” – si ridiscuta il tutto. Tanto il tempo c’è, visto che le misure sul clima dovrebbero entrare in vigore nel 2013…

 

“Clima significa affari”
“L’Europa ha passato il suo test di credibilità. Clima significa affari”. Con questa significativa dichiarazione il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha messo il sigillo sull’accordo.
Se le parole hanno un senso, e siamo certi che almeno in questo caso ce l’hanno, l’affermazione di Barroso significa due cose. La prima è che l’attenzione al clima è subordinata appunto agli affari. La seconda, forse meno evidente ma di certo non meno importante, è che il capitalismo mondiale si appresta a mettere le sue mani sul businnes “verde” dell’emergenza climatica.
Il tutto “aspettando l’America”. Da Barroso, a Sarkozy, a Berlusconi il concetto è sempre lo stesso: “Noi europei abbiamo fatto la nostra parte, ora tocca all’America, alla Cina, all’India”.
E che la vera questione sia il “business verde”, ma guardando sempre alla competitività e riconoscendo comunque il ruolo guida degli Usa lo ha chiarito bene Sarkozy: “Non potevamo tirarci indietro proprio quando il presidente eletto degli Stati Uniti mette l’ambiente tra le sue priorità”.

Una truffa colorata di verde
E’ chiaro che siamo di fronte all’ennesimo imbroglio ecologico. Le parole scritte dalla ministra Prestigiacomo nel suo comunicato stampa ufficiale non lasciano adito a dubbi: “Abbiamo ottenuto che i settori manifatturieri rilevanti per l’Italia non siano sottoposti al sistema delle aste a pagamento. Da qui al 2013 – quando la Direttiva entrerà in vigore – lavoreremo sulla base dei criteri della Direttiva affinché anche gli eventuali settori che non dovessero essere coperti vengano garantiti.  
Un significativo riconoscimento dei nostri argomenti è avvenuto anche sul fronte dei “progetti CDM”, ossia progetti a basso contenuto di carbonio attuati dal Governo e dalle imprese italiane in paesi extra Ue. I crediti generati da questi progetti potranno essere utilizzati nel mercato europeo almeno fino al 2016 a prescindere da eventuali limitazioni che potrebbero essere introdotte dal 2013 in poi. Tale misura richiesta dall’Italia ha inteso salvaguardare gli investimenti “ecologici” fatti dalle imprese del nostro paese all’estero”.

Traduzione: abbiamo già assicurato la libertà di avvelenare l’aria ad importanti comparti industriali, lavoreremo affinché questa garanzia ce l’abbiano anche altri settori. Ed ancora: poiché siete degli inguaribili gonzi vi raccontiamo anche la favoletta secondo cui le aziende italiane non possono fare a meno di inquinare in casa per non mettere a repentaglio la loro competitività, mentre fanno a più non posso progetti ecologici nel terzo mondo…
Si può consentire un simile imbroglio? Yes, we can rispondono gli obamisti italiani.

 

Una presa in giro che piace ai nostrani obamisti
Timorosi di essere meno europeisti del Cavaliere, gli obamisti di casa nostra cantano le virtù degli accordi sul clima. In questi accordi essi vedono una volta storica e se c’è una macchia essa consiste unicamente nella firma svogliata di Berlusconi.
Ma leggiamo cosa hanno dichiarato alcuni di loro. Il vecchio ambientalista Realacci, oggi dirigente del Pd, vede il bicchiere pieno:  “Come era ampiamente prevedibile e come era stato più volte annunciato sia da Barroso che da Sarkozy, l’accordo sul clima è stato raggiunto senza che venissero toccati gli obiettivi del 20 – 20 – 20 per le fonti rinnovabili, il taglio delle emissioni di CO2, l’efficienza energetica. L’Europa con questo importantissimo accordo si conferma protagonista e capofila nella lotta ai mutamenti climatici”. Un altro rappresentante del Pd, Roberto Della Seta (Commissione ambiente del Senato) ha parlato di un accordo “di portata storica che rafforza la leadership europea nella lotta ai mutamenti climatici e segna la sconfitta del tentativo di Berlusconi di boicottare l’accordo”. Infine, arriviamo anche agli arcobalenici. Secondo la portavoce nazionale dei Verdi, Grazia Francescato, “Nonostante Berlusconi, che fino all’ultimo ha cercato di bloccare l’accordo sul Pacchetto clima-energia, l’Unione Europea va avanti e non arretra sugli obiettivi del 20-20-20 per l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di CO2 da realizzare entro il 2020”.
Queste posizioni sono fortemente contestate nell’ambito stesso dell’ambientalismo tradizionale, da Greenpeace al Wwf, ma esprimono evidentemente la posizione ufficiale dell’opposizione parlamentare e delle sue appendici di sinistra. Un mese fa dicevano Viva Obama, oggi dicono Viva l’Europa. In un modo o nell’altro devono sempre stare con i dominanti.
Con buona pace dell’ambiente e del clima, ma anche della verità dei fatti.

La Redazione