Gli obiettivi dei criminali israeliani

Scenari possibili di una strage che continua
A Gaza la strage continua. Mentre scriviamo la contabilità dei morti sotto le bombe israeliane è arrivata ad oltre 400, mentre quella dei feriti ha ormai superato quota 1.000.
Un massacro impressionante in quella che è l’area a maggior densità abitativa del mondo. E come tutti i grandi massacri avviene con la complicità di molti ed il silenzio di quasi tutti. In questo quadro, la solidarietà con il popolo palestinese e con le organizzazioni della Resistenza non sarà mai abbastanza.

Ma la portata dell’attacco sionista iniziato ieri richiede anche un aggiornamento dell’analisi, dato che non siamo di fronte ad una delle tante azioni terroristiche dello stato israeliano, solo un po’ più massiccia. C’è stato infatti un salto di qualità che lascia intravedere una precisa strategia. E’ bene perciò cercare di interpretarla per vederne i possibili scenari che potrebbero determinarsi.

L’attacco era pianificato da tempo
Chiunque abbia seguito gli avvenimenti capisce perfettamente che l’attacco era programmato da tempo. Israele non ha mai rispettato veramente la tregua di giugno, ma la presentazione di questo attacco su larga scala come una rappresaglia per i lanci dei razzi Qassam si può spiegare solo con il potentissimo controllo sui media esercitato dalla lobby sionista in tutto l’occidente. I razzi Qassam – deboli ed imprecisi – sono un rudimentale strumento di difesa di un popolo in gabbia, che in 8 anni ha ucciso una decina di israeliani, mentre nello stesso periodo Israele ha ammazzato circa 6.000 palestinesi, senza contare le vittime per gli stenti causate dall’assedio imposto a Gaza.
L’importanza della propaganda è del resto confermata dalla notizia che Tzipi Livni ha annunciato una “campagna di informazione internazionale per giustificare l’azione israeliana”. In Italia l’efficacia di questa campagna risulta inequivocabilmente dall’atteggiamento allineato della grande stampa che non fa altro che rilanciare le “verità” del governo sionista.
La verità che si vuole occultare è che l’attacco era preparato da tempo e non solo militarmente, ma soprattutto politicamente, come si evince dalla copertura statunitense, da quella europea, dall’atteggiamento dei regimi arabi filo-americani. Un allineamento così studiato e ben riuscito si spiega soltanto con una strategia condivisa che ha dettato la scelta dell’attacco e che determinerà le prossime mosse.

Eliminare Hamas, decapitare la Resistenza
Il problema per la dirigenza sionista è la Resistenza palestinese. I palestinesi hanno subito tante sconfitte, ma mai si sono piegati. I sionisti hanno allora giocato la carta del Quisling Abu Mazen, ma anche questa carta ha fatto cilecca con le elezioni del 2006. Con quelle elezioni il popolo palestinese disse chiaramente di no alla linea collaborazionista, ed è così che Gaza è diventata un simbolo.
L’attacco in corso ha dunque un preciso obiettivo politico: eliminare le organizzazioni della Resistenza ed Hamas in primo luogo. Non per ristabilire l’occupazione diretta sulla Striscia, che ad Israele non conviene, ma per consegnarla al traditore di Ramallah, Abu Mazen appunto. E’ di questa mattina la notizia, riportata dal Jerusalem Post, di alcune dichiarazioni attribuite a funzionari dell’Anp, per cui: “Siamo pronti a tornare nella striscia di Gaza e assumere il controllo se Israele battera’ Hamas.” “ Abu Mazen ha dato istruzione a tutti i suoi membri (di Al Fatah – N.d.R.) presenti a Gaza di tenersi pronti a tornare al potere”. E’ autentica questa notizia? Non possiamo saperlo ma è quantomeno verosimile, dato l’atteggiamento di Abu Mazen e dei suoi, ben attestati sulla linea di attribuire ad Hamas la responsabilità della mattanza.
Questa prospettiva ben si sposa con il comportamento dell’Egitto, che pare abbia addirittura teso una trappola al governo di Gaza passandogli nei giorni scorsi un’informazione falsa (attribuita direttamente a Mubarak) sul fatto che gli israeliani non avrebbero attaccato tanto presto.
Il disegno appare chiaro: destituire Hamas, riconsegnare Gaza ad Abu Mazen, creare le premesse per l’accettazione dell’apartheid costruito con il muro, le colonie, il controllo militare e non solo. La “soluzione” prospettata da questa strategia non è neppure quella dei “due Stati”, ma solo la concessione di limitatissimi poteri ad una mafia corrotta all’interno di piccoli bantustan stile Sudafrica razzista. Tutto ciò verrebbe chiamato “pace”.

Può realizzarsi un simile disegno?
Questa è la domanda fondamentale; la risposta dipende da diverse variabili. Mentre scriviamo si ha notizia di notevoli ammassamenti di truppe israeliane al confine con la Striscia e tutto lascia pensare che prima o poi verrà lanciato anche un attacco terrestre.
Ma le sorti della causa palestinese non si giocheranno solo nell’eventuale corpo a corpo con i soldati di Tsahal nella Striscia: si decideranno anche in Cisgiordania e in Libano, perché solo l’apertura di altri fronti, unita alla Resistenza di Gaza, potrà far saltare il progetto dei razzisti israeliani.
In Cisgiordania si sono già svolte diverse manifestazioni a sostegno di Gaza, e non è escluso che dalle proteste si passi alla rivolta. Ma è dal Libano che possono arrivare novità decisive. Già nel 2006 la cattura di un gruppo di soldati israeliani (che dette il via al conflitto risoltosi con la sostanziale sconfitta di Israele) venne motivata da Hezbollah come atto di solidarietà con il popolo di Gaza che anche in quel periodo subiva le quotidiane incursioni sioniste.
Ora – con la presenza delle truppe della Unifil-2 (comprendenti circa 2.500 soldati italiani) – le cose in Libano sono più complicate; inoltre sembra che questa volta Israele non intenda farsi cogliere di sorpresa sul Fronte Nord e che addirittura provochi, con incursioni aeree nel Libano meridionale. Ma è difficile ipotizzare che Hezbollah possa rimanere inerte di fronte al massacro di Gaza.

Ed ancora
L’attacco israeliano ha sicuramente anche altri obiettivi di carattere geopolitico. Una sconfitta della resistenza palestinese sarebbe un duro colpo anche per l’Iran e per le sue ambizioni di potenza regionale. Potrà Teheran limitarsi ai generici appelli ai musulmani? Difficile a dirsi, ma dalla risposta che verrà data a questo interrogativo dipenderanno molte cose. In gioco, in questo caso, è la credibilità della leadership iraniana, credibilità che si è rafforzata negli ultimi anni, ma che ora si trova davantiad una prova decisiva.
Senza dubbio gli strateghi di Tel Aviv (e di Washington) hanno calcolato attentamente anche questa variabile, pensando di piegarla in ogni caso a proprio vantaggio. Ma a volte, si sa, certi calcoli si rivelano fallaci. E noi speriamo proprio che lo siano.

La Redazione