Nella Striscia una brutale violazione dei diritti

Pubblichiamo un’intervista rilasciata alla Stampa di oggi dal Relatore speciale per i diritti dell’uomo, Richard Falk, recentemente espulso da Israele. Pur non condividendo a pieno l’analisi di Falk, ci sembra interessante proporre le sue opinioni ai lettori del sito.

 

Intervista a Richard Falk

di Francesco Semprini, La Stampa

L’aggressività di Israele nei miei confronti dimoostra la volontà dello Stato ebraico di impedire alla comunità internazionale di sapere cosa sta succedendo a Gaza. Il relatore speciale per i diritti umani dell’ Onu,Richard Falk, fermato e cacciato qualche settimana fa da Israele, nonostante le credenziali del Palazzo di Vetro, dice:

«Mi hanno impedito di denunciare la grave violazione dei diritti umani nei territori occupati. E le conseguenze le paga la popolazione civile palestinese».

Ma Israele non si sta difendendo?

La risposta di Israele ai presunti attacchi di Hamas non è giustificabile. Il rapporto tra le vittime israeliane e quelle palestinesi è assolutamente sproporzionate. Da parte di Gerusalemme c’è stata una aggressione che ha portato a una serie scioccante di atrocità compiute con armi moderne contro una popolazione inerme che già sopporta da mesi un duro embargo.

Perché usa la parola presunti?

Perché non si capisce qual è il legame tra la Jihad e il movimento palestinese.

Vuoi dire che ci sono infiltrazioni terroristiche che Hamas non controlla?

Hamas era pronto a rinnovare il cessante il fuoco. Israele ha ignorato questa ipotesi e ha continuato l’opera di taglieggiamento degli aiuti umanitari provocando una risposta con i lanci di razzi. Sospetto che la responsabilità di questi tiri non sia di Hamas ma di elementi fuori controllo della Jihad. Il problema è capire che legame c’è tra la Jihad islamica e Hamas. Di fatto Israele ne ha approfittato per condurre un attacco che rappresenta una violazione degli accordi di Ginevra, e il bilancio delle vittime civili lo dimostra.

Crede che ci sia un legame tra ciò che è successo a lei due settimane fa e la guerra in atto?

Non penso ci sia un legame diretto. Ma sicuramente il fatto che mi sia stato impedito di entrare a Gaza e l’essere stato trattenuto all’aeroporto Ben Gurion per venti ore e poi rispedito a casa fa parte di una strategia di Israele volta a impedire alla comunità internazionale di sapere cosa sta succedendo a Gaza.

Che cosa è successo quel pomeriggio di metà dicembre?

Arrivato alla dogana di Tel-Aviv, un funzionario del ministero degli Interni israeliano mi ha detto che la mia visita non era gradita, nonostante avessi un mandato dell’Onu. Era una direttiva del ministro degli Esteri, sono stato portato in un ufficio dove vengono radunate le persone da deportare. Ero con altri cinque uomini. La mattina seguente sono stato imbarcato su un aereo per gli Stati Uniti.

Israele nasconde qualcosa?

Vuole evitare che la comunità internazionale conosca le violazioni dei diritti umani e teme le ripercussioni che questa rivelazione potrebbe avere dal punto di vista mediatico».

Qual è la situazione a Gaza adesso?

Disperata. Il 46 per cento dei bambini soffre di polmonite dovuta alle polveri dei bombardamenti e 1’80 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.

Quello che le è successo era mirato?

Direi che mi hanno rIservato un trattamento speciale, probabilmente per il mio passato. Ma di fatto è la prima che volta che hanno adottato una misura di questo genere con un inviato in possesso di un mandato conferito dall’Onu».

Qual è l’obiettivo di Israele?

Demolire l’ambizione di Hamas di rappresentare il popolo palestinese e impedire la lotta contro l’occupazione dei territori. In secondo luogo Israele vuole indebolire le ambizioni dei movimenti integralisti a Gaza e in Cisgiordania. Di fatto è un comportamento inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani e delle leggi internazionali.

La nuova amministraazione americana potrà cambiare le cose?

Non sono ottimista. L’orientamento in questo Paese e soprattutto di Washington è così incondizionatamente a favore di Israele da rendere difficile anche per un governo più liberal come quello di Obama di mettere in discussione la politica di Israele.

Si sente di mandare un messaggio allo Stato ebraico?

Vorrei che il governo israeliano riconoscesse che la sua politica a Gaza non ha nulla a che fare con la sicurezza e che sarebbe giusto cambiare l’approccio sull’occupazione della Palestina. Trovare una soluzione a un conflitto che per sei decenni ha visto Israele invadere e ha devastato la popolazione palestinese. E’ questo il mito che infiamma i fondamentalismi e alimenta il terrorismo.

Proverà a tornare a Gaza?

Il problema non è se torno a Gaza, ma è come convincere Israele a cooperare.