Un fogliaccio e i sui padroni
Per almeno tre anni il quotidiano Libero si è occupato di noi con una costanza davvero encomiabile. Per una volta vogliamo occuparci noi di Libero.
Una settimana fa il proprietario del fogliaccio in questione, Giampaolo Angelucci, è stato arrestato (arresti domiciliari, ci mancherebbe) per un reato che ha poco a che fare con la libertà di stampa che trasuda dal nome della testata: truffa ai danni del servizio sanitario nazionale per la cifretta di 170 (centosettanta) milioni di euro in circa due anni di attività di due delle sue 25 cliniche.

Per il padre dell’arrestato, il parlamentare del Pdl Antonio Angelucci, è stata richiesta l’autorizzazione a procedere. Questa vicenda, enorme per l’entità della truffa, per il coinvolgimento di personaggi di primo piano, per i risvolti amministrativi (Regione Lazio) e per i legami politici e mediatici (Libero e non solo) ha occupato le pagine dei giornali per un giorno, massimo due per alcune testate. Chissà perché!
L’Italia è il paese dei “casi”. “Caso Englaro”, “caso Battisti”, giusto per citare i più recenti, ma basta ricordare tra gli altri il “caso di Cogne” per capire che stiamo parlando di un fenomeno mediatico assai radicato. Quello di una gigantesca truffa alla sanità, che ci offre una fotografia assai attendibile di come funziona l’Italia di oggi, invece non è un “caso”. Sarà un caso?  

Corruzione dilagante e bipartisan
Che il rapporto tra sanità privata, Regioni e servizio sanitario nazionale sia incentrato sul malaffare non è certo una scoperta di oggi. Per intuire questo intreccio perverso non è necessario leggere le carte processuali di questa o quell’inchiesta, essendo sufficiente anche solo qualche sporadica frequentazione del “pianeta sanità” per rendersene conto. Che poi questa situazione venga passivamente accettata da un popolo rassegnato ed in letargo è un altro discorso, ma questa è la realtà.
Del resto, non più tardi di sei mesi fa un’altro scandalo sanitario ha travolto la Giunta regionale abruzzese portando in carcere Ottaviano Del Turco. Il “re” delle cliniche abruzzesi si chiamava (e si chiama) Angelini. Nel Lazio (e non solo) si chiama invece Angelucci: truffe sì, ma sempre angeliche. 
Ciò che emerge da queste inchieste è proprio la normalità sia della truffa che della corruzione, dato che la prima non potrebbe concretarsi senza la seconda. Una corruzione diffusa, radicata, scontata e rigorosamente bipartisan. Così è stato in Abruzzo, ma così sembra essere anche nel caso Angelucci.
Il padre Antonio, fondatore dell’impero, è deputato del Pdl, ma alla Regione Lazio governa il centrosinistra e dalle intercettazioni telefoniche risultano losche manovre concordate con membri di quella Giunta per non avere intralci di sorta.
Gli Angelucci sono sì proprietari di Libero, ma anche del Riformista, mentre la trattativa per l’acquisto de l’Unità abortì nell’autunno 2007 solo all’ultimo minuto.
Bipartisan anche i legami politici, basti pensare alle illuminanti dichiarazioni (Corriere della Sera del 5 febbraio) dell’ex tesoriere dei Ds, l’ineffabile on. Sposetti. Parlando degli Angelucci, Sposetti ricorda che fu grazie a quella famiglia che vennero risanati i conti davvero malmessi dei Ds. Insomma, dei benefattori! Ovviamente in cambio dei soldi gli Angelucci portarono a casa la mitica sede del Bottegone (a chi credevate l’avessero venduta?) ed altri 44 immobili di prestigio in giro per l’Italia.
Ma Sposetti va oltre. “Gli Angelucci si dimostrarono persone perbene”, “Con Giampaolo siamo amici, è chiaro”. Certo, ognuno si sceglie gli amici che vuole, ma “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”…
Per completare, bipartisan sono anche gli avvocati difensori: a Franco Coppi si affianca infatti il democratico Guido Calvi.

La “libera” stampa
Dice l’ordinanza del gip di Velletri, Roberto Nespeca, che gli Angelucci hanno messo in atto una “strategia tesa a ottenere il massimo profitto economico”, utilizzando a questo scopo anche i giornali posseduti. Scrive infatti il gip che: “I mezzi di informazione sono stati strumentalizzati per poter perseguire i propri obiettivi”.
Beh, in effetti ci saremmo stupiti del contrario. Ma sia Vittorio Feltri, direttore di Libero, che Antonio Polito, direttore del Riformista, hanno reagito ovviamente sdegnati per così basse insinuazioni di fronte alla loro specchiata deontologia professionale. “Mai fatto lobby”, ci mancherebbe! Eppure come si prestano bene i giornali, ed in particolar modo i giornalacci scandalistici, quando si tratta di condurre campagne mirate contro questo o quel personaggio sia che si tratti di bruciarlo o di indurlo a collaborare!
Ma se la difesa di Feltri e Polito era un dovere d’ufficio, più significativo è il soccorso arrivato dalla plancia di comando del Corriere della Sera, che ha chiesto all’editorialista Ostellino di esercitarsi in un’attività certamente prevista dal contratto ma non per questo sempre agevole: arrampicarsi sugli specchi.
Ostellino ha cercato di fare del suo meglio anche se con scarsi risultati. Con un editoriale intitolato “Quell’errore dei magistrati”, dopo essersela presa con l’ordinanza del gip laddove dice che gli Angelucci “consapevoli di poter superare qualunque ostacolo…potendo orientare l’informazione ai loro fini”, sputa la sua sentenza di giornalista immacolato: “Nella mia lunga vita professionale, qui al Corriere, ho avuto editori “puri” e “impuri”: nessuno ha mai cercato di trasformare noi di Via Solferino – che in ogni caso, come si dice a Milano, lo avremmo mandato a “scopare” il mare – in lobbisti”.
Credibile no? Le attività lobbistiche esistono solo all’estero? Ma non ci eravamo sprovincializzati?
Resta il fatto che l’ammiraglia della “libera stampa” ha ritenuto di dover sparare un colpo. Dopo di che silenzio assoluto.

Al servizio di più padroni, ma di uno in particolare
Si tratta solo di un atteggiamento corporativo? A ben pochi sfugge che la casta dei giornalisti non sia seconda a nessuno, ma certamente essa non è estranea agli intrallazzi dell’altra casta rappresentata dal ceto politico bipartisan. Ed ancor meno è estranea alle manovre degli apparati dello Stato.
Abbiamo ricordato all’inizio che per noi questa vicenda ha, oltre all’evidente interesse generale, anche un interesse più specifico, visto che chiama in causa un fogliaccio che si è dedicato sistematicamente per diversi anni ad attaccare il Campo con insinuazioni e falsità di tutti i tipi.
E ci viene in mente che alle bordate di Libero seguivano quasi sempre quelle del Giornale. Ma a chi passavano la palla costoro? Al vicedirettore del Corriere della Sera, quel Magdi (ora anche Cristiano) Allam vero professionista della menzogna. Un caso? Pura convergenza giornalistica, o rispondevano tutti allo stesso padrone?
Nell’estate 2006 divenne di pubblico dominio una cosa che sospettavamo da tempo. Il vicedirettore di Libero, quel sant’uomo di Renato Farina che tanto del suo tempo ci aveva dedicato, era un collaboratore del Sismi. Agente “Betulla” il suo nome in codice, l’addetto alla disinformazione Pio Pompa il suo diretto superiore.
Da quella vicenda emersero anche altri nomi di “giornalisti” nell’elenco dei collaboratori del Sismi, diversi dei quali resisi protagonisti delle campagne di stampa contro il Campo Antimperialista. Avemmo così la conferma di chi costruiva le veline, le “analisi”, gli articoli prefabbricati che ci venivano scagliati contro.
Ci sembra giusto ricordarlo oggi, di fronte alla ridicola alzata di scudi della casta giornalistica nel caso Angelucci. Ma ci sembra anche necessario ricordare che oltre al padrone-proprietario, c’è molto spesso anche un altro padrone: lo Stato con i suoi apparati, perché possiamo esser certi che anche oggi qualcuno sta continuando nell’ombra, ma ben pagato, il lavoro di Pio Pompa.