Il ruolo nefasto delle ONG e la crisi del forum sociale mondiale

Come Campo non abbiamo mai fatto parte del Forum sociale mondiale. La ragione è presto detta: perché il FSM, oltre a non aver ha mai dato autentico diritto di cittadinanza alla Resistenze, non solo quelle mediorientali, era sin dall’inizio infestato, oltre che di molte ONG colluse con il sistema neocoloniale di rapina, da partiti imperialistici o cosiddetti socialdemocratici. Il collante che ha tenuto assieme un arco così ampio era infatti la “non-violenza”. A causa di questa sua costitutiva menomazione, gli antimperialisti hanno dovuto organizzare loro propri forum mondiali, da quello di Mumbay nel 2004, a quello di Beirut del gennaio scorso. Pubblichiamo qui sotto la critica di uno degli esponenti di spicco dei Sem Terra brasiliani, che sono stati tra i fondatori del FSM. E’ una critica parziale, che non tocca i principi fallaci del FSM e che pur tuttavia è sintomatica, perché svela che il Fotum di Belém è stato, contrariamente a quanto vanno dicendo alcuni socialforumisti incalliti, un fiasco.

 

Bilancio del Forum di Belém e dell’altro mondo possibile

di Emil Sader*

 

Il bilancio del Social forum mondiale [Sfm] non va fatto in funzione di se stesso. Il Sfm non nacque infatti come un fine in se stesso, ma come strumento di lotta per la costruzione di un “altro mondo possibile”. Da tale punto di vista, qual è il bilancio che si può fare del Sfm di Belém, sotto il profilo della costruzione di questo “altro mondo”, che non è altro che il superamento del neoliberismo, per un mondo postneoliberistico?

 

Due foto sono significative dei dilemmi del Sfm: una, con i cinque presidenti che sono comparsi nel Sfm – Evo Morales, Rafael Correa, Hugo Chávez, Lugo e Lula – con le mani in alto; l’altra, fredda e burocratica con i rappresentanti delle Ong [Organizzazioni non-governative] brasiliane, nell’intervista in cui annunciano il Sfm. Nella prima, governi che, a livelli diversi, pongono in pratica delle politiche che hanno caratterizzato il Sfm sin dalla nascita: Alba, Banco del Sur, priorità delle politiche sociali, controllo della circolazione del capitale finanziario, Operación Milagro, le campagne che hanno posto termine all’analfabetismo in Venezuela e in Bolivia, la formazione delle prime generazioni di medici poveri nel Continente tramite le Scuole latinoamericane di Medicina, Unasul, il Consejo sudamericano de seguridad, il gasdotto continentale, Telesur, tra le altre. È il volto nuovo e vittorioso del Sfm, dato dai progressi nella costruzione del postneoliberismo in America latina.

 

L’altra foto è con le Ong, entità la cui natura è molto contestata, per il loro carattere ambiguamente “non-governativo”, per la naura non sempre trasparente dei loro finanziamenti, delle loro “associazioni”, dei loro meccanismi di reddito e di selezione dei dirigenti, al punto che, in paesi come Bolivia e Venezuela tra gli altri, le Ong si raggruppano maggioritariamente nell’opposizione di destra ai governi. La loro stessa attività, nello spazio che esse definiscono come “società civile”, non fa altro che aumentare queste ambiguità. Sono entità che ebbero un ruolo importante agli inizi del Sfm, ma che ne hanno monopolizzato la direzione, costituendosi, in maniera totalmente non-democratica, come maggioranza del Segretariato originale, lasciando in minoranza movimenti sociali, ampiamente rappresentativi, come la Cut [il principale sindacato brasiliano] e il Mst [movimento dei Sem Terra].

 

A partire dal momento in cui la lotta antineoliberistica è passata dalla fase difensiva alla battaglia per l’egemonia e per la costruzione di alternative di governo, il Sfm si è scontrato con l’alternativa di restare ancora sotto la direzione delle Ong o di trasferire finalmente il protagonismo ai movimenti sociali.

 

Nel Sfm di Belém abbiamo avuto il primo lato dell’alternativa, al momento di quell’intervista collettiva, fredda e burocratica, delle Ong. Ma come contropartita abbiamo avuto l’altro lato, il volto reale e formidabile dei popoli indigeni e del Foro panamazzonico, dei movimenti contadini e Via campesina, dei sindacati e del mondo del lavoro, dei movimenti femministi e della Marcia mondiale delle donne, dei movimenti dei neri, degli studenti, dei giovani – confermando con tutti costoro che essi sono la grande maggioranza dei protagonisti del Sfm.

 

Il Sfm si è svolto tra le due alternative: tra la ricchezza, la diversità e la libertà dei suoi spazi di dibattito e le rigidità delle Ong, riflesse nell’atomizzazione assoluta dei temi, nell’inesistenza di priorità, come per esempio la terra, l’acqua, l’energia, il controllo del capitale finanziario, la guerra e la pace, il ruolo dello Stato, la democratizzazione dei media. Domande su cosa deve dire e proporre come alternative il Sfm davanti alla crisi economica globale e davanti agli epicentri di guerra – Palestina, Iraq, Afghanistan, Colombia – o cosa deve proporre per la costruzione di un modello che superi il neoliberismo, per alternative politiche di pace ai conflitti, hanno avuto come risposta un gran silenzio. Ci sono state vari forum sulla crisi, ma non articolati tra loro. Le attività “autogestite” significano che chi ha i mezzi – in genere le Ong, tra gli altri – riesce a programmare le proprie attività, mentre i movimenti sociali si trovano nell’impossibilità di realizzarle, o almeno nella dimensione che vorrebbero, non riuscendo così a proiettarsi finalmente come protagonisti fondamentali del Sfm.

 

Chi pensa che lo scopo del Forum sociale mondiale sia lo scambio di esperienze, può dirsi soddisfatto. Ma chi è venuto spinto dalla necessità di trovare risposte urgenti ai grandi problemi che affronta il mondo, va via con la frustrazione, con la sensazione che la forma attuale del Sfm sia esaurita, che se il Sfm non vuole diluirsi nell’irrilevanza, deve cambiare forma, deve consegnare la direzione ai movimenti sociali.

 

Sorprendenti sono state la quantità e la diversità di origine dei partecipanti, notevole la partecipazione dei movimenti indigeni e dei giovani in particolare; ma nel momento più importante del Sfm, con la presenza dei presidenti, si sarebbe potuto far sì che le loro politiche fossero oggetto di spiegazioni e discussione con i movimenti sociali, in maniera molto più ampia e profonda. È triste che questa grande possibilità non abbia avuto esito, nemmeno in Internet. Lo stesso dicasi riguardo al Sfm, alle due sue forme di funzionamento, alla sua continuità – altri sintomi di avvilimento per le gestioni burocratiche assegnate al Sfm. Il giorno dopo la chiusura del Sfm si è riunito il Consiglio internazionale, in forma fredda e distaccata rispetto a ciò che era stato effettivamente il Sfm, e in quella sede ognuno – fosse una Ong sconosciuta o un movimento sociale importante – ha avuto a disposizione solo due minuti per intervenire.

 

Il tema di “Un altro mondo è possibile” va bene, grazie. Ma esso affronta sfide enormi di fronte agli effetti della crisi, gestita dal centro del capitalismo e rispetto alla quale si difendono abbastanza meglio i paesi che partecipano ai processi di integrazione regionale, che non quelli che hanno firmato i Trattati di libero commercio. Quel tema deve affrontare l’egemonia del capitale finanziario e il fatto che in varie regioni la riorganizzazione della destra ha il monopolio dei media privati, ha la direzione politica e ideologica. Esso avanza e deve estendersi in America latina, anche nel Salvador con la probabile vittoria di Mauricio Funes, candidato favorito del Frente Farabundo Martí alla presidenza, il prossimo 15 marzo.

 

Ma non si può dire lo stesso del Sfm, che sembra girare a vuoto, che non si colloca all’altezza necessaria per la costruzione di alternative con le quali si scontrano i governi latinoamericani, e per la lotta delle altre forze che vogliono passare dalla resistenza allo scontro per l’egemonia. Per questo è necessario che le Ong e i loro rappresentanti abbiano una volta per tutte un ruolo meno da protagonisti nel Sfm, consentendo che siano i movimenti a dare il tono.
Che non si svolgano più incontri come quello di Belém. Che non accada più che le Ong parlino in nome del Sfm; che i movimenti sociali – visto che si tratta di un Forum sociale mondiale – assumano la direzione formale e reale del Sfm, affinché l’opposizione al neoliberismo intraprenda i sentieri di una lotta effettiva per l’“altro mondo possibile”, una lotta per la quale l’America latina è la culla privilegiata.

 

*Esponente dei Sem Terra

 

Articolo pubblicato l’8 febbraio 2009 sul settimanale elettronico Sinpermiso

Traduzione di Roberto Massari