La grande bufala sionista del promesso annientamento di Hamas
di Moreno Pasquinelli
Cito dalla edizione web del Corriere della sera del 6 gennaio: «WASHINGTON – Lo riconoscono anche gli israeliani. Hamas si sta rivelando un osso duro. I pesanti raid aerei l’hanno debilitata, hanno provocato la morte di dozzine di militanti (e di civili), hanno distrutto depositi e laboratori per razzi, ma i miliziani rispondono e continuano a minacciare con i missili le città israeliane.» Un modo peloso per dire che l’esercito dei sionisti non ha il coraggio di portare l’attacco risolutivo alla Resistenza palestinese, che la potenza di quest’ultima è stata solo intaccata dai bombardamenti, che l’obbiettivo strombazzato ai quattro venti, stroncare Hamas, non è stato raggiunto, e non sarà raggiunto. Forse per questo, si vocifera in queste ore che Israele sia disposto al cessate il fuoco, non quindi perché Tsahal abbia ottenuto una vittoria sul campo, quanto perché sa bene che non riuscirà ad ottenerla.
Quando diciamo che Israele ha astutamente e lungamente preparato l’attacco a Gaza, vogliamo dire che l’ha fatto sui due piani più importanti e strettamente connessi tra loro: quello militare e quello dell’informazione. Di guerre ce ne sono infatti due: quella reale contro la Resistenza a Gaza, e quella virtuale per infinocchiare l’opinione pubblica occidentale. Israele ha prima occupato le casematte mediatiche, i centri da cui si dipana l’informazione mondiale e solo dopo ha scatenato l’attacco. Prima occorreva intossicare l’opinione pubblica, prepararla a considerare come obbiettiva la spiegazione israeliana della guerra, quella per cui se i sionisti fanno strage di innocenti non è per colpa loro ma per colpa di Hamas (sic!).
Hamas avrebbe violato la tregua (siglata il 19 giugno 2008) e rifiutato di riconfermarla a ridosso della sua scadenza. Due bugie in una. Se è vero che da Gaza sono continuati sporadicamente lanci di razzi Qassam, questi erano bazzecole in confronto alle ripetute violazioni israeliane avvenute dopo il 19 giugno: bombardamenti, omicidi mirati, decine e decine di morti, fino all’attacco durissimo e massiccio del 4 novembre. La seconda bugia: nessuno spiega che Hamas era pronto a riconfermare la Hudna, la tregua, ma a patto che Israele avesse posto fine fine all’assedio e all’embargo unilaterali e illegali decretati dopo la vittoria di Hamas nelle elezioni politiche del 26 gennaio 2006. Non troverete traccia di questo nei media italiani, nessuno vi dirà che Hamas poneva una richiesta sacrosanta, mentre Israele esigeva che si cessasssero i lanci di razzi ma senza dare in cambio la fine dell’assedio su Gaza.
Venendo all’attuale confltto dobbiamo chiederci: i sionisti hanno bluffato, proclamando che sarebbero andati fino in fondo nell’annichilimeno di Hamas, oppure non hanno saputo e potuto farlo? Fatto sta che l’annunciato sfracello dell’attacco di terra, a ben guardare le modalità e la consistenza della penetrazione dell’invasione, non c’è realmente stato. A tre giorni dallo strombazzato ingresso della fanteria sionista nella Striscia veniamo a sapere, seppure a pezzi e bocconi, che il Comando generale israeliano si è ben guardato dall’inviare i suoi tanto decantati super-soldati alcune centinaia di metri più in profondità, nei centi abitati ove si raggruppa il grosso dei combattenti palestinesi, anzitutto a Gaza city. Gli israeliani, tagliata la striscia in due, hanno occupato postazioni del tutto irrilevanti dal punto di vista dell’obbiettivo che si son posti, quello di tagliare testa e gambe ad Hamas, luoghi in cui non hanno trovato alcuna resistenza, per la semplice ragione che la Resistenza non ha pensato di difenderli.
I sionisti hanno sperato che la Resistenza sarebbe caduta nella trappola di andare allo scontro per difendere aleatorie frontiere o le zone più periferiche. Si sono sbagliati. I comandi palestinesi, dando prova di notevole acume tattico, hanno evitato di combattere in zone aperte, esposte ai colpi degli obici dei thank, dell’aviazione e della marina, e hanno deciso di asserragliarsi nei centri abitati. E’ lì che la Resistenza aspetta le truppe scelte dell’invasore, ed è qui che Tsahal deve strappare la vittoria. Qui sta l’arrosto, il nerbo della Resistenza che gli spacconi sionisti hanno detto di spappolare, tutto il resto è fumo.
I sionisti si sono dunque fermati alle porte dell’inferno.
Anche ove volessimo escludere la tesi del bluff, non è possibile spiegare il rifiuto di andare all’assalto frontale delle posizioni della Resistenza se non ammettendo: 1. Che i comandi militari israeliani (ben più realisti della loro leadership politica ansiosa di una vittoria esemplare per non perdere le imminenti elezioni) sanno che undici giorni di terribii bombardamenti hanno si causato una indegna carneficina, ma per niente intaccato il nerbo più agguerrito della Resistenza, ovvero le quatro brigate dell’ Ezzedin Al Kassam (facenti cap ad Hamas) e le centinaia di guerriglieri componenti le Brigate Al-Quds (facenti capo alla Jihad Islamica), ma a cui occorre aggiungere almeno quindicimila combattenti i quali, seppure meno equipaggiati, non sono meno determinati delle unità scelte palestinesi; 2. Ne consegue che i Comandi sionisti non sono disposti a rischiare il tutto per tutto poiché temono che un’attacco frontale, casa per casa, bunker per bunker, vicolo per vicolo possa risolversi in uno scacco, come già accadde tra gli anfratti di Beirut sud nel 1982.
Alcuni commentatori sionisti, senza troppi peli sulla lingua, hanno già evocato Falluja, ovvero un approccio genocida di coventryzzazione per cui, pur di fare a pezzi le forze resistenti, si dovrebbe letteralmente radere al suolo Gaza city, Jabalyia, Khan Younis, Dayr al-Balh, Rafah. Ovvero, dato che contrariamente a Falluja la popolazione civile non può scappare da nessuna parte, montagne di cadaveri. Un genocidio di decine e decine di migliaia di palestinesi che Israele non può permettersi poiché le conseguenze politiche e militari sarebbero incalcolabilmente disastrose.
Vedo che numerosi giornalisti italiani si stanno già chiedendo: “Quale sarà adesso l’exit strategy” di Israele?
Questa domanda nasconde un tranello. E’ un tranello far credere ai lettori che Israele stia pensando alla “exit strategy”, con ciò accreditando l’idea che esso abbia centrato l’ obbiettivo e riempito il proprio paniere. Ma le cose non stanno così. Rimettiamo a fuoco l’obbiettivo conclamato dell’aggressione: decapitare Hamas, fiaccare in modo irreparabile la sua capacità di combattimento, distruggere la sua egemonia sul popolo palestinese,nella prospettiva di un regime change. Fino ad ora, in nessun senso, Israele ha raggiunto questo risultato. E’ quindi patetico supporre che i sionisti stiano pensando di portare all’incasso un successo che non hanno ottenuto sul campo.
Non soltanto la Resistena non ha subito colpi fatali, secondo fonti americane dall’inizio dell’aggressione dalla Striscia sono continuati a partire verso Israele razzi nella quantità di 40-50 al giorno. Nemmeno da questo punto di vista i sionisti, malgrado i propagandistici dispacci sulle “rampe missilistiche” debellate (ma come? non erano razzi facilmente trasportabili perché non necessitano di postazioni e rampe fisse?) hanno ottenuto un risultato eclatante, tale che possa giustificare proclamare anche solo una mezza vittoria. E per questo parlano di invasione prolungata, perché sperano che gli arsenali di Hamas e Jihad alla fine si svuotino, che non ci sia più nulla da lanciare.
Insito dunque affermando che Israele, ove non fosse in grado di schiacciare in tempi stretti e con un assalto in profondità il grosso della Resistenza, rischi di impantanarsi, per questo pensa, più che ad una “exit strategy”, ad una “tactic exit”, a come far uscire Tsahal indenne da Gaza. Quanto dico sarebbe confermato dalla notizia (scrivo nella serata del 6 gennaio) che Israele sarebbe disposto, pur senza aver ottenuto nanche la metà del suo obbiettivo, a firmare una tregua.
E se i sionisti cessassero le ostilità malgrado non abbiano spezzato le ossa ai “terroristi” di Hamas, ciò potrebbe attestare che questa guerra è stata, da parte sionista, una grande bufala, cioè che gli aggressori hanno bluffato proclamando che avrebbero fatto a pezzi la Resistenza palestinese. Quale quindi stata la loro reale intenzione? Ma fare esattamente ciò che hanno fatto! un massacro terroristico largamente indiscriminato nella speranza che questo (non la sesquipedale capacità militare) potesse indebolire l’egemonia popolare di Hamas se non addirittura produrre nel suo seno una spaccatura verticale, portando all’emarginazione della ala dura di Meshal-Haniye.
Raggiungerà questi due scopi politici la durissima offensiva israeliana? E’ presto per dirlo. Ma è evidente che ove il sostegno di Hamas restasse intatto, non solo a Gaza ma nel resto della Palestina e tra le masse degli arabi oppressi, e ove il gruppo dirigente restasse saldamente in mano all’ala combattente, questa aggressione consisterà, nonostante abbia certamente ferito la Resistenza, se non in una sconfitta come quella subita nel 2006 in Libano, in una vittoria di Pirro.