L’ipocrisia del segretario del Prc su Hamas
Al segretario del Prc, Paolo Ferrero, è capitato di trovarsi in Palestina nel momento in cui il governo Olmert decideva l’attacco su Gaza. La circostanza gli ha dato la possibilità di dire qualcosa in più rispetto alle solite litanie rifondarole tipo: “due popoli, due Stati”, “no alla guerra, no al terrorismo”, “la pace è meglio della guerra” e via banalizzando.
“Ti invito a provare ad entrare a Gaza; se non ci riesci incontra almeno Hamas in Cisgiordania; oppure prova ad andare a trovare i parlamentari palestinesi, regolarmente eletti, rinchiusi senza alcuna accusa nelle carceri israeliane.”
Con queste parole, in una bellissima lettera pubblicata su questo sito, Ugo Giannangeli, da tanti anni impegnato in attività di solidarietà con il popolo palestinese, si rivolgeva a Ferrero annunciato in partenza per la Cisgiordania per invitarlo a modificare la posizione anti-Hamas del suo partito.
Inutile dire che questa sollecitazione non ha trovato risposta alcuna, neppure con il precipitare della situazione a Gaza. Anzi. Ferrero non ha incontrato Hamas, e la politica del Prc sulla Palestina appare penosamente ancorata alle vecchie formulette imposte dal “politically correct”.
Ma andiamo con ordine. In un’intervista pubblicata sul Manifesto del 28 dicembre, Ferrero usa – ci pare per la prima volta – espressioni chiare sulla politica israeliana, affermando che: “Non ci troviamo di fronte ad un processo di pace interrotto ma davanti al fatto che Israele, senza dichiararlo, sta attuando e praticando una politica di costruzione dell’apartheid, con i bantustan e il muro”. Benissimo, finalmente qualche parola chiara se non sulla natura, perlomeno sulla politica di Israele.
Ma la coerenza non pare essere il punto forte dell’ex ministro. E l’intervista si conclude con la solita frasetta alla Bertinotti contro i “fondamentalismi” che “la fanno da padrone, tendono a polarizzare il dialogo, sia in Israele che fra i palestinesi, e concepiscono solo una logica amico-nemico e rifiutando quella della soluzione e del compromesso”.
E così anche Ferrero ci ha rifilato la sua soluzione, quella del buono occidentale che detesta i fondamentalismi, che ricerca le soluzioni combattendo eroicamente con il male dell’estremismo. In Ferrero non c’è alcun riferimento alla situazione concreta, alla storia, alla geografia, ai diritti – primo fra tutti quello alla resistenza. C’è solo l’eterna lotta del bene contro il male, dove il bene sta sempre in occidente, mentre altrove prevale l’odiato “fondamentalismo”, una categoria capace di inglobare tutto quanto non rientra negli schemi della miserella sinistra (ex?) Arcobaleno.
Sia chiaro, il Ferrero che almeno parla di apartheid è nettamente preferibile al suo vecchio padre-padrone Bertinotti che non ha mai mascherato il suo filo-sionismo. Recandosi in Palestina nella primavera 2007, nel mezzo della sua breve e scarognata carriera di presidente della Camera, il pallone gonfiato di Montecitorio rilasciava, tra le altre, queste due dichiarazioni: “Israele è un luogo dello spirito”; “Il muro è una questione interna”.
Più precisamente, egli affermava davanti al parlamento palestinese che: “Dopo Auschwitz l’esistenza di Israele è una realtà, ma anche un luogo dello spirito”. Ed alla stampa, all’uscita dalla Chiesa della Natività di Betlemme, così pontificava: “Il mondo ha bisogno di ponti su cui incontrarsi e non di muri che impediscono di vedersi, ma non mi permetto di entrare nelle questioni interne”.
Comprendiamo che con un simile predecessore, peraltro mai contestato nel merito (su ben altre cose si fanno le baruffe in casa rifondarola, che diamine!), sarebbe troppo aspettarsi la fuoriuscita dall’ipocrisia perbenista da parte del nuovo segretario.
Tuttavia, a tutto c’è un limite.
E questo è stato tranquillamente superato nell’intervista pubblicata ieri, 30 dicembre, da Liberazione. Rispondendo a Checchino Antonini, Ferrero ribadisce i concetti dell’intervista al Manifesto e riconosce – bontà sua – che l’equidistanza è impossibile. Ma dopo questo sforzo Ferrero si preoccupa di ripetere che il problema è “il rafforzamento dei due fronti integralisti, quello arabo e quello israeliano”, per arrivare ad una chiusa assai grottesca: “La guerra rafforza Hamas e chi sostiene il conflitto di civiltà. Come nella guerra del Golfo. E’ la riapertura del fronte che pensavamo chiuso con la sconfitta di Bush”.
Siamo alle solite, siamo al né né dei buoni occidentali al caldo, alla sinistra che nega la resistenza. E’ un Ferrero che, quasi spaventato dalla possibilità di fare un passo in avanti, si preoccupa subito di rivolgere la testa all’indietro, ai micro-dogmi dell’era bertinottiana.
Questo pensiero, apparentemente leggero come una piuma (o, se preferite, come il peso complessivo delle schede elettorali di chi continua a votarli) è in realtà pesante come un macigno. Vorrebbe contrastare la guerra di civiltà, ma riafferma che la civiltà è solo una; parla di pace ma per negare il diritto a resistere.
Se questo è il risultato, Paolo Ferrero poteva anche risparmiarsi il viaggio natalizio in Palestina. Le sciocchezze opportuniste si possono dire bene anche da casa.
La Redazione