In risposta ad un lettore

Pubblichiamo qui sotto la lettera di un nostro lettore, relativa ad un articolo pubblicato il 6 dicembre scorso, seguita dalla risposta

 

Salve.
Da tempo ricevo con piacere il vostro notiziario. Nonostante le mie idee non coincidano con le vostre su diversi punti, vi ritengo: 1. un valido strumento di informazione su temi generalmente ignorati; 2. un discreto punto di riferimento ideologico; 3. un chiaro esempio di pensiero radicale, come tale ostracizzato dal teatrino politico ufficiale. E tanto basta a giustificare il mio interesse verso le vostre posizioni.
Voglio scomodare me e voi con questa lettera per comunicarvi la mia opinione circa l’articolo di Pasquinelli del 6 dicembre sul Nepal (Sulle divisioni…). Non ho potuto fare a meno di notare che: 1. l’articolo pare chiaramente pervaso da partigianeria per il partito maoista; 2. si biasima l’ingerenza indiana ma non quella cinese.
Preferire il partito maoista perchè promette di portare il Nepal verso il socialismo mi sembra un atteggiamento più da tifosi che da schietti analisti antimperialisti. (Metaforicamente, più da votante-rifondazione che da comunista.)
Non mi sfugge che in realtà il partito maoista cerca di traghettare il Nepal dall’orbita indiana a quella cinese in nome di un presunto socialismo che, parrebbe, si annuncia già lontano in partenza. Una promessa elettorale, insomma.
Inoltre, finire dall’orbita di un impero capitalista all’orbita di un altro, altrettanto capitalista, non mi pare un grande affare per la popolazione, di certo non un miglioramento tale da giustificare uno schieramento deciso. (Come votare PD perchè menopeggio.)
In base alle informazioni che traggo dall’articolo, io nei panni della plebe mi schiererei CONTRO l’uno e CONTRO l’altro.
Posso supporre che il sostegno incondizionato agli avversari degli Usa nel gioco degli imperi porti a tifare per Russia o Cina dimenticando i popoli sulle cui teste si contende (non si dovrebbe mai dimenticare la lezione orweliana di 1984). Ma, se così fosse, ritengo sarebbe giusto esplicitare queste ragioni piuttosto che sublimarle nell’idea vaga di lotta per il socialismo.
Credo che l’antimperialismo abbia senso quando oppone popoli a imperi, non quando tifa per uno degli imperi. Credo che un pannello fotovoltaico sia molto più antimperialista del partito maoista nepalese.
Spero di ricevere risposta, anche in privato se volete. Chiedo scusa se, per mie mancanze, ho malinteso il senso dell’articolo.

Rispetto e saluti.
S.M.

 

Non nascondiamo di certo la nostra “partigianeria” per il movimento maoista nepalese, che non è affatto un atto di “tifoseria” o piaggeria. Più ancora che da una comunanza di ideali, la nostra amicizia verso i maoisti del Nepal dipende dal rispetto che noi portiamo a quel movimento, alla tenacia con cui essi hanno combattuto, fino a determinarne il rovesciamento, il regime monarchico e feudale. Che una guerra popolare, animata da un partito comunista e sostenuta dai settori più umili della società, si sia conclusa con una prima vittoria, è un evento di prima grandezza, che ha dello straordinario in tempi bui come quelli che viviamo. Sarebbe imperdonabile sminuire l’importanza di questo evento il quale, come minimo, ha mostrato la vitalità degli ideali rivoluzionari e antimperialisti.

Il nostro lettore ci dice quattro cose fondamentali. La prima: è che i maoisti nepalesi, al fondo, non stanno facendo altro che traghettare il Nepal da una sudditanza ad un’altra, ovvero da quella indiana a quella cinese; la seconda: che la strategia del passaggio al socialismo dei maoisti sarebbe solo una copertura per portare il paese nella sfera d’influenza cinese; la terza: che un’autentica politica antimperialista significa rifiutare di entrare nell’orbita di qualsiasi potenza straniera; la quarta: che un pannello fotovoltaico sarebbe più antimperialista della linea del partito comunista di Prachanda.
Non vogliamo barricarci dietro al luogo comune che le cose sono decisamente più complesse, di certo anche il nostro lettore capirà che non deve essere per niente semplice trovarsi al governo in un paese poverissimo, con risorse scarse e forze produttive ad un livello primitivo, davanti ad un’opposizione sociale e politica agguerrita (pilotata da Nuova Delhi) dedita al sabotaggio, e con alleati dediti a frenare la spinta rivoluzionaria ed egualitaria. Nel mio articolo riportavo che questa situazione di impasse ha provocato una grave frattura nel partito di Prachanda, dove una maggioranza ritiene che la politica di piccoli passi progressivi o di riforme strutturali perorata dal segretario sia destinata al fallimento, e quindi propugni un salto di tipo rivoluzionario. Chi sta con Prachanda insiste che ogni salto rivoluzionario sarebbe un salto in una nuova guerra civile, la quale stavolta provocherebbe un massiccio intervento armato indiano.
Due sono quindi le linee che si affrontano nel partito maoista. Ma sarebbe del tutto sbagliato semplificare dicendo che l’ala sinistra preme per trasportare il Nepal nella sfera d’influenza cinese, mentre Prachanda vorrebbe restare in quella indiana. Il giudizio del maoismo nepalese sulla Cina post-maoista è stato sempre e inequivocabilmente negativo. Per Prachanda come per i suoi avversari interni quella denghista è stata una controrivoluzione che ha condotto alla restaurazione del capitalismo, punto.
Il fatto è che senza aiuti esterni il governo nepalese non può finanziare e quindi applicare le radicali riforme sociali promesse, non può nemmeno, tanto per dire, costruire quattro pannelli fotovoltaici. La sola alternativa a relazioni di interscambio basata sul reciproco vantaggio con paesi economicamente più potenti, sarebbe l’autarchia. Ove l’autarchia, che la sia chiami col suo nome o “socialismo in un solo paese”, per un paese agricolo poverissimo, implicherebbe attivare un processo di collettivizzazioni rurali e di deurbanizzazione (del tipo di quello voluto dai Khmer rossi in Cambogia tanto per capirsi) i cui costi sociali e umani sarebbero incalcolabili.
Non resta che accettare aiuti esterni per sostenere un serio e solido processo di trasformazione sociale. Non sarà certo l’India che considera il Nepal una propria appendice, una colonia, ad aiutare i maoisti a cambiare in profondità i rapporti sociali in senso socialista. Il gigante indiano ha infatti nel Nepal le sue potenti diramazioni sociali, politiche ed etniche. Dalla parte di Nuova Delhi stanno, la rachitica borghesia nepalese, le alte caste induiste infeudate da millenni con quelle brahaminiche indiane, il Partito del Congresso Nepalese a cui fa da sponda il Partito Comunista Unito, ed infine alcune minoranze etniche del Nepal sud-orientale. Il governo indiano per bocca del suo primo Ministro Singh ha già detto a Prachanda che può fare le riforme che vuole, ma non quelle che intaccassero gli interessi sub-imperialisti indiani, né tanto meno strappare il Nepal dall’orbita di Nuova Delhi.
In queste circostanze un governo rivoluzionario non può che rivolgersi alla Cina per ottenere l’ossigeno necessario. Ma da qui a dire che I maoisti vogliono fare del Nepal un satellite del Drago ce ne corre. Prachanda e i suoi sono obbligati, proprio per non tradire l’anelito delle masse che li hanno sostenuti, ad applicare quell’adagio cinese per cui il nemico del mio nemico è mio amico —principio discutibile quanto si vuole ma in certe circostanze sacrosanto.
Mi permetto di ricordare infine che il Nepal è un piccolo paese incastonato tra due colossi, per cui nemmeno il governo più temerario, pena il suicidio, potrebbe fare a meno di considerare le obbligate linee geo-politiche che derivano da questa collocazione infelice. Fino a quando la rivoluzione non si estenderà in India o in Cina, il governo maoista dovrà destreggiarsi tra le due potenze ostili, non provocandole avventuristicamente entrambi bensì sfruttando le loro rivalità, tentando di usare l’appoggio cinese per contrastare la potenza più minacciosa e incombente, ovvero l’India.

Moreno Pasquinelli