Sul congresso fondativo del N.P.A.

di Moreno Pasquinelli

Dopo una baldanzosa gravidanza di 9 mesi e un parto tutto sommato finito liscio come l’olio, ha finalmente visto la luce il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA). Quella che era considerata solo una sigla di lavoro provvisoria (per di più appioppata dai media) è diventata definitiva. Ma solo per il rotto della cuffia, visto che NPA l’ha spuntata per 6 voti (su 580 delegati presenti) sull’altro nome in lizza: Partito anticapitalista rivoluzionario.

 

Poco prima del congresso fondativo si era nel frattempo contestualmente sciolta la LCR (Lega Comunista Rivoluzionaria), la più consistente tra le tre organizzazioni trotskyste francesi. Il ruolo centrale della oramai ex-LCR nell’itinerario che ha condotto alla fondazione del NPA è indiscutibile. Dei 9.100  militanti che il NPA ha dichiarato di avere registrati all’atto fondativo, un terzo di questi, precisamente 3.200, provengono dalla LCR. Questo peso politico della LCR risulta addirittura accentuato visto che in seno al Consiglio politico nazionale (CPN) del neonato partito, composto da 192 membri, quasi la metà, ovvero il 45%, provengono dalla LCR. Un peso che effettivamente fa premio alla LCR, che sotto ogni profilo è stato l’imprescindibile motore senza cui il NPA difficilmente avrebbe visto la luce. E non a torto Olivier Besancenot, il notorio leader che la LCR ha dato in consegna al nascente partito, ha ricordato nel suo discorso inaugurale al congresso di La Plaine Saint-Denis, che quest’ultimo ha radici lontane, negli anni ’80, quando nella LCR prendeva piede la riflessione sulla possibilità andare oltre alla LCR medesima, verso un movimento politico più ampio e inclusivo.

 

Un motore che tuttavia non avrebbe potuto funzionare senza un potente carburante. E quest’ultimo è stato rappresentato da una specifico combinato composto, da una miscela tutta francese che addizionava il collasso senza precedenti della sinistra storica (prima del PCF poi del PS) e dei sindacati tradizionali (CGT anzitutto), alla tenace persistenza di grandi focolai di conflitto sociale (le periferie metropolitane, gli immigrati, ma pure i lavoratori dipendenti e gli studenti). Una resistenza sociale che si manifestò in maniera politica, clamorosa e massiccia, il 28 maggio 2005 quando la maggioranza dei francesi, invece di seguire le direttive di destra e sinistra, sull’onda di una moltitudine di comitati popolari sorti come funghi, bocciò sonoramente il Trattato Costituzionale europeo.

 

Il NPA si presenta dunque, ad un primo sguardo, come un primo punto di approdo e condensazione di una tendenza che viene da lontano, dall’intreccio della crisi simultanea del mitterandismo del PCF e dell’estrema sinistra da una parte e, dall’altra, dalla tenacia con cui parte del proletariato e delle fasce sociali marginali e non garantite, hanno tenuto testa al cosiddetto neo-liberismo, sia stato esso targato di sinistra o di destra. Il recente arrivo all’Eliseo del monarca Sarkozy, e la contestuale cocente sconfitta della candidata del PS, hanno  radicalizzato la scissione tra quella parte di popolo schiacciata dal “noliberismo” e le vecchie rappresentazioni politico-istituzionali di sinistra, aprendo al NPA una vera e propria autostrada.

 

Ma che natura ha il NPA? Quali le sue finalità? E che tipo di organizzazione si sta dando?
Facciamo parlare lo Statuto provvisorio. Nel preambolo esso parla chiaro: «Il nostro progetto comune è costruire una nuova società che rigetti ogni forma di sfruttamento d’oppressione e d’alienazione, siano esse economiche, sociali, ecologiche, ideologiche e culturali. Questo implica il rovesciamento del sistema capitalista. L’organizzazione portatrice di un tale progetto deve dunque, nella stessa pratica, nel quotidiano, combattere gli effetti dell’ideologia dominante. (…) Il NPA è uno strumento al servizio delle lotte contro lo sfruttamento e l’oppressione del sistema capitalista per un socialismo democratico ed ecologico

 

Come ognuno può notare abbiamo qui non solo un rigetto netto del sistema capitalistico, ma pure un richiamo non meno esplicito ad un modello socialista, per quanto democratico ed ecologista. Un’identità quindi, molto precisa, che raccoglie le radici egualitarie ed emancipatrici del movimento operaio, su cui vengono innestate la tradizione democratica e la tradizione ecologista moderna. Sbagliano però, e di grosso, coloro i quali liquidano il NPA come una maschera della LCR, ovvero come una riedizione solo un po’ sfumata del trotskysmo. Se il trotskysmo era una variante del composito movimento comunista rivoluzionario, ebbene, il NPA questa tradizione se l’è lasciata alle spalle. Nessun trotskysta che si rispetti potrebbe infatti invocare un “socialismo democratico”, o concepire un partito che non fosse ideologicamente e programmaticamente monolitico. Se guardiamo poi al piano d’emergenza che il NPA propone ai francesi per uscire dalla crisi economica e sociale, non si può certo dire che sia in linea col Programma di Transizione (quello scritto da Trotsky nel 1938 per il congresso fondativo della IV. Internazionale) che doveva fungere da ponte alla dittatura proletaria e ad un modello sociale collettivistico. Cosa abbiamo allora? Una variante radicale delle vecchie piattaforme socialdemocratiche, ovvero una lista di rivendicazioni sociali erga omnes per tutti coloro che stanno in basso, da realizzare con strutturali riforme sociali quali: un’economia di mercato regolata sugli interessi dei lavoratori e dell’ambiente, quindi una  programmazione pubblica dell’economia. Non segnalo affatto questo iato per  rivalutare la mistica programmistica tipica del trotskysmo, tuttavia non si può non vedere che il NPA ripropone la classica scissione second’internazionalista tra programma minimo e programma massimo.

 

Se non è il trotskysmo il collante che tiene assieme le varie anime del NPA, qual è? Concordo con quanto affermato dai più attenti osservatori parigini: da una parte un francesissimo (ed esasperato aggiungo io) laicismo repubblicano, dall’altra la vecchia tradizione, non meno francese, dell’anarco-sindacalismo, quest’ultima non meno staliniana di quella trotskysta. Anche qui, non si tratta di deplorare questo connubio, si tratta piuttosto di comprenderlo, di prendere atto che ogni nuovo soggetto non può affondare la sue radici nella sabbia, ma appunto nelle più profonde tradizioni politiche e culturali del paese in cui sorge.

 

Il modello organizzativo che il NPA dice di voler assumere, è in sintonia con le  finalità e l’identità che si è data il nuovo partito. Sentiamo ancora una volta cosa dice lo Statuto provvisorio:
«Le forme organizzative e il funzionamento non sono neutri. Non c’è dubbio che la forma è congiunta allo scopo, occorre dunque che l’organizzazione interna deve mostrare la sincerità delle nostre convinzioni e del nostro progetto d’emancipazione. Il bilancio che noi possiamo fare del XX secolo, in particolare dello stalinismo e di tutte le esperienze di burocratizzazione del movimento operaio, ci impongono di tirare tutte le lezioni per costruire un’organizzazione viva, democratica ove ciascuno e ciascuna possano trovare posto come tutti gli altri. Vogliamo un partito che rompa con la tradizione di strutture gerarchiche che filtrano e soffocano la voce dei militanti. Noi vogliamo un partito che innovi la sua maniera d’organizzare l’azione militante ove il dibattito non sia confiscato né dalle minoranze attive né da un apparato caporalizzato. Vogliamo un partito che spezzi tutte le forme di professionalizzazione dell’impegno politico.
Deve essere democratico e pluralista. Non deve essere una somma di comitati atomizzati ma un collettivo di militanti
».

 

La forma democratica e pluralista (da notare la totale scomparsa dell’aggettivo centralista controbilanciata però dal rifiuto di ogni modello anarchizzante o comitatistico) è la geometria che il NPA non poteva che scegliere se voleva davvero tenere dentro di sé le svariate forze che ha finito per raggruppare. A ben vedere infatti il NPA è una ben strana creatura la quale, si organizza sì come partito, ma è più simile ad un fronte. Un fronte non nel senso di un blocco tattico di differenti organizzazioni, un fronte che vuole essere strategico, ovvero essere un soggetto politico plurale ma tuttavia deputato alla fuoriuscita dal capitalismo.

 

Per concludere. Ritengo che la nascita del NPA segni un’effettiva svolta, non solo per la sinistra francese, ma per la società di questo paese e forse non solo per la Francia. La nascita del NPA deve infatti essere interpretata come il primo segnale che la parte sopravvivente del decrepito movimento operaio, superata la fase che pareva interminabile di elaborazione del lutto, vuole ingaggiare la battaglia epocale per superare e abbandonare imperialismo e capitalismo. Il mio giudizio resta dunque positivo, malgrado limiti programmatici e le incongruenze teoriche, poiché raccoglie gran parte delle energie e delle soggettività anticapitalistiche. Il NPA è infatti destinato ad evolvere, è condannato ad essere un organismo mutante. Malgrado abbia celebrato un congresso costitutivo esso conoscerà infatti un incessante processo costituente, sarà un luogo primario, una fucina ove prenderanno forma le forze rivoluzionarie di domani. Ritengo anzi che l’esempio del NPA sarà, mutatis mutandis, raccolto anche in Italia. Si intravedono già i primi segnali. Ma occorre mettersi al lavoro per bene ed evitare il flagello dell’andazzo italiano, di gettarsi cioè con passione nell’impresa, ma all’ultimo momento, quando forse sarà troppo tardi
Chi vivrà vedrà.