In occasione della cerimonia – decisamente pacchiana – di insediamento di Barak Obama i quotidiani nostrani strombazzano la chiusura di Guantanamo, elevata a simbolo delle “magnifiche sorti e progressive” che attendono il mondo intero dopo il cambio della guardia.

 

Attenzione! Intanto la chiusura della gabbie non rientra più fra i nodi cruciali da sciogliere nei fatidici primi cento giorni. Il neo presidente, per il momento, ha invitato i procuratori militari a presentare presso le Commissioni militari istanza di sospensione dei processi in corso fino al 20 maggio e ha decretato la chiusura del lager entro la fine dell’anno, dichiarando però che deve prender tempo per riesaminare tutto il sistema messo in piedi dopo l’11 settembre con il Patriot Act, a partire proprio dalle Commissioni militari.

Attualmente a Guantanamo ci sono 245 prigionieri; per 21 è stato chiesto il rinvio a giudizio e 14 fra questi sono già sotto processo. I restanti 224 stanno in galera “per ragioni di sicurezza” in quanto ritenuti pericolosi, senza che nessuno si sia degnato almeno di formulare i capi di imputazione. La maggior parte di queste persone poi sono state sequestrate dagli Stati Uniti in  altri Paesi, nei Paesi aggrediti e occupati, ma non solo (esemplare, in Italia, la vicenda di Abu Omar).

Negli Stati Uniti esperti e consiglieri vari, anche legati alla precedente amministrazione, suggeriscono la chiusura; lo stesso avviene in Europa.
Ma ciò che si invoca è una chiusura solo simbolica, consistente nel mero trasferimento dei prigionieri in altre galere magari un po’ più confortevoli, accompagnata da una serie di proposte tutte finalizzate a mantenere sostanzialmente inalterato il regime, a dir poco eccezionale, carcerario e processuale istituito appunto con il Patriot Act per i c.d. “nemici combattenti”, categoria creata allo scopo di aggirare le Convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra.

Anzitutto le Commissioni militari, del tutto al di fuori delle ordinarie Corti civili o militari: la proposta più insistente è quella di sostituirle con Corti della Sicurezza Nazionale, sul modello dei Tribunali Speciali per la Sicurezza dello Stato istituiti in Italia dal fascismo e successivamente ripresi dalla Turchia che solo recentemente li ha soppressi.

I “padri” del Patriot Act, l’avvocato Alan Dershowitz e il professor Viet Dinh, sono espliciti nel reclamare una chiusura solo simbolica del lager di Guantanamo, specificando che i detenuti trasferiti altrove non potranno essere comunque processati davanti alle Corti ordinarie di giustizia, civili o militari che siano. Entrambi insistono per la necessità di una giurisdizione ad hoc con regole ad hoc, che includano ovviamente l’uso dei “mezzi coercitivi”, cioè della tortura, e l’ammissibilità come mezzi di prova delle notizie apprese dagli “informatori segreti”, che non solo sfuggono al confronto in contraddittorio con l’imputato e con gli eventuali testimoni a difesa, ma non si sa neppure chi sono e se esistono davvero.

Quanto alle voci provenienti dall’Europa, è sintomatico il fatto che Dick Marty, il responsabile delle indagini condotte dal Consiglio d’Europa sulle prigioni fantasma della CIA, subito dopo aver dichiarato che l’America è tornata ad essere uno stato di diritto, in un’intervista al Corriere della Sera del 22 gennaio, sottolinea che occorreranno “tempo e creatività per studiare le misure più adatte”, in quanto si tratta di prigionieri “di fatto” esclusi da qualunque ordinamento. L’idea di trattarli secondo il diritto comune, civile o militare, interno o internazionale, neppure lo sfiora.

E, guarda caso, proprio un sistema fondato sulle Corti della Sicurezza Nazionale con regole ad hoc è allo studio dell’amministrazione Obama, che evidentemente nonostante i buoni propositi sbandierati in campagna elettorale non intende proprio rientrare nella  rule of law (stato di diritto nell’Europa continentale).

 

C’è poco da studiare e da riesaminare!
Se davvero Obama volesse davvero tornare alla rule of law (o stato di diritto) dovrebbe sopprimere con efficacia retroattiva  le Commissioni militari e tutto l’impianto normativo che ne regge il funzionamento, a partire dall’ammissibilità delle dichiarazioni o confessioni ottenute con “mezzi coercitivi” e delle “testimonianze “ rese dagli “informatori segreti” e dalle limitazioni imposte alla difesa in tema di accesso e verifica di prove e documenti. Non dovrebbe neppure pensare a un sistema di Corti della Sicurezza Nazionale o ad altri ordinamenti speciali. Dovrebbe rilasciare immediatamente tutte le persone sequestrate al di fuori del territorio degli Stati Uniti e pagar loro i danni morali e materiali, perché a nessun Paese è consentito “arrestare” a proprio piacimento persone che nel suo territorio non hanno mai neppure messo piede. Infine dovrebbe garantire asilo politico e protezione a tutti quelli che, rimpatriati, sarebbero imprigionati e torturati nei rispettivi Paesi per il solo fatto di esser stati detenuti a Guantanamo.

 

Dubito fortemente che Obama farà tutto questo.