Direzione PD
L’inevitabile approdo di Vendola & C.

di Leonardo Mazzei

Dunque tornano a Chianciano, dove 6 mesi fa hanno perso un congresso che pensavano vinto. Ma l’assemblea della minoranza vendoliana del Prc, che si riunirà nella cittadina termale questo fine settimana, non sarà il momento della riscossa. Verrà ufficializzata una scissione già in atto, verrà dato il via libera alla lista con Sinistra Democratica ed altre frattaglie arcobaleniche alle elezioni europee, ma con quali prospettive di medio (non diciamo lungo…) periodo? Il Manifesto, giornale che certo non gli è ostile, sintetizza così il loro momentaccio: <>, è il titolo dell’articolo del 9 gennaio che ne evidenzia il vuoto strategico oltre alla confusione interna.

Una scissione in tono minore
Che quella guidata dal governatore pugliese e benedetta dall’ex presidente della Camera sia una scissione in tono minore ce lo dicono alcuni fatti.
In primo luogo, contrariamente a tante previsioni – ma per la verità non alla nostra – si è visto come una minoranza del 47% sia risultata incapace di scalfire seriamente una maggioranza guidata da un segretario debole e traballante. Circostanza aggravata dall’eterogeneità della maggioranza, che va da ex componenti del governo Prodi, ai due tronconi in cui si è divisa l’area dell’Ernesto, fino alla piccola corrente di Falce e Martello. I vendoliani avevano con loro al congresso di luglio i due ex segretari, l’ex capogruppo alla Camera, il controllo assoluto di Liberazione, l’appoggio della stampa, il sostegno del Partito Democratico. Eppure non gli è bastato. Ci sarà pure una ragione di tanta inconsistenza politica.
In secondo luogo, arrivati al dunque, molti esponenti di rilievo della mozione 2 hanno deciso di scindersi dagli scissionisti, e con un loro documento hanno annunciato di rimanere nel Prc.
In terzo luogo – e questo è l’aspetto più importante che spiega gli altri due – la proposta politica degli scissionisti altro non è che la riproposizione di un’Arcobaleno ancora più debole e striminzito di quello già sbeffeggiato dagli elettori nello scorso aprile.
Una proposta così debole non poteva incrinare la pur confusa maggioranza che governa il partito. E la consapevolezza di questa fragilità si è fatta strada anche in una parte dell’area vendoliana, che ha così deciso di non correre rischi per il momento, restando dentro a Rifondazione sia per condizionarne la linea che per ritagliarsi un certo numero di posti che l’uscita di certo non gli garantirebbe.

Il pretesto Sansonetti
La plastica dimostrazione di questa inconsistenza politica ci è stata fornita dalla telenovela di Liberazione, ed in particolare dagli aspetti grotteschi che hanno accompagnato l’uscita di scena del direttore Sansonetti.
Costui – ma ovviamente non tutti i demeriti sono suoi – ha portato le vendite all’incredibile cifra di 5.300 (cinquemilatrecento) copie al giorno, realizzando nel contempo un buco di 3,5 milioni di euro all’anno. Facendo una semplice divisione possiamo così scoprire che ad ogni copia venduta corrispondevano due euro di deficit. Roba da Alitalia! Non parliamo poi delle sue performances politico-giornalistiche, simboleggiate dall’esaltazione dell’Isola dei famosi e di Grand Hotel.
Che il grosso della redazione abbia seguito e sostenuto fino alla fine un simile personaggio, con tanto di sit in di protesta e di feste d’addio, è solo l’ulteriore prova di un degrado generalizzato e senza freni.
La sostituzione di Sansonetti è stata in effetti una specie di psicodramma, alimentato dalla grande stampa oltre che dai lamenti dei vendoliani. Ma lo scontro più che sulla linea politica ed editoriale è andato a cascare sull’omofobia dello psicanalista Fagioli, maestro di un certo Bonaccorsi che è in trattativa con Ferrero per l’acquisto del giornale. In un’intervista di fine anno Fagioli – già noto alle cronache come “ispiratore” di Bertinotti – è stato definito dal governatore pugliese come <<guru melmoso e volgare>>. Insomma, pure la psicanalisi divide non solo il Prc, ma la stessa corrente vendoliana.
Con un dibattito siffatto, il particolare ha finito ovviamente per mangiarsi il generale (in questo caso gli orientamenti strategici), come spesso avviene quando quest’ultimo latita. Ed in questo caso latita assai.
Ed è proprio grazie a questa latitanza che il monumento alla superficialità rappresentato da Sansonetti si è trasformato in incredibile casus belli per dar corso ad una scissione evidentemente già decisa in altre sedi e per ben altri motivi.

Finezze bresciane
Per anni, nel Prc, la Camera del lavoro di Brescia è stata una sorta di mito. E lo fu anche quando – autunno 1997 – inviò a Roma una cinquantina di lavoratori ad implorare Bertinotti affinché non rompesse con il primo governo Prodi. Questo mito aveva i volti di due sindacalisti, Maurizio Zipponi e Dino Greco. Ma ora anche a Brescia sembra tirare un’ariaccia. Ecco come il vendoliano Zipponi (autore della trattativa interna alla maggioranza governativa che portò alla disastrosa legge sulle pensioni nel 2007) ha trattato Dino Greco, nel frattempo diventato il neodirettore di Liberazione, nella riunione della Direzione nazionale: <<Alla Camera del lavoro di Brescia ha sempre perso, perfino sul suo successore. Ci ha portati a 8 anni di rottura con la Fiom. Noi siamo contenti ma ora a Roma sono cazzi vostri>>  (dal Manifesto del 13 gennaio).  
Insomma, proprio quel che si dice un bel dibattito. Da sempre insulti e colpi bassi fanno parte della lotta politica, ma questi – che peraltro avevano teorizzato in chissà quanti convegni un’ipotetica nuova pratica politica – stanno andando un po’ oltre, mandando in onda il puro squallore di un ceto politico non si sa se più cieco o più marcio.

Se ne vanno, ma dove?
Torniamo allora alla domanda iniziale: se ne vanno, ma dove? Non ce lo dicono, si tengono aperte più strade, ma non è certo difficile immaginare se non l’itinerario certamente l’approdo. Ben prima dell’annuncio scissionista diramato da Giordano con un’intervista a la Repubblica avevamo previsto l’inevitabilità della scissione. Ora si tratta di capire meglio la direzione di marcia.
“Focosi, ma prudenti”, come i combattenti descritti da un poeta dialettale toscano, i vendoliani annunciano per adesso la nascita di una lista unitaria (il piccolo Arcobaleno), ma non di un partito che vedrebbe la luce solo dopo le elezioni europee. Già, ma quale sarà lo scenario dopo le elezioni europee?
Certamente sarà diverso da quello attuale, ma già ora si possono azzardare alcune previsioni nel campo del centrosinistra: a) un forte arretramento del Pd, b) un’affermazione dei dipietristi, c) una vittoria del Prc nello spareggio salvezza con la lista della “Sinistra” (si chiamerà così?).
La risultante di questi tre fattori è piuttosto evidente. Mentre nel Pd si aprirà anche formalmente il dopo-Veltroni, risulterà lampante l’assenza di spazio elettorale tra Pd e Prc. Quest’ultimo ne approfitterà da un lato per reimbarcare il Pdci, dall’altro per riproporsi come alleato di ferro con il “nuovo” Pd in vista delle regionali.
A quel punto il cerchio si chiuderà, ed ai vendoliani non resterà che ritagliarsi un piccolo spazio nel “nuovo” Pd, presentando la loro scelta proprio come contributo alla dinamicità della nuova situazione, una sorta di riedizione dello “stare nel gorgo” con il quale Ingrao motivò la sua permanenza nel Pds nell’ormai lontano 1991.

Non se ne vanno, perché?
Se la destinazione di quelli che se ne vanno dal Prc sembra essere già scritta, rimane da chiedersi quali siano le prospettive dell’area della mozione vendoliana che ha deciso di rimanere. Scorrendo i nomi dei vendoliani contro la scissione siamo certi che il loro motto sia: “Non c’è trippa per gatti”.
Fatta questa debita premessa, c’è però da chiedersi come cambieranno gli equilibri interni del Prc dopo la fuoriuscita di Vendola & C.
Intanto: cambieranno o non cambieranno? Non cambierebbero se l’operazione vendoliana avesse davvero un futuro indipendente dal Pd. In questo caso, a giudizio di chi scrive assai irrealistico, gli antiscissionisti manterrebbero il loro punto di riferimento all’esterno, pur continuando ad agire dall’interno del Prc con l’obiettivo di metterne in crisi la gestione per ribaltare l’esito del congresso. Lo scontro continuerebbe, ma la maggioranza resterebbe inalterata.
Ma siccome questa prospettiva strategica dei vendoliani proprio non la vediamo, gli antiscissionisti cominceranno ben presto a lavorare per rimescolare le carte nel Prc, sapendo di trovare orecchie ben attente a partire da quelle del segretario Ferrero. Ecco allora che gli equilibri interni entreranno in fibrillazione. Come non vedere la seria possibilità che gli antiscissionisti della destra del Prc finiscano per prendere il posto occupato oggi nella maggioranza dalle correnti dell’Ernesto (come già detto, divisa in due) e di Falce e Martello?
Fantapolitica? Vedremo.

Quel che è certo
Paradossalmente, con la scissione, il Prc avrebbe ora l’occasione di rilanciarsi come forza di opposizione, dopo mesi di penosa navigazione ferreriana. Si può essere invece certi che questa occasione andrà persa.
Nel paese il bisogno di opposizione è sempre più forte. Dunque lo spazio politico non mancherebbe. Quel che manca al gruppo dirigente del Prc è il coraggio. Gli manca il coraggio di rimettere in discussione la logica del “meno peggio”, gli manca il coraggio di effettuare l’operazione chirurgica di separazione netta dal Pd, gli manca il coraggio di pensarsi fuori dal recinto bipolare.
Questa mancanza di coraggio – che indica una paurosa subalternità culturale – può sembrare un dettaglio, ma non lo è. Si può modificare una linea politica, così come si modificano (spesso con fatica) i comportamenti umani; quello che non si può proprio modificare è il Dna. Ed il virus dell’opportunismo è ormai parte integrante del Dna del Partito della Rifondazione Comunista.
I sei mesi che ci separano dal congresso di luglio ce lo confermano in abbondanza: permanenza nelle giunte locali (anche in quelle più discusse), riconferma dell’alleanza con il Pd alle elezioni regionali in Abruzzo ed in Sardegna, posizione ambigua nelle mobilitazioni per Gaza.
La realtà è che mentre l’impianto strategico del bertinottismo è ormai saltato in aria, il gruppo dirigente del Prc continua ad essere sostanzialmente bertinottiano. Vorrebbe raccogliere la spinta all’opposizione, ma senza rompere veramente con il Pd. Ma salvare capra e cavoli questa volta è davvero impossibile, anche per questo il bertinottismo è morto.
Il bisogno di opposizione c’è, è sempre più forte, ma per ora prende altre strade (basti pensare al 50% di astensionismo in Abruzzo).
Potrà Rifondazione, proprio in virtù di queste considerazioni, svoltare più decisamente in senso radicale nel prossimo futuro? Improbabile. Le esperienze dei partiti comunisti di Francia e Spagna stanno a dimostrare come anche organismi un tempo grandi, ma corrosi dallo stesso virus dell’opportunismo, siano destinati a declinare inesorabilmente proprio perché incapaci di ripensarsi culturalmente e strategicamente.

Direzione PD
Sia chiaro, il Prc vincerà senz’altro la partita con il piccolo Arcobaleno. Ma di uno spareggio salvezza si tratterà, niente di più. Una piccola nicchia politico-elettorale verrà così salvaguardata in vista delle regionali del 2010. Per il ceto politico non è poco, per le prospettive generali è niente.
Le previsioni possono sempre essere smentite, ma ad oggi non è difficile intravedere un percorso parallelo verso il Pd di entrambe le componenti che si stanno contendendo le spoglie dell’Arcobaleno: i vendoliani a fare (insieme ad altri) l’ala sinistra di quel partito, il Prc a riproporsi come alleato in un nuovo schieramento di centrosinistra.
La meta decisiva di questo percorso saranno le elezioni regionali del 2010. Il Pd vive una crisi gravissima, ma i navigatori (ex?) arcobalenici di entrambe le sponde non conoscono altre mappe: direzione Pd. Sempre che il Pd sopravviva….