Caro Giulio,
ho letto la tua risposta al mio precedente scritto ed è con vero piacere che ho preso atto che la distanza tra le nostre posizioni teoriche è, almeno su diversi punti, decisamente minore di quanto il nostro primo confronto non lasciasse pensare.
Per tale ragione limiterò questa mia replica al solo tema in merito al quale i nostri punti di vista rimangono decisamente lontani e, almeno per ora, inconciliabili: l’esistenza di due forme di conoscenza, quella rigorosamente ed esclusivamente logico-formale o “diabolica” (dal greco diaballein dividere, separare ) propria della scienza, da te considerata l’unica possibile e quella meta-logica o “simbolica” (dal greco sumballain, unire, tenere insieme) caratterizzante tutti i prodotti della “psiche globale”, da me ritenuta altrettanto reale ed esistenzialmente più valida ed utile della prima. Per non rendere troppo pesante, per chi ci legge, il nostro carteggio, mi limiterò ad un brevissimo approfondimento di quanto ho già esposto nella mia prima replica, sacrificando una necessaria, ma qui decisamente inopportuna, esposizione organica del problema.
Innanzitutto devo smentire la tua impressione che io da una parte pretenda troppo dalla ragione (comportandomi in ciò come un irrazionalista) e dall’altra la consideri “vile”, qualcosa di molto meno nobile e degno di stima rispetto ai sentimenti e a tutti gli aspetti irrazionali della psiche. In quanto studioso dell’anima umana sarebbe semplicemente assurdo che io stilassi una graduatoria di nobiltà tra le diverse componenti di essa: io considero negativamente solo l’ipertrofia di una qualsiasi facoltà psichica. Purtroppo però, come ho già detto, la nostra civiltà, la nostra cultura, insomma la nostra weltanschaung sono fortissimamente caratterizzate, da un onnipervasivo iper-razionalismo e da una metafisica materialistica, che mortificano le componenti emotivo sentimentali dell’uomo e determinano, come inevitabile conseguenza compensatoria, l’emergere caotico, abnorme e amplificato di queste ultime.
Vale a dire: siccome i canoni culturali del nostro tempo non consentono un’equilibrata manifestazione della nostra libera fantasia creatrice (costringendo le nostre energie psichiche ad esprimersi entro le strettoie delle coordinate della ragione applicata al mondo sensibile, per cui esiste solo ciò che è visibile, udibile, tangibile, cioè fruibile attraverso i sensi, misurabile e calcolabile) la nostra attività fantastica si coniuga con la nostra umana fragilità, si pone a servizio delle nostre paure prendendo la via della superstizione, della facile credulone ria e del dogmatismo confessionale. Così si da un valore letterale ed assoluto a tutte quelle manifestazioni della psiche (l’esoterismo, il misticismo, l’ermetismo, l’alchimia, l’animismo, il panpsichismo, l’antropomorfismo, la concezione olistica della natura, l’astrologia, la religione, ecc.) che dovrebbero essere intese (come ho già affermato nel mio primo intervento) esclusivamente in chiave simbolica. Tale lettura simbolica è però possibile solo se si fa appello alla ragione e la si invita a partecipare, in un rapporto dialettico con la facoltà mitopoietica della nostra anima, all’attività di “interpretazione” e di “traduzione” del materiale simbolico (almeno nella misura del possibile, visto che una traduzione e trasposizione integrale ed esaustiva di un simbolo in termini razionali è impossibile).
Non foss’altro che per questo ruolo di complementarietà io non potrei non riconoscere alla ragione il suo giusto valore Ma proprio nel rapporto di complementarità tra la dimensione logica e quella razionale della psiche consiste l’esprit de finesse pascaliano o, il che è lo stesso, la facoltà meta- logica dell’uomo che gli consente di approdare alla conoscenza meta-razionale. E’ proprio questo, come dicevo, il nodo centrale del nostro dissenso ed è ancora questo ciò che ci rende portatori di due differenti visioni del mondo. Mentre però io non nego valore alla scienza, riconoscendo la sua relativa validità conoscitiva e soprattutto la sua utilità pratica, tu ti riveli pregiudizialmente ostile a molti prodotti della psiche umana e assegni una dignità conoscitiva (ancorché relativa e limitata) solo all’argomentare scientifico.
Infatti scrivi: “ Io ignoro certamente (e non me ne pento) l’esoterismo, il misticismo, l’ermetismo, l’alchimia, l’animismo, il panpsichismo, l’antropomorfismo, la concezione olistica della natura, l’astrologia; credo di avere una discreta conoscenza (senza necessariamente adesione da parte mia) di qualche religione, di qualche espressione artistica, mito, fiaba; le quali hanno in genere grande valore culturale (diverso da caso a caso!), e che per lo meno nel caso dell’ arte sono anche forme di conoscenza, ma che secondo me sono soprattutto altre cose, e comunque non possiedono quelle garanzie di oggettività che sono proprie unicamente della conoscenza scientifica. Non riesco proprio a capire che cosa possa significare “conoscenza-metalogica”. Per me la conoscenza non è che pensiero corretto circa la realtà; e il pensiero è logica, discorso, messa in relazione reciproca di concetti secondo determinate regole (per l’ appunto “logiche”). Qualsiasi altro “sentire” interiore è sentimento, stato d’ animo; esso può essere conosciuto (cioé pensato, descritto logicamente in modo corretto e conforme al suo essere reale) ma di per sé non è conoscenza (può essere felicità, soddisfazione, desiderio, bisogno, appagamento, serenità, inquetudine, malinconia e tante altre cose, le quali possono anche essere bensì conosciute -logicamente-, cioè possono essere oggetto di conoscenza; ma non sono di per sé conoscenza).”
Io ti domando come tu possa giudicare equanimemente ciò che ignori; credo che sarebbe più prudente, giusto ed anche razionale sospendere il giudizio anziché liquidare semplicisticamente la cosa con un pregiudizio. Indubbiamente, come tu stesso ammetti, manchi degli strumenti necessari e idonei a cogliere il giusto valore di quei prodotti dell’anima, che chiami “superstizioni”. La tua weltanschaung coincide interamente con quella oggi dominante, all’interno della quale l’uomo è concepito come un essere, sì multidimensionale, ma le cui dimensioni rimangono tra loro giustapposte senza fondersi in una totalità organica. Al più la tua “fede razionalistica” t’induce a instaurare tra la ragione e i contenuti irrazionali un rapporto di “subalternità”, per cui i secondi possono essere oggetti di conoscenza della prima, che può apppunto conoscerli, pensarli, descriverli logicamente in modo corretto e conforme al loro essere reale. Non ti accorgi che questa è un’operazione gravemente riduzionistica, che snatura completamente la realtà irrazionale. Un sentimento, un’emozione, una pulsione non potranno mai essere conosciuti logicamente: sarebbe come cercare di vedere con le orecchie o di sentire con gli occhi Prova, se ti riesce, a spiegare razionalmente ad un uomo nato cieco che cos’è un colore.
La conoscenza metalogica di cui io parlo è invece il frutto della “fusione” tra la coscienza e l’inconscio; da questa “fusione” nasce “l’uomo integrale”, ovvero “l’uomo autentico” in quanto prodotto, come afferma Eraclito, dell’unità dei contrari. Tale uomo, che oltre a capire (capio, afferrare) è teso soprattutto a comprendere (cum-prendere, abbracciare, avvolgere), è il solo essere in grado di andare al di là di una visione parziale, monocromatica di se stesso e del mondo; il solo capace di amare il suo prossimo come se stesso, di desiderare autenticamente e profondamente una società di eguali, di coniugare l’uguaglianza con la libertà. Quest’uomo, infatti, ha edificato il suo “Io” sulle saldissime fondamenta del suo “Sé” (il centro della sua personalità totale); non ha quindi un “vuoto d’essere” e di conseguenza non ha bisogno, per sentirsi qualcuno, di acquisire ricchezza e potere e di dominare il suo prossimo. Una tale “personalità globale” non potrà mai essere costruita sulla base di una ragione che giudica i sentimenti con l’assurda pretesa di conoscerli logicamente.