Il compagno Nino Colazzo ci ha lasciato il 7 febbraio scorso.
Era nato il 29 ottobre di 72 anni  fa.
Lo conoscemmo grazie a suo figlio Antonio, nostro fratello e compagno di lotta da sempre, al quale siamo vicini come non mai davanti a questa nuova tragedia.
E quando lo conoscemmo restammo incantati, per la sua umanità, certo, ma anche per la saggezza e l’acume politico che possedeva ma che non ostentava.

Qualità umane e politiche frutto di una vita dura, di sacrifici inauditi, fatti non solo per tirar su una famiglia in tempi di miseria e di fame, ma per fondare a Cursi, piccolo comune del Salento dove è vissuto, la prima sezione del Partito Comunista. Di cui fu infatti primo segretario, in anni in cui, in Salento, occorreva sottostare all’arroganza del notabilato clerico-fascista e democristiano.

Lo ascoltavamo raccontare la sua storia, che rivendicava con orgoglio e al contempo con tanta autorinoia. Un brandello della sua storia ci è rimasto impresso nella mente, quello del 1964, anno in cui grazie a lui, il PCI fu in grado di presentare per la prima volta una lista comunista alle comunali di Cursi. La lista prese solo un voto, il suo. Quando tornò a casa chiese a sua moglie e compagna di vita, come mai non avesse tenuto fede alla promessa di votare comunista. Ella giurò e spergiurò di avere votato come promesso. Nino sapeva che non era vero, la perdonò, perché sapeva anche quanto forte fosse il ricatto esercitato su una donna cattolica, dal clero locale, che considerava peccato mortale votare per i comunisti.

Coerenza con gli ideali imperituri di eguaglianza e fraternità, modestia e saggezza.
Qualità che coloro ai quali aprì con la sua tenacia la via della carriera politica e che ora siedono negli scranni più importanti delle istituzioni pugliesi e leccesi, non hanno certo mostrato di avere. Nino ci segnalava infatti, con nomi e cognomi, come certi suoi compagni avessero abbandonato gli ideali di un tempo, pur di sgomitare e di conquistare posizioni di potere. Ma ne parlava senza astio, piuttosto con commiserazione.
Da tempo aveva rifiutato di militare a sinistra, o di fare una qualche tessera. Si teneva in casa come sacre reliquie le immagini di Marx e del Che che stavano appese nella vecchia sede del PCI. Icone che ha voluto lo accompagnassero per il suo ultimo viaggio.

Ci dice Antonio che in occasione dei suoi funerali i notabili della nuova borghesia rossa non hanno esitato ad usare la sua luce, talmente era popolare nella sua zona. I vari partiti di centro-sinistra hanno fatto affiggere manifesti listati a lutto. Vari boss dell’ex PCI, ora riciclatisi nel Partito Democratico o in ciò che resta di Rifondazione, hanno partecipato al suo funerale. Come afferma suo figlio Antonio «… sono venuti per farsi una facciata, perchè Nino era ancora un trascinatore, sapevano che molti al paese andavano ancora da lui per chiedere consiglio, che lui non si è mai rifiutato di offrire, anche a quelli di Rifondazione paesani e provinciali… tutti volevano al funerale segnalare la loro paternità ma era solo una facciata, perchè Nino ultimamente aveva rifiutato qualsiasi tessera.»

Un ultimo addio a Nino da parte degli antimperialisti, ad un uomo orgoglioso di essere stato un proletario e un comunista. Un esempio per tutti noi, che se la vita va vissuta lottando, le pene della vecchiaia e poi la morte non possono in alcun modo giustificare l’abbandono degli ideali più belli della propria gioventù.