Pubblichiamo un articolo che evidenzia molto bene la partita che si sta giocando in Afghanistan, paese di cui abbiamo più volte sottolineato il ruolo strategico per la realizzazione del “Grande Medio Oriente”. Tanto strategico da indurre Obama a ribadire, in modo quasi ossessivo, la necessità di aumentare l’impegno di tutti, Stati Uniti stessi in primis, nella “pacificazione” del paese e a dubitare dell’affidabilità del presidente fantoccio Karzai.

 

Lo stop della Russia agli Stati Uniti sulla rotta verso l’Afghanistan*

di M. K. Bhadrakumar

 

Preciso, rapido, mortale: sono solo queste le competenze richieste a un soldato. Ma il capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, il Generale David Petraeus, è più di un soldato. Il mondo si sta abituando a considerarlo quasi uno statista. Certo, la seduzione della guerra fa ancora presa su di lui, ma ci si aspetta anche che sia consapevole delle realtà politiche delle due guerre che sta conducendo, in Iraq e in Afghanistan.
Ecco perché ha fatto un passo falso, lo scorso martedì, quando durante una visita in Pakistan ha detto che l’esercito americano si era assicurato degli accordi per far transitare i rifornimenti verso l’Afghanistan da nord, allentando la pesante dipendenza dalla rotta pakistana. “Sono stati raggiunti degli accordi, e adesso ci sono linee di transito e accordi di transito per rifornimenti e servizi che coinvolgono diversi paesi centro-asiatici e la Russia”, ha dichiarato Petraeus.
È stato inutilmente preciso, come un soldato. Forse doveva impressionare i generali pakistani facendo loro capire che non avrebbero potuto continuare ancora a lungo a tenere in ostaggio le forze statunitensi in Afghanistan. Oppure era semplicemente esasperato dall’ambiguità e la doppiezza dei generali del sud-ovest asiatico.
Un’impressionante valutazione dell’intelligence russa resa nota da Mosca rivela che quasi la metà dei rifornimenti statunitensi che passano attraverso il Pakistan viene rubata da un miscuglio di militanti talebani, venditori ambulanti e semplici ladri. L’esercito degli Stati Uniti viene rapinato alla luce del sole e non può farci molto. Quasi l’80% di tutti i rifornimenti diretti in Afghanistan passano attraverso il Pakistan. Il bazar di Peshawar ospita un florido commercio di articoli militari statunitensi rubati, come negli anni Ottanta durante il jihad afghano contro l’Unione Sovietica. Questo volume di affari registrerà un poderoso balzo in avanti con il raddoppio dei soldati americani in Afghanistan, che saliranno a 60.000. Le guerre sono essenzialmente delle tragedie, ma non mancano di lati comici.

 

Mosca smentisce

In ogni caso, un giorno dopo le affermazioni di Petraeus Mosca si è affrettata a correggerlo. Il vice ministro degli Esteri Aleksej Maslov ha dichiarato all’Itar-Tass: “Alla missione permanente della Russia alla NATO non è stato sottoposto alcun documento ufficiale che certifichi che la Russia ha autorizzato gli Stati Uniti e la NATO a trasportare merci militari attraverso il paese”.
Il giorno dopo l’ambasciatore della Russia alla NATO, Dmitrij Rogozin, ha aggiunto da Bruxelles: “Non sappiamo niente del presunto accordo della Russia sul transito dei rifornimenti militari degli americani o della NATO. Ci sono state indicazioni in tal senso, ma non sono state formalizzate”. E con un tocco di ironia Rogozin ha insistito che la Russia desiderava il successo dell’alleanza militare in Afghanistan.
Posso responsabilmente dire che, nel caso di una sconfitta della NATO in Afghanistan, i fondamentalisti ispirati da questa vittoria punteranno a nord. Prima colpiranno il Tagikistan, poi cercheranno di entrare nell’Uzbekistan… Se le cose vanno male, nel giro di dieci anni i nostri ragazzi dovranno combattere estremisti islamici ben armati e ben organizzati da qualche parte del Kazakistan”, ha aggiunto il popolare politico moscovita passato alla carriera diplomatica.
Gli esperti russi hanno fatto sapere che Mosca guarda con inquietudine alle trattative degli Stati Uniti con i paesi centro-asiatici per la firma di accordi di transito bilaterali che escludano la Russia. Sono stati raggiunti accordi con la Georgia, l’Azerbaigian e il Kazakistan. Mosca capisce che gli Stati Uniti continuano a mirare a una nuova rotta di transito caspica che comporti il passaggio dei rifornimenti attraverso la Georgia verso l’Azerbaigian, da lì al porto kazako di Aktau e attraverso il territorio uzbeko all’Amu Darya fino all’Afghanistan settentrionale.
Gli esperti russi stimano che la rotta di transito caspica possa diventare una rotta energetica nella direzione opposta, e questo equivarrebbe a una sconfitta strategica per la Russia nella decennale lotta per le riserve di idrocarburi della regione.

 

La Russia preme per avere un ruolo a Kabul

Effettivamente l’Uzbekistan è il paese-chiave dell’Asia Centrale nel grande gioco per la rotta di transito settentrionale verso l’Afghanistan. Durante la visita del Presidente russo Dmitrij Medvedev a Taškent, la scorsa settimana, l’Afghanistan è stato un argomento cruciale. Medvedev ha caratterizzato le relazioni russo-uzbeke come un’ “alleanza e partenariato strategico” e ha detto che sulle questioni relative all’Afghanistan la cooperazione di Mosca con Taškent assume un’ “importanza eccezionale”.
Ha anche detto che con il Presidente uzbeko Islam Karimov c’è accordo sul fatto che non possa esserci alcuna “soluzione unilaterale” al problema afghano e che “non è possibile risolvere nulla senza prendere in considerazione l’opinione collettiva di stati che hanno un interesse nella risoluzione della situazione”.
Ma soprattutto Medvedev ha sottolineato che la Russia non ha obiezioni in merito all’idea del Presidente Barack Obama di collegare i problemi dell’Afghanistan e del Pakistan, ma per una ragione del tutto diversa, in quanto “non è possibile esaminare la creazione e lo sviluppo di un sistema politico moderno in Afghanistan isolandolo dal contesto della normalizzazione delle relazioni tra l’Afghanistan e il Pakistan nelle regioni di confine tra i due paesi, mettendo in moto gli adeguati meccanismi internazionali e via dicendo”.
Mosca tocca raramente la delicata questione della Linea Durand, cioè il controverso confine che separa l’Afghanistan e il Pakistan. Medvedev ha sottolineato che la Russia resta parte in causa, in quanto “è necessario far sì che questi problemi vengano risolti su base collettiva”.
In secondo luogo, Medvedev ha messo in chiaro che Mosca resisterà ai tentativi degli Stati Uniti di espandere la propria presenza politica e militare nelle regioni centro-asiatiche e del Caspio. Ha affermato infatti: “Questa è una regione-chiave, una regione in cui si svolgono diversi processi e nella quale la Russia ha un lavoro cruciale da svolgere per coordinare le nostre posizioni con i nostri colleghi e contribuire a trovare soluzioni comuni ai problemi più complessi”.
In parole povere, Mosca non consentirà che si ripeta la tattica degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001, quando vollero imporre una presenza militare in Asia Centrale come misura temporanea e poi procedettero freddamente a trasformarla in una base d’appoggio a lungo termine.

 

Karzai guarda a Mosca

È interessante che le affermazioni di Medvedev coincidano con la notizia secondo la quale Washington starebbe abbandonando il Presidente afghano Hamid Karzai e progettando di istallare un nuovo “dream team” a Kabul.
Medvedev aveva scritto a Karzai offrendogli assistenza militare. Karzai ha apparentemente accettato l’offerta russa, ignorando le obiezioni degli Stati Uniti secondo cui in base ad accordi segreti tra USA e Afghanistan Kabul doveva ottenere il consenso di Washington prima accordarsi con paesi terzi.
Una dichiarazione rilasciata lunedì scorso dal Cremlino diceva che la Russia è “pronta a fornire ampia assistenza a un paese indipendente e democratico [l’Afghanistan] che conviva con i suoi vicini in un’atmosfera pacifica. La cooperazione nel settore della difesa… contribuirà efficacemente a instaurare la pace nella regione”. Per Kabul ha senso stringere accordi militari con la Russia, dato che le forze armate afghane usano sistemi d’arma sovietici. Ma Washington non vuole una “presenza” russa a Kabul.
Ovviamente Mosca e Kabul hanno sfidato il segreto potere di veto degli Stati Uniti sulle relazioni esterne dell’Afghanistan. Lo scorso venerdì a Mosca si sono incontrati diplomatici russi e afghani, i quali si sono “impegnati a continuare a sviluppare la cooperazione russo-afghana in ambito politico, commerciale ed economico, nonché nella sfera umanitaria”. Significativamente, hanno anche “rilevato l’importanza della Shanghai Cooperation Organization [SCO, Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, anche nota come Gruppo di Shanghai, N.d.T.]”, che è dominata dalla Russia e dalla Cina.

 

La SCO vuole un ruolo nella risoluzione del problema afgano

Washington non può censurare apertamente Karzai impedendogli di avvicinarsi alla Russia (e alla Cina), giacché l’Afghanistan è teoricamente un paese sovrano. Nel frattempo, Mosca sta assumendo un ruolo nelle aspirazioni di Kabul all’indipendenza. Mosca ha intensificato i propri sforzi per ospitare una conferenza internazionale sull’Afghanistan sotto l’egida della SCO. Gli Stati Uniti non vogliono che Karzai legittimi un ruolo della SCO nel problema afghano. Ed è qui che sorge l’attrito.
Il 14 gennaio Mosca ha ospitato un incontro tra i vice ministri degli Esteri dei paesi membri della SCO (Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan). Il ministero degli Esteri russo ha in seguito annunciato una conferenza prevista per la fine di marzo. L’iniziativa russa ha ricevuto grande impulso grazie alla decisione di Iran e India di partecipare alla conferenza.
Nuova Delhi ha accolto con favore l’opportunità di svolgere un ruolo più importante come membro osservatore della SCO e intende “partecipare maggiormente” alle attività dell’organizzazione. In particolare, Nuova Delhi ha “espresso interesse a prendere parte alle attività” del gruppo di contatto della SCO sull’Afghanistan.
La grande domanda ora è: Karzai coglierà queste tendenze regionali e risponderà all’apertura della SCO, liberando Kabul dalla morsa di Washington? Di certo Washington è in corsa contro il tempo per produrre un “cambiamento di regime” a Kabul.
Il fatto è che un numero sempre maggiore di paesi della regione trovano difficile accettare il monopolio statunitense sulla risoluzione del conflitto in Afghanistan. Washington faticherà a dissociarsi dalla conferenza della SCO prevista a marzo e avrebbe idealmente voluto che anche Karzai se ne fosse tenuto lontano, pur trattandosi di una iniziativa regionale a pieno titolo che coinvolge tutti i vicini dell’Afghanistan.
Sicuramente la SCO metterà l’Afghanistan all’ordine del giorno del vertice annuale che si terrà ad agosto a Ekaterinburg, in Russia. Pare che in questa fase Washington non sia in grado di distogliere la SCO dal suo proposito, a meno di coinvolgere le potenze regionali nella ricerca di una soluzione del problema afghano e consentire loro di parteciparvi appieno com’è loro legittimo interesse.
L’attuale linea di pensiero statunitense, d’altro canto, è orientata a stringere “grandi accordi” bilaterali trattando separatamente con le potenze regionali e impedendo loro di coordinarsi collettivamente sulla base di preoccupazioni e interessi condivisi. Ma le potenze regionali vedono il piano degli Stati Uniti per quello che è: un’astuta mossa del solito divide et impera..

 

Mosca respinge l’impegno selettivo

Senza dubbio queste manovre diplomatiche rivelano anche il deficit di fiducia nelle relazioni russo-americane. Mosca esprime ottimismo sulla capacità d Obama di affrontare in modo costruttivo i problemi accumulatisi nei rapporti USA-Russia. Ma non si è parlato di Russia né nel discorso di insediamento di Obama né nel documento sulla politica estera che espone il suo programma.
Lo scorso martedì il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha così sintetizzato le aspettative minime di Mosca: “Spero che gli elementi controversi delle nostre relazioni, come la difesa anti-missile, l’opportunità dell’allargamento della NATO… verranno risolti sulla base del pragmatismo, senza la presa di posizione ideologica che ha caratterizzato l’amministrazione uscente… Ci siamo accorti che… Obama era disposto a prendersi una pausa sulla questione della difesa anti-missile… e a valutare la sua efficacia e la sua efficienza in termini di costi”.
Ma la Russia non è tra le priorità della nuova amministrazione statunitense. Inoltre, come osservava la scorsa settimana l’influente quotidiano Nezavisimaja Gazeta, “Un consistente numero di congressisti [statunitensi] di entrambi i partiti ritengono che la Russia abbia bisogno di una lavata di capo”. L’attuale priorità della Russia sarà di organizzare presto un incontro tra Lavrov e il Segretario di Stato Hillary Clinton, e prima di questo incontro tutte le questioni – compresa quella spinosa della rotta di transito verso l’Afghanistan – resteranno in sospeso.
Pertanto, nella conferenza stampa di Taškent Medvedev ha acconsentito in linea di principio a concedere agli Stati Uniti il permesso di usare una rotta di transito verso l’Afghanistan che passi per il territorio russo, ma al contempo ha precisato che “Questa dev’essere una cooperazione a tutti gli effetti e su base paritaria”. Ha ricordato a Obama che la strategia del “surge” – l’aumento del livello di truppe in Afghanistan – potrebbe non sortire gli effetti auspicati. “Speriamo che la nuova amministrazione abbia maggiore successo di quella che l’ha preceduta nelle questioni relative all’Afghanistan”, ha detto Medvedev.
Evidentemente Petraeus ha trascurato il fatto che l’inutile ostinazione con cui gli Stati Uniti mantengono il controllo geopolitico dell’Hindu Kush, proprio nel cuore dell’Asia, è diventata una questione controversa. Indipendentemente dai bei discorsi, l’amministrazione Obama troverà difficile sostenere il mito che la guerra afghana serva esclusivamente a sconfiggere una volta per tutte al-Qaeda e i taliban.

 

*Articolo originale pubblicato il 27/1/2009: Russia stops US on road to Afghanistan

Traduzione di Manuela Vittorelli, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica.
URL di questo articolo su Tlaxcala: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=6941&lg=it

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