Le elezioni presidenziali svoltesi il 15 marzo scorso hanno confermato il cambiamento preannunciato dalle elezioni politiche del 18 gennaio. Infatti Mauricio Funes, candidato del Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Martì – FMLN, ha ottenuto il 51% dei consensi, contro il 49% di Rodrigo Avila, candidato del partito di estrema destra ARENA (Alleanza Repubblicana Nazionalista) al potere dal 1992, cioè dalla fine della guerra civile.
Avevamo già illustrato come l’attuale FMLN sia solo un’ombra sbiadita dell’alleanza che condusse la lotta armata contro il regime oligarchico e che firmò gli accordi di pace nel 1992 (Trattati di Esquipulas/2), che sancirono la vittoria, all’interno del FMLN, dell’ala politica che amava definirsi socialdemocratica, e quindi quanto fossero decisamente fuori posto gli strilli mediatici sulla vittoria, il 18 gennaio, della «ex-formazione guerrigliera marxista-leninista».
Indubbiamente la vittoria del Fronte e di Funes sull’ex paramilitare Avila, candidato di un partito al potere per quasi un ventennio e fortemente spalleggiato dagli Stati Uniti, segna una svolta e consolida la tendenza dell’America Latina a smarcarsi dal ruolo di “cortile di casa” del potentissimo vicino, ma tutta la campagna elettorale del Fronte e le dichiarazioni del vincitore indicano che il cambiamento, sia in politica interna che in politica estera, seguirà la via tracciata da Lula in Brasile e non quella di Chavez o Morales, rispettivamente in Venezuela e in Bolivia.
Subito dopo la proclamazione del risultato elettorale Funes ha infatti dichiarato pubblicamente: “Il sistema economico previsto dalla Costituzione, la proprietà privata e la certezza del diritto avranno il massimo rispetto e saranno oggetto di una particolare attenzione” e che il suo Governo “lavorerà per costruire un’economia efficiente e competitiva e che promuoverà la creazione di un’ampia base imprenditoriale”.
Evidentemente il neo presidente non intende cercare una strada per fuoriuscire dal capitalismo; semmai richiamando efficienza e competitività sembra ricercare un capitalismo più simile ai modelli occidentali, nonostante la crisi strutturale che questi ultimi stanno attraversando, escludendo quindi di togliere ai pochi che concentrano la maggior parte della ricchezza per dare alla maggioranza della popolazione che non riesce a mettere insieme pranzo e cena.
Sotto il profilo della politica estera Funes poi si distingue nettamente da Chavez e Morales. Questi ultimi infatti hanno sempre decisamente respinto le pesanti ingerenze imperialistiche sia statunitensi che sioniste, arrivando addirittura ad espellere i diplomatici USA e israeliani, mentre Funes ha sottolineato che “La integrazione centroamericana e il rafforzamento delle relazioni con gli Stati Uniti saranno un elemento prioritario.”