Pubblichiamo una recentissima intervista, ripresa da islam-online.it,  che Hamza Piccardo, ex segretario dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche Italiane – UCOOI ha rilasciato a MilanoMag, sito di informazione cittadina. L’intervitsa muove dai recenti arresti, in provincia di Milano, di cittadini immigrati di religione musulmana accusati di concorso esterno in associazione con finalità di terrorismo e dai connessi proclami sulla necessità di una moratoria nell’apertura di nuove moschee e di dotare il Ministro dell’interno del potere di chiusura di centri culturali e luoghi di culto islamici, per affrontare poi la questione più generale che investe l’equazione – recepita purtroppo anche dal PRC e da altre forze che pure dichiarano di condannare le aggressioni americane o sioniste – fra Resistenza e terrorismo.

Ricordiamo ai lettori che sia l’UCOOI che Piccardo sono il bersaglio preferito della crociata anti islamica intrapresa da tutto il centro destra, validamente sostenuta e rafforzata dai principali organi di informazione, in primis il Corriere della Sera con il suo vice direttore Magdi nonché Cristiano Allam, volta a marchiarli come fiancheggiatori del terrorismo islamico.

La Redazione

Che giudizio dà dell’arresto dei due cittadini marocchini sospettati di attività terroristiche?
Nessun giudizio in particolare. L’UCOII ha espresso la sua posizione in un comunicato ufficiale molto chiaro. Personalmente la mia impressione è che siano tutti abbastanza convinti che i due non stessero progettando nulla di concreto. Se le intercettazioni e le traduzioni sono state fatte a regola d’arte, cosa che non posso dare per scontata, vuol dire soltanto che i due hanno effettivamente proferito quelle frasi. Credo che a quel punto la Digos abbia agito per così dire per dovere d’ufficio, ma a mio parere senza essere troppo convinta della pericolosità dei due.
Lei tende a minimizzare. Ma sa già che l’islam verrà accostato alla violenza terrorista.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Non credo che verrà provata alcuna attività preparatoria. Quanto all’immagine dell’Islam, sono anni che martellano l’opinione pubblica con questo accostamento, e alla fine la gente l’ha assimilato. Un Roberto Sandalo che progetta attentati contro i musulmani in nome della difesa della tradizione cristiana è trattato come il caso di un pazzo isolato, un musulmano che farnetica di attentati trasforma tutta la comunità islamica in un pericolo per la società. C’è una totale asimmetria informativa e nella conseguente percezione dei problemi.
Si riduce tutto a una questione di responsabilità penale dei singoli?
Mi sembra ovvio. Potrebbe essere altrimenti?
Lei nega che ci sia un problema più generale, che nelle moschee venga predicata la violenza?
Certamente. E’ una falsità assoluta. Chi la diffonde mente sapendo di mentire. E’ palesemente falso che si predichi la violenza, non fosse altro perché le moschee sono tutte sotto controllo, ogni parola è monitorata, ogni minima frase viene riferita. Non ci fa piacere esercitare il culto sentendoci controllati dall’autorità e spiati dagli informatori, ma tant’è: questa è la situazione e se ci fosse il benché minimo accenno alla violenza lo saprebbero tutti in un batter d’occhio. Invece persino la moschea più discussa, quella di viale Jenner, non è mai stata chiusa perché nessuno ha mai potuto dimostrare che vi si predicasse la violenza: qualcosa vorrà pur dire. Non bisogna confondere le iniziative personali con le attività della comunità delle moschee. Certo se poi alla fine della funzione viene chiesto di pregare perché Allah protegga i fratelli palestinesi o iracheni e ciò viene fatto passare per un’istigazione alla violenza… L’Islam è una religione di pace, ma sconta una incredibile presunzione di colpevolezza che non ha alcun fondamento nella realtà dei fatti.
Ma il “praticante medio” che frequenta la moschea ha davvero a cuore la questione palestinese o irachena?
La moschea è un luogo di culto, non di indottrinamento politico. Però c’è senza dubbio il sentimento di far parte di una “Umma”, una comunità dei fedeli di cui fanno parte molti fratelli che soffrono. Quindi la questione palestinese viene in qualche modo a partecipare dell’identità musulmana, non è indifferente.
L’associazione tra appoggio alla causa palestinese e appoggio al terrorismo è quasi immediata.
Ed è sbagliata. Solo che anche questo è un terreno minato, perché vige una presunzione di colpevolezza verso chiunque si esprima in modo critico nei confronti di Israele. E’ un’associazione di comodo che da un lato permette di criminalizzare facilmente i musulmani ogni qual volta esprimano solidarietà ai fratelli palestinesi, e dall’altro di bollare come terrorismo ogni attività di resistenza come quella di Hamas, screditandola come illegittima agli occhi dell’opinione pubblica e negandole così ogni dignità. Ogni musulmano è posto di fonte a un ricatto morale preventivo: deve sconfessare ogni simpatia per Hamas o accettare l’equiparazione tra resistenza palestinese e terrorismo per non essere considerato estremista.
Come uscire da questo vicolo cieco?
Difficile. Se un musulmano non si piega a questo ricatto è bollato come “antioccidentale” a prescindere, e l’Islam dipinto come violento per natura.
A tal proposito, è possibile una vera integrazione? E’ piuttosto diffusa la convinzione che siano gli stessi musulmani a non volerla.
Quella dell’odio verso l’occidente è un’altra bufala raccontata ad arte. Come si fa a dire che i musulmani non vogliono l’integrazione? Lavorano con e per gli italiani, pagano le tasse, mandano i figli alla scuola italiana. Io preferisco parlare di inserzione più che di integrazione, perché è ovvio che non auspico un appiattimento che annulli la nostra identità, ma credo che sia calzante la metafora dell’innesto di un ramo sul tronco di un albero. L’innesto di una comunità piccola in una più grande non può che dare buoni frutti. Soprattutto quando è condiviso il 99% dei valori fondamentali, cosa che troppo spesso dimentichiamo. L’1% in cui ci differenziamo è fisiologico ed è la ricchezza della diversità: che qualche donna musulmana non voglia mettere la minigonna o che vada in giro col velo non mette certo in discussione il complesso dei “valori occidentali”.
Eppure quando si parla di aprire una moschea a Milano scoppia sistematicamente la polemica. Crede che molte piccole moschee diffuse sul territorio potrebbero favorire l’innesto di cui lei parla?
La polemica scoppia come riflesso condizionato. Se ti martellano all’infinito con l’idea che ogni musulmano è un potenziale terrorista, è normale che tu abbia paura. La paura si combatte con la reciproca conoscenza, e più moschee di piccole dimensioni potrebbero aiutare in tal senso. Ma non deve essere il Comune a provvedere. La comunità islamica deve essere in grado di aprire e mantenere i luoghi di culto, senza l’aiuto ma anche senza il controllo del potere pubblico. Sono molto cavouriano su questo punto: il concetto di “libera Chiesa in libero Stato” vale anche per noi. La possibilità di avere dei luoghi di culto dove pregare è una questione di dignità, ma la comunità deve provvedere in autonomia, coi soli limiti delle leggi civili e penali: il resto è una forma indebita di ingerenza.
A Milano c’è stata molta polemica sulla scuola islamica di via Quaranta. Lei cosa pensa delle scuole confessionali islamiche?
Più o meno quello che penso delle scuole confessionali cattoliche. Come musulmano, credo sia meglio mandare i propri figli alla scuola pubblica, proprio per una migliore integrazione nella società italiana. Ma se aprire una scuola confessionale è un diritto, tale diritto deve valere anche se a esercitarlo è una scuola islamica.