Un mondo post – americano?
La situazione internazionale dopo l’ascesa di Barack Obama*

Proprio a causa della crisi sistemica in cui è precipitato il capitalismo americano – che avrà effetti profondi e di lungo periodo per tutto il sistema di relazioni internazionali – il neo – eletto Barack Obama non potrà lasciare in secondo piano la politica estera. Malgrado nell’ultimo scorcio del XX secolo un pugno di nuovi stati siano assurti al rango di nazioni imperialistiche incipienti o sub – imperialisiche, gli Stati Uniti restano la sola potenza onnidimensionale, ovvero rappresentano la prima potenza mondiale nei campi militare, industriale, agricolo, culturale e tecno – scientifico e finanziario. Essi vorranno mantenere ad ogni costo questa supremazia e cercheranno di spalmare e scaricare i costi della crisi sul resto del mondo, per questo esso sta entrando in un periodo storico di massima instabilità che potrebbe sfociare in un periodo storico di guerra guerreggiata estesa, prolungata e pluridimensionale.

 

1. La crisi sistemica (che ha il suo epicentro negli Stati Uniti), contrariamente a quanto alcuni pensano, non spingerà la Casa Bianca verso una politica di “non intervento” sulla scena mondiale bensì, in linea con le tradizioni wilsoniane, verso un internazionalismo imperialista che, per quanto pragmatico, esibirà la sua continuità con la politica del predecessore Bush.

2. Ciò non vuol dire che l’internazionalismo imperiale si manifesterà nella medesima forma unilateralista che l’ha contraddistinto dopo il 2001. La strategia Neocon della triade Cheney –Rumsfeld – Bush ha dato modesti risultati se confrontata con l’enorme sforzo bellico, finanziario e diplomatico. Oltre ad essere stata, per i suoi ingenti costi, una con – causa della crisi economica, la strategia Neocon (mascherata come lotta senza quartiere al terrorismo ma realmente tesa a consolidare con la guerra la primazia americana) si è risolta in un mezzo disastro. Ha infatti dato, malgrado la Vittoria di Pirro in Iraq, nuovo ossigeno alle Resistenze antimperialiste; ha approfondito il contrasto con i cosiddetti “stati canaglia”; ha prodotto gravi frizioni con la Russia di Putin nonché generato un latente scollamento delle relazioni con gli alleati tradizionali (non solo europei).

3. La Casa Bianca dovrà quindi, proprio allo scopo di conservare l’azzoppata supremazia mondiale statunitense, rimodulare la sua politica imperiale. Combinerà la strategia monocentrica con una tattica multilateralista. Ricorrerà all’intervento armato unilaterale solo in ultima istanza, usando in prima battuta la propria potente diplomazia, che altro non è se non la maschera della sua impressionante forza militare di deterrenza; in seconda battuta rafforzando la NATO, ovvero coinvolgendo più decisamente l’Unione Europea nella gestione delle discordie internazionali; in terza battuta conducendo guerre per interposta persona, ovvero ricorrendo ad eserciti ascari e agli Stati – Quisling locali; in quarta, sul modello delle “rivoluzioni arancioni” in Ucraina e Georgia, sostenendo direttamente sollevazioni popolari endogene in nome della “democrazia” allo scopo di afferrare nuovi paesi nella propria orbita geopolitica.

4. Non è suffragata dai fatti la tesi per cui il mondo sarebbe già entrato in un periodo post – americano. Questa è solo una tendenza latente la quale, ammesso che possa affermarsi senza una fuoruscita della umanità dal capitalismo, deve tener conto della sua contro – tendenza: la caparbia resistenza dell’imperialismo americano — Barack Obama è stato scelto dai potentati imperialistici americani non per assecondare un “nuovo ordine mondiale multipolare”, ma per farlo morire sul nascere.
Proprio per questo però, il mondo, lungi dall’entrare in un periodo di appeasement, rischia invece di precipitare nella spirale di una guerra guerreggiata estesa, prolungata e pluridimensionale, segnata dall’inedito intreccio del vecchio conflitto nord – sud, con quello, inizialmente per procura, tra ovest – est e nord – nord.

5. La Casa Bianca non accetterà una nuova gerarchia policentrica delle potenze, non perseguirà la strategia di un “governo mondiale”, di un equilibrio paritetico con le altre potenze. Punta semmai ad ottenere un sistema di equilibrio multilaterale imperniato sulla salda centralità americana in cui le altre potenze agiscano come comprimari (sulle orme della dottrina Roosveltiana dei “quattro poliziotti”) a cui farebbe da corollario un sotto – sistema di piccoli gendarmi regionali. Anche  questo ci porta a prevedere un’acutizzazione delle rivalità nel caso queste potenze (la Russia in primis) non accettassero questa gerarchia — rivalità che non sono altrimenti definibili che come inter – imperialistiche.

6. In questa prospettiva l’Unione Europea, presa tra l’incudine e il martello, sarà sottoposta a fortissime tensioni geopolitiche. E’ certo che la Casa Bianca, in linea con tutto il suo operato sin dalla seconda guerra mondiale in poi, vorrà sventare con ogni mezzo la possibilità che l’Europa si orienti verso una prospettiva euro – asiatica, che allenti i suoi legami di signoraggio e sudditanza con gli Stati Uniti, ovvero che l’Unione si metta a giocare in proprio. Barack Obama non esiterà a combattere ogni ipotesi euro – asiatista di avvicinamento Europeo alla Russia , all’occorrenza anche giocando la carta dello smembramento dell’UE, alimentando conflitti ragionali per isolare e indebolire la Russia e coinvolgere e tenere soggiogata l’Unione europea attraverso la NATO.

7. Se gli USA vogliono restare il solo super – imperialismo Barack Obama non potrà allentare la pressione sul Medio Oriente. Il neo – eletto Presidente, ovviamente venendo meno alle sue fandonie elettorali, ha già reiterato l’appoggio incondizionato ad Israele, ha dichiarato che gli USA non recederanno dall’obbiettivo di stroncare le Resistenze arabe, anzitutto Hezbollah e Hamas (liquidati al pari di Bush come terroristi). Ha affermato, confermando gli accordi col governo fantoccio di Baghdad (Sofa), che in Iraq saranno mantenute basi militari strategiche, adottando per questo paese il modello di servaggio adottato dopo la seconda guerra mondiale coi paesi sconfitti. Ha infine ribadito che non scenderà a compromessi con Tehran fino a quando non rinuncerà al nucleare e sosterrà Hezbollah e Hamas.

8. La sua promessa di concentrare la pressione militare in Afghanistan non deve essere quindi fraintesa come un abbandono delle posizioni di predominio raggiunte in Medio Oriente. Il Pentagono e il Dipartimento di Stato non possono pensare di debellare la Resistenza afgana e conquistare per sempre questo paese senza il sicuro retroterra mediorientale.

9. Che la focalizzazione sull’Afghanistan sia presagio di nuovi e più gravi conflitti dipende dal fatto che questo paese rappresenta, nella prospettiva  geopolitica del nuovo gruppo dirigente americano, il centro geometrico simbolico del proprio disegno imperiale. L’Afghanistan è il  luogo ove si decide appunto se nel prossimo periodo un nuovo ordine mondiale multipolare rimpiazzerà quello monopolare a stelle e strisce.

10. Sei sono gli obbiettivi strategici che gli USA otterrebbero se vincessero la guerra afgana. (a) Quello immediato, dal punto di vista simbolico importantissimo, è che si dimostrerebbe, dopo l’incerto esito iracheno, di potere debellare la Resistenza più tenace da essi incontrata dopo quella vietnamita, e quindi fermata l’onda lunga dell’Islam. (b) Ciò  avrebbe ripercussioni pesanti sulla Repubblica Islamica dell’Iran, che verrebbe a trovarsi a quel punto completamente accerchiata e soffocata. (c) Un’eventuale vittoria sulla resistenza islamica afgana aiuterebbe poi gli Stati Uniti a normalizzare il Pakistan e dunque a far digerire al potere  militare di Islamabad un suo ridimensionamento strategico a favore dell’addomesticabile elefante indiano. (d) Essi porrebbero l’Asia centrale, e quindi le sue riserve energetiche e i suoi oleodotti e gasdotti, sotto la propria tutela.  (e) Questa tutela spezzerebbe nel suo punto più nevralgico l’asse strategico tra Mosca e Pechino, umilierebbe per un lungo periodo le ambizioni strategiche della Russia putiniana, rendendo realistico l’obbiettivo strategico che sorregge il disegno brzezinskiano: afferrare la Cina nell’orbita americana. (f) Visto che attraverso la missione NATO-ISAF l’Europa è stata irreparabilmente trascinata nella guerra, un’escalation bellica in Afghanistan incatenerebbe l’Europa al ruolo di attore ubbidiente e comprimario.

11. In questa cornice, lungi dal venir meno, assume nuova rilevanza la ragion d’essere del Campo Antimperialista. Disfattisti ma non per questo indifferenti di fronte all’eventuale esplosione violenta di rivalità interimperialistiche ovest – est e nord – nord (la sconfitta del super – imperialismo USA resta l’obbiettivo primario di ogni Resistenza antimperialista per le quali uno squilibrio multipolare è pur sempre preferibile al dispotismo monopolare), avremo numerose occasioni di battaglia, su tre assi anzitutto: il sostegno alle Resistenze antimperialiste, in primis quella afgana, la lotta contro la NATO, ed entrambi convergono sul terzo asse, quello del contrasto incondizionato e irriducibile al super – imperialismo americano, dato che resta il principale pilastro del sistema capitalistico internazionale.

12. Stessa resta la nostra stella polare: la costruzione di un Fronte Antimperialista a scala mondiale Non ci siamo mai nascosti né ci nascondiamo ora le irte difficoltà che sono sulla strada di questo Fronte. Esso non è inscritto nell’ordine delle cose, né abbiamo mai pensato che esso sia già contenuto nel grembo della storia. Occorre la combinazione di diverse condizioni, oggettive e soggettive, affinché l’unità internazionale delle Resistenze prenda forma, Quelle oggettive sono affidate all’imponderabile corso degli eventi, quelle soggettive vengono a dipendere essenzialmente dalla possibilità che maturi finalmente l’incontro tra il grosso della Resistenza islamica e le forze a vario titolo rivoluzionarie e comuniste. A sua volta questa fratellanza viene a dipendere dalla capacità di entrambi questi attori di sbarazzarsi, l’uno del mito della Umma come solo orizzonte di liberazione, il secondo di quello della funzione trainante della civiltà occidentale, a cui fa da pendant il culto del progresso, anche se capitalistico.

La nostra funzione non è quindi solo quella di costruire la solidarietà antimperialista e di stimolare in ogni luogo possibile la Resistenza. Non meno importante è lavorare per la saldatura di cui sopra, compito titanico che richiede non solo azione, ma un non meno grande sforzo teorico e culturale.

 

* Risoluzione approvata dal Comitato Esecutivo Internazionale del Campo Antimperialista –  Firenze 4 gennaio 2009