Ciao Mauro
Il 17 settembre, quattro mesi fa, ci lasciava, dopo una crudele e inesorabile malattia, il compagno Mauro Ciotti.
Nato a Foligno nel giugno del 1958 Mauro, come tanti negli anni ‘70, cominciò a gravitare nell’area della sinistra rivoluzionaria. Era la primavera del ‘77 e Mauro si avvicinò a quel gruppo di giovani trotskysti locali che allora si chiamava Gruppo Bolscevico Leninista, da poco uscito dalla sezione italiana della Quarta Internazionale. Da allora Mauro non si separò mai da quella battagliera comunità politica e ne condivise pienamente le faticose traversie come pure le svolte programmatiche, da quella che portò alla fondazione del Gruppo Operaio Rivoluzionario a Voce Operaia, fino allo scioglimento di quest’ultima e alla confluenza nel Campo Antimperialista.
Mauro non è mai stato un militante, uno che facesse politica a tempo pieno, ma te lo ritrovavi quasi sempre accanto nelle lotte sociali e politiche, in difesa dei lavoratori o della gioventù antagonista, o in quelle, squisitamente politiche, contro le locali consorterie di sinistra. Presenza che ha pagato sulla sua pelle, vivendo in uno stato di permanente precarietà esistenziale, poiché se sei un comunista rivoluzionario, un antimperialista, quelle consorterie ti dichiarano il peggiore degli ostracismi, quelli non dichiarati pubblicamente ma ancor più efficaci.
Mauro era in ogni senso uno studioso e quando non doveva arrabattarsi per tirare a campare, voleva stare sui libri, dedicandosi a ciò che più lo interessava, la storia ma specialmente la filosofia della politica, e più d’ogni altra cosa lo statuto della teoria marxista. Non uno studioso dottrinario però, o un topo di biblioteca, poiché Mauro era sempre informatissimo sulle vicende politiche, attentissimo alle dinamiche internazionali e nazionali, e sempre sapeva indicare quelle, apparentemente minuscole, ma cariche di significati culturali simbolici.
Ogni volta che lo incontravi ti stimolava con le sue analisi o le sue domande, sempre capace di ascoltare, prima ancora che di asserire.
Numerosi furono i suoi contributi scritti, prima al mensile Voce Operaia poi alla rivista PRAXIS, scritti in cui, gramscianamente, scavava nella storia italiana, a partire dalle vicende del Rinascimento in poi, allo scopo di svelare le specificità e le costitutive contraddizioni del capitalismo italiano, inteso come formazione politico-sociale, non solo come sistema economico.
Negli ultimi anni aveva abbracciato con convinzione la prospettiva antimperialista condividendo pienamente le battaglie compiute dal Campo Antimperialista.
Quando, un anno prima della sua scomparsa, erano apparsi i primi infallibili sintomi della sua incurabile malattia, decise, non senza stupirci, di entrare come militante nel Campo Antimperialista.
Un gesto esemplare, che aveva un doppio significato. Era anzitutto un gesto con cui Mauro segnalava che se proprio doveva andarsene voleva farlo da antimperialista e da comunista impenitente. Ma era pure un gesto di commovente autocritica, per dirci che mentre la sua sorte era appesa ad un filo, egli sentiva di non aver fatto abbastanza, che sarebbe voluto stare ancor più vicino ai compagni di una vita, la cosa più importante che gli rimanesse, oltre ai familiari.
E proprio l’abissale distanza tra la sua famiglia e i compagni ha segnato il rito d’addio. Mauro ci aveva espressamente indicato che non voleva un rito cattolico, che l’eventuale funerale si celebrasse in un modo sobrio e non religioso, certamente non in chiesa, com’era nella tradizione rivoluzionaria. Ma non fece in tempo a lasciare scritta questa sua volontà. Le sue energie lo hanno lasciato mentre di esse avrebbe più che mai avuto bisogno per l’ultima battaglia, quella fatale, quella per autodecidere come egli dovesse essere ricordato, se come comunista e antimperialsta o da un prete come un uomo qualunque.
I familiari l’hanno avuta vinta e noi, pur rispettando il loro dolore, non possiamo esimerci dal dire che Mauro, dopo una dolorosa malattia, ha dovuto subire un affronto, quello ai sui ideali.
Che queste poche righe di commiato servano almeno a riparare quel torto.
I compagni del Campo Antimperialista