Pubblichiamo questo interessante articolo di Angelo Baracca sui fondamenti etici della scienza, auspicando l’apertura di un dibattito su questo tema cruciale.

 

Scienza e tecnologia oggi: quale etica per il futuro

Angelo Baracca
Dipartimento di Fisica, Università di Firenze; Comitato “Scienziate e Scienziati Contro la Guerra”
 
«L’intelligenza superiore è un errore dell’evoluzione, incapace di sopravvivere per più di un breve attimo della storia evolutiva»
  [ERNST MAYR]
 
  Le sfide che l’umanità si trova ad affrontare, lo strapotere economico, gli strumenti sempre più potenti che la scienza sviluppa, impongono la necessità di un grande dibattito sociale sui fondamenti etici della conoscenza, della prassi scientifica, e dei legami della scienza con il potere.

  1. In primo luogo la scienza non è la forma superiore di conoscenza, per il suo metodo quantitativo rigoroso. É una forma di conoscenza fra le tante, dotata come tutte di un suo ambito e una sua specificità: ma non vi è una superiorità della scienza sulla poesia o la filosofia, dell’atteggiamento quantitativo su quello qualitativo o estetico: ciascun approccio è appropriato, e insostituibile, per i propri ambiti e scopi. É pericolosissima la pretesa di estendere l’impostazione quantitativa a qualsiasi disciplina, per renderla più “rigorosa” (la “qualità della vita” contiene aspetti intrinsecamente qualitativi; e sono noti i guasti provocati dall’abuso del Quoziente di Intelligenza).
  La scienza, inoltre, è un prodotto storico, di persone che operano in situazioni storicamente determinate, partecipi dei problemi sociali e culturali del loro tempo. I contenuti e  i metodi della scienza si sono profondamente trasformati con il tempo.
  Anche il rapporto tra scienza e tecnica è cambiato profondamente nelle situazioni storiche. Alle origini della rivoluzione industriale i nuovi fenomeni vennero scoperti con le invenzioni che la nascente borghesia introduceva ai fini del profitto e dello sfruttamento del lavoro (la macchina a vapore fu inventata da un fabbro), la scienza si sviluppò in modo subalterno, per spiegare i ritrovati tecnici: solo in una seconda fase dell’industrializzazione, alla fine del 19o secolo, la scienza assunse un livello e un’autonomia metodologica che le consentirono di diventare una guida per la stessa innovazione (le onde elettromagnetiche furono predette da Maxwell dalla teoria dei fenomeni elettrici e magnetici).
 
  2. La tecnica ha costruito una seconda natura, artificiale, che costituisce un diaframma rispetto alla natura: prodotti e dispositivi artificiali sono applicazioni di leggi naturali, ma incorporano meccanismi che sembrano eluderle. La tecnica sempre più sofisticata trasforma questo diaframma  in una vera barriera che non solo allontana la natura, anche la natura umana, ma la distorce. Intanto si allarga la voragine tra il crescente specialismo della scienza e della tecnica ed il livello delle conoscenze scientifiche della gente comune (ad esempio per le nuove scoperte della biologia, per la fisica quantistica): è sempre più problematica un’autonomia dell’individuo nella “tecnosfera”, condizionata da potenti interessi economici.
 
  3. Siamo invasi dall’ideologia del potere della scienza, dalle sue capacità illimitate per risolvere tutti i problemi (come lo eravamo dall’ideologia di autoregolazione del mercato!). È più che mai necessario invece riconoscere e analizzare i limiti della scienza, o almeno del suo sviluppo incontrollato. Questo non sminuisce la scienza: al contrario, il valore di qualsiasi strumento consiste nel sapere fin dove è valido e si può usare con fiducia.
  Il metodo della scienza per essere rigoroso e efficace deve selezionare o circoscrivere fenomeni o ambiti specifici dall’infinita varietà che la natura presenta. La potenza, indiscussa, di questo approccio ne chiarisce anche i limiti e le parzialità, perché necessariamente lascia fuori tanti altri aspetti. Il problema nasce, e può diventare molto grave, quando si ignorano, o si escludono, le relazioni tra questi ambiti. Cosa sono ad esempio gli “effetti collaterali”, o “indesiderati”, dei medicinali? (E sono ormai il grottesco attributo anche per le azioni militari “mirate”). Perché quegli effetti non erano stati studiati prima? Gli esempi sono innumerevoli: il vecchio caso del Talidomide; l’abuso di antibiotici che crea ceppi resistenti; la scoperta che il 97 % del DNA non codifica per proteine (è stato perfino chiamato junk), ma gioca un ruolo fondamentale nella regolazione dei geni; ecc.
  Nella società dell’informazione siamo sommersi da una mole di informazione che non siamo in grado di controllare. Scienza e tecnica promettevano di liberarci, con lo sviluppo, dalla necessità, dal lavoro, dalla fame nel mondo: mentre questi problemi si aggravano! Le grandi promesse dello sviluppo tecnico scientifico sono spesso contraddette dalla realtà.
 
  4. La scienza moderna, quantitativa e matematica è stata un prodotto storico della società occidentale nella fase di sviluppo del capitalismo e della rivoluzione industriale. Altre società avevano rivaleggiato con l’Occidente per contributi scientifici e tecnici (Cina, paesi arabi, ecc.), ma non ebbero il bisogno di sviluppare una scienza quantitativa.
  Da questa origine la scienza ha inglobato nei propri metodi la logica stessa del capitalismo, di sfruttamento della natura e del lavoro umano. Secondo l’ideologia dominante la scienza indaga la natura per conoscerla, ma il suo scopo è conoscerla per trasformarla per fini pratici (in larga misura economici) e sfruttarla: rimane in secondo piano qualsiasi preoccupazione per gli equilibri della natura, per i suoi ritmi, così diversi da quelli frenetici e voraci della nostra società. Questo atteggiamento è radicalmente diverso da quello di altre società, per le quali era essenziale il mantenimento dell’equilibrio e dell’armonia della natura, incluso l’uomo (la pachamama delle popolazioni indigene).
  Oggi si riscopre, ma rimane minoritaria, la necessità di un’impostazione olistica contrapposta a quella riduzionista.
 
  5. La logica di sfruttamento della natura, ignorando (o negando) i limiti della scienza, ha condotto ad una crescente contraddizione con la natura, ad una vera guerra alla natura: la scienza sembra essere divenuta lo strumento del novello “superuomo”, che dovrebbe conferirgli potere illimitato sulla natura! Lo scienziato troppo spesso si sente legittimato dalla potenza dei propri strumenti (o da potenti interessi) a modificare la natura ad libitum, trascurando i limiti delle sue conoscenze. Ma la natura presenta diversi livelli di organizzazione che ubbidiscono a leggi di grado diverso, intrinsecamente interdipendenti: la modificazione di elementi ad un livello spesso ha effetti imprevedibili sugli altri livelli. La natura reagisce con i propri meccanismi, che la scienza non dominerà mai completamente! Nei sistemi complessi, non lineari una piccola modificazione può ripercuotersi in modo imprevedibile sull’intero sistema (la metafora dell’«effetto farfalla»): vi sono soglie oltre le quali si innescano divergenze irreversibili.
  Così modifichiamo “scientificamente” il codice genetico, introduciamo sostanze e tecnologie di cui ignoriamo gli effetti sinergici e a lungo termine, per non parlare degli armamenti atomici con i quali prepariamo il nostro stesso olocausto!
  Mi sto convincendo che – come i contenuti stessi della scienza non sono neutrali, al di là dell’uso, buono o cattivo, che se ne possa fare – la stessa intelligenza superiore di homo sapiens lo ha condotto a contrapporsi alla natura, a violarne irrimediabilmente ritmi e meccanismi, a infrangere il percorso dell’evoluzione biologica: era evitabile il passaggio dalla capanna di paglia alla città di cemento? Ma la città si contrappone ai meccanismi naturali.
 
  6. Oltre ad introiettare la logica di sfruttamento della natura, questa scienza spesso si è asservita agli interessi economici, che accentuano i danni alla collettività umana e alla natura. Vi sono esempi eclatanti, come per i farmaci, ma bisogna rivolgere maggiore attenzione a settori in cui questi interessi sono meno evidenti. I meccanismi del profitto si esasperano, cercando di sfruttare qualsiasi cosa, dai servizi sociali fondamentali, alle basi vitali dell’esistenza (il caso dell’acqua), a componenti naturali quali il corredo genetico o antiche conoscenze popolari (analisi di Vandana Shiva sugli effetti della “rivoluzione verde”).
 
  7. Il caso più eclatante è la relazione tra scienza e guerra. Si parla di “libertà” della ricerca scientifica, ma si occulta che migliaia di scienziati lavorano in laboratori dedicati unicamente alla ricerca militare e di strumenti di morte! Oltre a quelli che lavorano per i militari con convenzioni in istituti universitari o di ricerca. Sicuramente la quota di finanziamenti (diretta e occulta) per questo settore è superiore a quella per la ricerca fondamentale e civile. Ma la situazione si aggrava dopo la fine della Guerra Fredda, in un’«economia di guerra» che sostiene le economie in crisi: l’equilibrio tra i due blocchi (ancorché “del terrore”!) auto-limitava lo sviluppo di armi completamente nuove, mentre nel mondo unipolare lo sviluppo di strumenti di distruzione non trova più limiti ed investe tutti i settori scientifici e applicativi.
 
  8. La “libertà” della scienza e della ricerca è quindi un mito, un’ideologia, spesso reclamata come pretesto per poter fare quello che si vuole, evitando ogni controllo. Ma le risorse disponibili (finanziarie, materiali, umane) sono limitate, per cui sono necessarie, e sempre avvengono, scelte di settori, campi, progetti. Il problema è chi sceglie, e come. Le logiche e le modalità delle scelte che vengono operate oggi sembrano le peggiori per la collettività. Sono convinto che sia giunto il momento di porsi il problema di un controllo sulla scienza e la ricerca scientifica e tecnologica.
  Capisco bene i pericoli del concetto di controllo della scienza, ricordando i sistemi totalitari. Si deve però osservare che la difesa della “libertà” assoluta della ricerca proviene soprattutto dagli scienziati delle università e dei centri di ricerca, un settore molto parziale anche se fondamentale (dominato peraltro da poteri gerarchici). Il tipo di controllo a cui mi riferisco è radicalmente diverso: penso a un controllo sociale, dal basso, sulle scelte scientifiche, le realizzazioni tecniche e le loro utilizzazioni, che si può fondare solo su una consapevolezza sociale, una cultura scientifica di massa, attraverso strumenti di formazione aperti e critici, con un ampio dibattito che coinvolga la società civile organizzata. Gli scienziati devono abbassarsi al livello della gente comune e discutere in termini accessibili e aperti il loro lavoro: non con formalismi matematici e paroloni roboanti, ma accettando finalmente di andare alla sostanza, di mettersi in discussione, di spogliarsi del concetto della conoscenza come potere. Tutto questo costituisce una sfida molto alta, ma credo che non ci siano alternative né scorciatoie, ne va del destino dell’umanità!