I giochi non sono chiusi

E così, dopo tre settimane dall’inizio dell’aggressione Israele ha dovuto proclamare una tregua unilaterale, condizionata alla cessazione del lancio di missili e razzi, senza aver conseguito i suoi due obiettivi principali: il rovesciamento politico con conseguente cacciata di Hamas anche dal governo della Striscia di Gaza; il disarmo totale della Resistenza.

 

Hamas, giustamente, ha a sua volta dichiarato una tregua, a condizione che le truppe sioniste si ritirino dalla Striscia entro sette giorni e che vengano riaperti i valichi di confine.
Nessuna resa dunque, né politica né militare, come dimostra chiaramente il fatto che – nonostante la sua messa al bando attraverso le Liste Nere – è un interlocutore ascoltato e rispettato in diversi tavoli di trattativa e ha risposto militarmente agli attacchi che si sono verificati a nord della Striscia nonostante la tregua.

 

I giochi restano quindi aperti e ruotano su queste questioni cruciali: ritiro delle truppe entro sette giorni, successiva riapertura dei valichi che ponga termine all’assedio, controllo dei valichi stessi e gestione della ricostruzione con relativi fondi.
Israele su questi punti non ha preso nessun impegno; l’unica cosa certa è che ha preso accordi con gli Stati Uniti affinché il controllo della frontiera meridionale non sia gestito solo dall’Egitto. Il quale a sua volta rifiuta categoricamente la presenza di forze straniere sul suo territorio che abbiano appunto il compito di monitorare il confine con la Striscia.
Ed è alquanto improbabile che Hamas accetti simili presenze da lato palestinese del confine, dato che si tratterebbe di forze tutte schierate, salvo “distinguo” non molto significativi, con Israele e che i palestinesi tutti percepirebbero – giustamente – come forze di occupazione. Magari un po’ più soft, ma sempre di occupazione.

 

Altro nodo, tutto politico, è quello della gestione dei fondi per la ricostruzione dopo i devastanti attacchi. Sia gli Stati Uniti che l’Europa, rifiutando di riconoscere il pur legittimo governo di Hamas, vorrebbero o l’istituzione di una sorta di Comitato internazionale ad hoc o l’affidamento del compito alla Autorità Nazionale Palestinese – ANP, ostinandosi a non tener conto della sua sostanziale delegittimazione in seguito alle elezioni del 2006 e della sua successiva decadenza anche sotto il profilo formale. Infatti il mandato del presidente Abu Mazen è recentemente scaduto e a nulla valgono “leggine”  di proroga approvate in tutta fretta da un Consiglio Legislativo totalmente privo di rappresentanza, visto che la maggioranza dei deputati provenienti dalle fila di Hamas sono impossibilitati a partecipare alle sedute, o perché residenti a Gaza, o perché illegalmente detenuti da Israele o dalla stessa ANP, o perché comunque impediti negli spostamenti dai loro luoghi di residenza.
Hamas è intenzionato a tener duro anche su questo punto ed ha la legittimazione politica per poterlo fare.

 

I giochi restano quindi aperti, perché Hamas e la Resistenza non sono stati sconfitti né politicamente né militarmente.

 

La Redazione