In risposta ai filo-cinesi sulla natura e le prospettive del sodalizio USA-Cina

di Moreno Pasquinelli

 

Con il PIL mondiale ai minimi storici, ovvero mai così basso dal 1945, si capisce come gli occhi fossero puntati sul recente vertice di Davos. Un vero e proprio rito apotropaico per cui, al capezzale della loro creatura gravissimamente malata, i parenti stetti, allontanati i medici le cui cure hanno contribuito ad aggravarne le condizioni, si sono messi a fare gli esorcismi, infilzando di spilli il bambolotto della sfiga. In questo psicodramma collettivo ha brillato Wen Jiabao, primo  ministro cinese, che da bravo neofita, allo scopo di tirar su il morale dei presenti, ha intonato lui l’ode alle magnifiche sorti e progressive del capitalismo offrendo una perla della saggezza scientifica cinese: «La primavera è dietro l’angolo».

 

Giusto una settimana prima di Davos i piani alti del capitalismo mondiale era stati scossi dalle affermazioni del nuovo segretario al Tesoro scelto da Obama, Tim Geithner, il quale aveva denunciato i cinesi di concorrenza sleale per tenere artatamente basso il valore dello Yuan. Geithner minacciava dunque che il neo-presidente avrebbe usato “aggressivamente tutte le vie diplomatiche per obbligare Pechino a cambiare strada”. L’annuncio, in altre parole, di una politica protezionistica, dell’adozione di dazi sull’export cinese.
La classica pisciata fuori dal vaso. C’è voluto Obama in persona, con una telefonata riparatrice a Wen Jiabao, a smentire il proprio segretario al Tesoro. La maniera come Obama si sarebbe giustificato la dice lunga sullo stato confusionale in cui versano gli attuali “padroni delle ferriere”. «Geithner avrebbe preso da Internet alcuni punti dei discorsi fatti durante la campagna elettorale senza alcuna autorizzazione da parte della Casa Bianca» (sic!). Obama avrebbe quindi sottolineato che gli USA continueranno a lavorare di concerto con la Cina per tutto il prossimo futuro.
Lo credo bene!
Cosa accadrebbe infatti nel caso la Cina rivalutasse lo Yuan e gli USA decidessero di scatenare una guerra commerciale con Pechino? Un indebolimento del dollaro e quindi un nuovo sconquasso per l’economia capitalistica, visto che il dollaro resta di gran lunga la principale valuta di riserva mondiale; ciò che implica sì una relazione di signoraggio globale decisamente vitale per gli USA, ma che inchioda la Banca centrale americana alle sue pesantissime responsabilità internazionali, per cui il bene degli USA non necessariamente equivarrebbe a quello di tutti.

 

Mica finisce qui! Il sodalizio affaristico sino-americano è talmente appassionato e aggrovigliato che una sua interruzione causerebbe lo sfacelo del capitalismo americano e, di conseguenza, l’implosione di quello mondiale. Il governo cinese infatti è il principale detentore del debito pubblico statunitense, ovvero il primo fornitore di ossigeno per il sistema finanziario USA. Ma si tratta di un rapporto biunivoco, di un sodalizio appunto. Se è vero la Cina rappresenta  l’insostituibile salvagente del capitalismo statunitense, non è meno vero che fu proprio per salvare le chiappe alla Cina che la Casa Bianca decise nell’autunno scorso, in barba ai dettami liberisti, di salvare le grandi società immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac. Se queste società fossero state lasciate fallire la Cina avrebbe  perso d’un botto qualcosa come 300 miliardi di dollari di obbligazioni investite in questi due gruppi. 300 miliardi di dollari sono tuttavia solo un quarto del valore delle obbligazioni (del Tesoro e non) che Pechino ha depositate negli USA, ciò che rappresenta un astronomico 60% delle riserve totali americane.
Vai a deprezzare il dollaro in queste circostanze! Nel caso di una svalutazione che avrebbe fatto evaporare il valore dei capitali cinesi investiti, Pechino avrebbe  avuto ben donde a presentare il conto, chiedendo cash al posto di obbligazioni oramai molto simili ad assegni ballerini.

 

I compagni che considerano la Cina, in virtù della natura ancora “comunista” del Partito-Stato e del ruolo centrale che questo detiene nella sfera economica, un paese “tutto sommato” ancora “socialista”, dovrebbero sentirsi in obbligo di spiegarci questo sodalizio. Normalmente, con contorsioni poco convincenti, essi ci spiegano che si tratta solo un inciucio affaristico che i “comunisti cinesi” conducono a loro vantaggio, preparando il terreno favorevole allo “scontro finale” con l’impero americano il quale, abbattuta l’URSS e ora momentaneamente impegnato in Medio oriente, considererebbe la Cina il proprio nemico principale di ultima istanza.

 

Come sopra detto il teorema dei filo-cinesi sul carattere antagonistico delle relazioni tra USA e Cina, e quindi sulla portata esclusivamente opportunistica (non strategica) del connubio affaristico tra i due paesi, si regge su un assioma, ovvero sul carattere immediato e auto-evidente dell’idea per cui il Partito-Stato sarebbe ancora “comunista” e dunque, assunto questo assioma, andrebbe da sé l’inoppugnabilità del teorema.
Ma le cose potrebbero stare altrimenti. Potrebbero stare che ove il Partito non fosse “comunista”, ma invece il Comitato d’affari di un capitalismo  di stato (modello Singapore alla decima potenza), la mandarinale casta dominante non solo starebbe usando cinicamente il “comunismo” come arma ideologica per cloroformizzare le masse, per legittimare politicamente il proprio assoluto predominio, per diventare infine, sul medio-lungo periodo, una potenza capitalistica di prima grandezza, ovvero imperialistica. Dando per buona questa seconda ipotesi, ognuno capirà che per quanto sia detestabile l’impero americano, non si possa simpatizzare per quello cinese in fieri. Che dunque si resti guardinghi, invitando le Resistenze a non fare la guerra per il Re di Prussia, né tantomeno a comportarsi come i polli di Renzo, che si azzuffano mentre americani e cinesi stanno decidendo come e quando accopparli.

 

Ove non bastasse il sodalizio affaristico a smentire le tesi de filo-cinesi di ultima generazione che in gioventù non erano maoisti ma quasi tutti filo-sovietici (che brutti scherzi gioca il sentirsi orfani di una grande potenza socialista!), vorremmo che essi spiegassero un “fatterello” che esula, come vedremo, dal bieco businness e riguarda invece, al massimo livello, la geo-politica.

 

A metà gennaio il Partito-Stato organizzava in pompa magna a Pechino una grande conferenza. Una cinquantina gli alti papaveri nordamericani erano presenti, tra essi quelli più influenti nell’entourage Obamiano, e non solo perché esperti in cineseria. Tanto per dire, c’erano Henry Kissinger (il demiurgo che ai tempi della guerra in Vietnam rese possibile la tacita alleanza sino-americana in funzione antisovietica) e Zbgniew Brzezinsky (accreditato come l’erede del primo e uno dei più brillanti e insidiosi geostrateghi americani). Il discorso di quest’ultimo è stato amplificato sulla stampa cinese, come a sottolineare un tacito consenso alle sue tesi. Ebbene, cosa ha detto Brzezinsky? Ha chiesto una fattiva collaborazione USA-Cina in Medio Oriente, Iran, Africa e in tutte le missioni di peace-keeping. Brzezinsky non l’ha detta tutta, ma sappiamo bene, perché lo va dicendo da trent’anni, quale sia la sua visione del mondo: egli ritiene necessario un patto strategico tra USA e Cina e si adopererà alla Casa Bianca affinché non solo vengano disinnescati tutti punti di crisi bilaterale (Taiwan anzitutto, ma pure Tibet, Xinjiang, Corea, Birmania). Un patto strategico che offra alla Cina lo Status di prima potenza asiatica, il che equivarrebbe a riconoscerle il rango di seconda potenza mondiale. Un ordine multipolare qualcuno potrebbe pensare. Nient’affatto! La riproposizione di un ordine bi-polare asimmetrico, ovvero un camuffamento di un sistema pur sempre monopolare, il cui epicentro resti negli USA ma che riconosca alla Cina il suo spazio vitale continentale (ferma restando l’inviolabilità del Giappone) e all’Euro-NATO il ruolo di primo comprimario della supremazia americana.

 

Chi saranno, dobbiamo chiederci, le vittime di questa conventio ad excludendum? Facile la risposta: tutti gli altri popoli e paesi, che se fosse per il Mali o la Guinea nessuno ci farebbe caso, ma qui si tratta della Russia (in primis), e di tutte le altre medie potenze che ambiscono ad un ordine multipolare e che per questo sperano nel sostegno cinese.
Nelle segrete stanze Brzezinsky avrà detto ai “comunisti” cinesi che questa sarà l’offerta della nuova leadership americana. Avrà chiesto dunque a Pechino di spezzare l’asse con la rinascente Russia putiniana, per isolarla, di abbandonare l’Iran; quindi proposto, a spese di Mosca, un accordo di reciproca convenienza per spartirsi l’Asia centrale, di cui l’Afghanistan è crocevia strategico e cuore. Avrà dunque spiegato ai “comunisti” cinesi che essi, in questo contesto, avrebbero tutto da guadagnare dall’annientamento della Resistenza afgana, visto che questa indomita Resistenza aiuta le altre fiaccole islamiche, dallo Xinjiang, al Pakistan, dall’India al Medio Oriente fino ai confini dell’Europa. Un patto strategico per schiacciare l’Islam, per stroncare le ambizioni russe, quindi per stabilizzare il mondo e dunque offrire al capitalismo un perimetro normalizzato nel quale esso possa svolgere i suoi traffici.

 

Non è dunque una casuale coincidenza che una settimana dopo questa conferenza Pechino abbia pubblicato, per la prima volta nella storia, un libro bianco sulle proprie forze armate in cui, oltre a svelare preziosi dettagli tecnici, si perora senza mezze parole l’idea di un’alleanza militare a largo spettro con gli Stati Uniti, nella speranza, citiamo: «… Che Cina e USA lavorino assieme per creare le condizioni favorevoli a promuovere il costante miglioramento e sviluppo dei legami tra i nostri apparati militari… Allo scopo di creare un ambiente di sicurezza favorevole per prevenire e disinnescare crisi, dissuadere dall’iniziare conflitti e guerre». Un evidente messaggio ad Obama, nonché a Putin.

 

Concludendo, non sostengo che Cina e Stati Uniti marceranno trionfalmente e di comune accordo nei prossimi decenni. E’ infatti da vedere se Pechino accetterà un posto subordinato nel quadro del bi-polarismo asimmetrico o se, invece, punti ad un equilibrio bi-polare perfetto. In questo caso il conflitto tra le due potenze potrebbe essere inevitabile. Però l’attuale sodalizio, a tutto vantaggio del capitalismo mondiale, avrà certamente un respiro di medio periodo e, se nel lungo periodo lo scontro divenisse il tratto principale, si tratterebbe di una competizione inter-imperialistica e non, come i filo-cinesi amano immaginare, tra due sistemi, uno capitalista e l’altro socialista.